Madrid, le proteste contro i tagli del Governo Rajoy.

E qualcuno pensa già di andarsene

«Non abbiamo più soldi», ha fatto sapere il Governo di Madrid approvando una manovra da 60 miliardi. E intanto lo spread è inarrestabile, e la situazione grave. E in 40mila da gennaio hanno lasciato il Paese... (da PáginasDigital.es)
M. Medina

Giovedì scorso è stata approvata dalla Camera dei Deputati la grande manovra di Rajoy con il solo voto favorevole dei deputati popolari. Non si può far conto sui socialisti: Rubalcaba non ha il controllo del suo partito ed è stato costretto a fare un discorso più duro del normale per via di una opposizione interna che gli chiede un atteggiamento più radicale. La Spagna non è la Germania. Neppure si è potuto contare sul voto del CIU; anche se i nazionalisti catalani condividono la linea di fondo del governo, non intendono farsi vedere schierati a fianco della maggioranza assoluta di Madrid.

L’isolamento dell’esecutivo non è il problema più grave: ha una assodata legittimazione politica, e i sondaggi non ne mostrano erosioni significative. Né grande rilievo hanno le proteste di piazza, in proporzione ai quasi 60 miliardi della manovra approvata. L’aspetto drammatico è che la votazione delle ultime ore è avvenuta mentre venivano collocati sul mercato titoli di Stato a due, cinque e sette anni con una domanda molto bassa e con il rendimento più alto della storia. Lo spread è inarrestabile, la situazione è grave. Né il riscatto dei debiti delle banche approvato dall’Eurogruppo né la profonda manovra di Mariano Rajoy sono in grado di placare l’assillo dei mercati. Solo un massiccio acquisto di debito potrebbe essere d’aiuto, ma al momento non si verifica per il rifiuto della Germania, sino a che non vi siano ulteriori manovre. Ma l’agonia rischia di prolungarsi.

Appena approvati i maggiori tagli di bilancio della storia della democrazia spagnola, già si parla di quelli che verranno: riduzione delle pensioni, minori sussidi di disoccupazione. La situazione è talmente grave che i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica a disposizione confermano che l’emigrazione è tornata a essere una opzione per alcuni. Non sono ancora dati statisticamente rilevanti, ma riflettono una tendenza. Il tasso dei movimenti migratori si è invertito. Nel 2011 sono uscite dalla Spagna quasi 60.000 persone, più di quante ne siano entrate. Nei primi sei mesi dell’anno 40.625 spagnoli hanno lasciato il Paese, con un incremento di più del 44%. Le fonti non permettono di appurare se si tratti di spagnoli di vecchia generazione o nazionalizzati più di recente. Dal 2008 vi sono state più di 435.000 nazionalizzazioni di immigrati residenti, e tutto indica che la maggioranza di quelli che se ne vanno sia fra questi. Sono persone che probabilmente vivono un secondo sradicamento, e che cercano in Inghilterra, in Francia, in Germania o negli Stati Uniti quello che sino a oggi avevano trovato in Spagna.

Il numero in sé, 40.000 su un totale di 5 milioni di disoccupati, rappresenta una percentuale minima. Ciò che colpisce è la rapida inversione di rotta che si è verificata in un piccolo lasso di tempo, anche se siamo lontani dal movimento migratorio che fra il 1940 e il 1960 portò all’abbandono del Paese da parte di 650.000 spagnoli. Quello che però è certo è che la Spagna perde popolazione perché non ha sostituito il vecchio modello della bolla immobiliare con un nuovo modello produttivo. Negli ultimi giorni il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso la previsione del prodotto interno lordo per il 2013 al meno 0,6%. Se la Germania a un certo momento darà il via, dopo nuovi sacrifici, all’acquisto di debito, si aprirà una nuova fase di lavoro: quella di “rifondare economicamente” il Paese.