Missione Taranto

ATTUALITÀ - NON SOLO ILVA
Alessandro Banfi

Ventisette anni in Brasile. Poi il Papa lo ha richiamato nella sua terra. E monsignor FILIPPO SANTORO si è ritrovato di nuovo in prima linea, nella città divisa tra 15mila operai a rischio disoccupazione e le vittime dell’acciaieria. Gli abbiamo chiesto di raccontarci di sé. Del dramma del suo popolo. E di cosa può mettere insieme ambientalisti e lavoratori

Da Rio-Copacabana, a Petrópolis, fino a Taranto. E sempre in prima linea. Che razza di storia quella dell’arcivescovo Filippo Santoro, che ora è nell’occhio del ciclone - come la sua città - per la vicenda dell’Ilva e che Papa Benedetto XVI ha chiamato al Sinodo di Roma per l’apertura dell’Anno della Fede... Una storia così, davvero difficile da trovare in un’altra “organizzazione” umana. Una storia dove il lavoro (e il successo) coincide con il servizio, nel rapporto col Mistero.
Commentatori e politici si sono chiesti da dove scaturisse uno dei pochi gesti “positivi” di questi mesi travagliati della città pugliese: la fiaccolata, indetta ai primi di agosto dalla Chiesa locale, epicentro la Parrocchia San Francesco de Geronimo, nel quartiere Tamburi, ad un passo dagli stabilimenti Ilva che rischiano di chiudere (e lasciare a casa 15.000 persone) per l’inquinamento provocato. Una fiaccolata che forse è stato l’unico momento dove ambientalisti e lavoratori si sono trovati stretti gli uni agli altri. In linea con quanto sostenuto dal Papa: il diritto alla salute, all’ambiente deve convivere col diritto al lavoro. Altrove la logica è quella di mettere gli uni contro gli altri, i malati di tumore contro i disoccupati, le statistiche mediche contro i dati sulla mancata occupazione. Ecco invece la parola dell’arcivescovo Santoro: «Superiamo le visioni di parte e costruiamo un cammino comune di sviluppo e di speranza, perché c’è bisogno di un processo di rinnovamento. Ma soprattutto, nonostante l’“angoscia” di questo tempo, la nostra scelta è a favore della vita, in particolare del suo sviluppo».
Spiega Santoro a Tracce: «Non voglio e non volevo entrare in un giudizio tecnico amministrativo, politico in questo senso. La Chiesa porta la passione per il bene comune, il richiamo ad un intenso momento di preghiera, la solidarietà per tutti...». Ma i giudici hanno fatto bene o male a fermare gli impianti? «La magistratura ha evidenziato un problema, e noi abbiamo sempre rispettato la sua iniziativa, rispettato il suo iter. Qui la grande industria ha inquinato in modo massiccio e per anni la terra, il cielo, il mare...». I due drammi, racconta Santoro, si manifestarono subito, all’inizio del suo incarico: i malati, le vittime dell’inquinamento, da una parte e le difficoltà economiche delle famiglie, a rischio disoccupazione. Una “terra di missione” la Taranto divisa e martoriata di oggi, come sono state terre di missione le amate città del Brasile per più di venticinque anni.

Da Bari a Rio. La logica, spiega l’Arcivescovo, è quella di una chiamata, di una vocazione. «Era il 1984 ed accolsi in aeroporto a Bari don Luigi Giussani per un incontro regionale della Fraternità.Tagliando corto su altri argomenti pur importanti, lui mi disse: “Ma tu andresti volentieri in Brasile?”. In quel volentieri c’era tutto, lo spazio della mia libertà... “Sai, l’Arcivescovo di Rio ci ha chiesto un prete missionario per insegnare Teologia in Università Cattolica e per lavorare con i giovani”. Dissi di sì, subito e in seguito don Giussani mi ha detto: “Sono stato sorpreso dalla forma immediata del tuo sì”. A sostenermi e guidarmi è stata una grande amicizia, con don Virgilio Resi, padre Massimo Cenci. Con loro e con don Giuliano Renzi, di Rimini, monsignor Giancarlo Petrini, monsignor Giuliano Frigeni, padre Vando Valentini e diversi altri sacerdoti abbiamo dato origine alla “Fraternità dei Padri” in America Latina, luogo essenziale di aiuto alla nostra vocazione e alla missione del movimento».
Santoro è un fiume in piena, come se avesse l’urgenza di comunicare, di far capire da dove vengono le fortune capitategli nella vita, dal primo incontro col movimento in Cattolica a Milano, e poi gli esercizi predicati da don Giussani al Collegio Capranica di Roma (il più antico seminario della storia della Chiesa), che identifica come il momento decisivo per la sua vocazione e per la sua adesione al carisma di Cl. Una storia di passione umana e di relazione con l’Assoluto.
«Appena arrivato - capisco il rischio che avevo di fronte come missionario - volevo far conoscere il carisma di don Giussani in Brasile e lo convinsi a parlare in una conferenza stampa... C’erano una ventina di persone, ma io ero deluso. E lui mi dice: “Meglio che siano in pochi. Prima di parlare, dobbiamo essere. Crescete, vivete e fate esperienza e chi si accorge di voi vi verrà dietro...”. Se fossi partito dal progetto, quelle immense metropoli piene di problemi mi avrebbero fatto paura. Mi liberava molto invece l’unico dovere che avevo: vivere integralmente il carisma dove mi trovavo. Senza sconti. E dall’altra parte senza nessun progetto di egemonia, di conquista, né di altro. Questo era liberante ed entusiasmante».

Quanti anni in Brasile? Nel 1988 Santoro sostituisce don Francesco Ricci, ammalato, alla guida del movimento in America Latina. In molti ce lo ricordiamo in quegli anni per le omelie che gli facevano pronunciare agli Esercizi della Fraternità di Rimini. Secche, precise e soprattutto ricche di una testimonianza, di una vita.
Poi, nel 1996, l’Arcivescovo di Rio gli chiede di fare il salto: da sacerdote italiano pugliese, Fidei Donum, come si dice, della diocesi di Bari (grazie al non dimenticato monsignor Mariano Magrassi), a Vescovo ausiliare della metropoli carioca. «Quando andai a trovare don Giussani dopo la nomina, fu molto imbarazzante perché si inginocchiò e mi disse: “Padre mi benedica!”. Io mi ritraevo e lui insisteva. Aveva molto più coscienza di me della successione apostolica e di ciò che mi era successo...». Quindi, nel 2004, la nomina a Petrópolis, diocesi di 700mila abitanti nello Stato di Rio.
E infine, a novembre dell’anno scorso, un altro strappo: «Avevo conosciuto la prima volta il cardinale Ratzinger quando era a Roma, come Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, per via di alcuni miei studi di teologia. Poi in una udienza dello scorso hanno mi chiese: “Ma da quanti anni è in Brasile?”, “Da ventisette anni, Santità”. E il Papa: “È molto tempo!”, e cominciai a pensare che qualcosa stava per cambiare».
Da arcivescovo di Taranto, Santoro si è trovato subito nell’emergenza. «Mi sento in piena sintonia con don Julián Carrón; a volte mi sembra di risentire in lui l’attenzione che aveva don Giussani nei confronti della persona. Perché alla fine tutta la questione è la persona». Già qualche mese fa, quando i mass media nazionali ignoravano il problema, don Filippo, appena nominato, si rende conto delle grandi sofferenze della città. «Ho visitato per primi carcerati e ammalati; la Direzione del carcere mi sconsigliava di avvicinare i detenuti perché pericolosi, invece parlai con tutti. Poi andai dagli ammalati per via della diossina e celebrai subito una messa per le vittime del lavoro. Le vittime dell’Ilva». Il messaggio è semplice e immediato: la Chiesa vi è vicina, il Signore è con voi. In una situazione, dura, difficile, al limite della sopravvivenza. Come durissimo ed imprevedibile sarà il clima sociale se si dovesse fermare la produzione.
Taranto come il Brasile. «Prima del provvedimento del Gip, che ha costretto tutti a ragionare per migliorare la situazione, avevo lanciato l’idea di un grande convegno scientifico su Taranto, l’industria e la salute». L’occasione per il neo Arcivescovo è la festa di San Cataldo lo scorso maggio. Ecco la sintesi nel ritaglio di giornale dell’11 maggio: «Il Vescovo stesso si fa promotore di un congresso a carattere scientifico nel quale mettere in campo risorse perché cominci lo scambio utile con quelle realtà dell’Europa e di altre parti del mondo che hanno già avviato un processo virtuoso tra fabbrica, lavoro, ambiente e salute. Un grande congresso sereno, scientifico ed indipendente».

Dramma di un popolo. L’idea di don Filippo è quella di invitare i responsabili di stabilimenti esteri, simili all’Ilva, come ad esempio un’acciaieria tedesca e di un’altra giapponese, a raccontare come hanno risolto positivamente il dilemma ambiente/lavoro. Com’è possibile che la Germania produca acciaio senza “effetti collaterali”? I ministri Clini, Passera e Balduzzi hanno già aderito a questa iniziativa della Chiesa locale. «Non vanno dimenticate» spiega Santoro «le tre particolarità dell’Ilva: la grandezza, unica in Europa, la qualità del prodotto, che va adattato alle nuove esigenze, la vicinanza al centro abitato». Anche a livello ecclesiastico, don Filippo non è stato per niente “tranquillo”. Alla prima assemblea dei Vescovi italiani, a Roma, alla Cei, ha parlato dell’Ilva. «Al di là dei problemi tecnici e politici, è evidente che si tratta di una questione che interroga anche la Chiesa. Riguarda il lavoro, il dramma delle famiglie, e la salute, il dramma di tanti malati. Del mio popolo».­