Giulio Sapelli.

Sapelli: «I partiti? Devono rimettersi a studiare»

Un altro contributo al dibattito iniziato su "Tracce" di novembre. Per il professore di Storia economica chi guida la società deve abbeverarsi alla cultura, come accadeva a inizio Novecento. «Serve gente che avverta una comunità di destino»
Ubaldo Casotto

«Bisogna innanzitutto chiedersi come siamo giunti a questo punto, dalla risposta a questa domanda si può ipotizzare da dove ripartire». Il professor Giulio Sapelli, ordinario di Storia economica all’Università degli studi di Milano, vuole evitare velleitarismi e nuovismi, invita quindi all’analisi.

Professore, la situazione è sotto gli occhi di tutti, astensionismo record, in Sicilia ha raggiunto quota 53 per cento, disaffezione, frammentazione dei partiti, scandali. Ma senza politica un Paese non regge. Dove sono le risorse per ripartire?
Nei partiti tradizionali, che sono stati sostituiti da “partiti personali”, secondo la felice definizione di Mauro Calise. Io preferisco il termine neo-cacicchismo, essendo i cacicchi i rappresentanti di interessi personali, di solito economici, che finanziano candidati per riceverne benefici. Silvio Berlusconi è un caso di neo-cacicchismo autoreferenziale, nel senso che lui era il finanziatore e il beneficiario nello stesso tempo. I partiti si sono ridotti così, e senza partiti non c’è politica né democrazia.

I partiti a cui lei pensa sono i vecchi partiti ideologici della Prima Repubblica?
No, a quelli che siedono oggi nel Parlamento europeo, al Ppe e al Pse. Non trova singolare che i partiti italiani sono gli unici che non possono pienamente aderire alle grandi famiglie politiche europee, né il Pd né il Pdl che è diviso su tutto con l’Udc con cui fa gruppo a Strasburgo?

Però sostengono insieme il governo Monti.
Questa è l’altra anomalia. In Italia abbiamo riesumato dopo millenni il modello del dictator romano. Ma definire Mario Monti un tecnico è improprio, fa politica da quarant’anni come esponente del blocco poliarchico italico organicamente europeo: grandi banche, grandi scuole internazionali di business, grandi società di consulenza. L’università Bocconi, in questo senso, è un interlocutore politico. Bisogna prendere atto che c’è un potere situazionale di fatto, di cui fa parte anche il potere giudiziario, una poliarchia, non una democrazia.

Per questo la gente si allontana dalla politica?
La disaffezione politica è il tratto fondamentale del nostro Paese dopo la fine delle ideologie. Non c’è da stupirsi che in Sicilia il 53 per cento degli elettori si sia astenuto. Anzi, bisogna essere ottimisti che il 47 per cento abbia votato. Bisogna essere realisti, ci sono potenti forze che hanno fatto di tutto perché la politica risultasse il peggiore dei mali, l’opinione pubblica è stata bombardata da questo messaggio.

I politici qualche pretesto paiono averlo fornito.
Certo, ma nel mondo economico succedono cose ben peggiori, scandali decisamente più gravi, ma non se ne parla con la stessa indignazione. Anzi, non se ne parla proprio.

Resta che l’immagine che i partiti danno di sé è di non essere assolutamente in grado di governare la situazione. Da dove ricominciare?
Innanzitutto da quello che ha detto il candidato di Beppe Grillo in Sicilia, Giancarlo Cancelleri, si autoridurrà lo stipendio di parlamentare a 2.500 euro lasciando il resto al partito, secondo un comportamento morale tipico dei deputati del vecchio Pci e del Msi, che trovava imitazione anche in esponenti della Dc o nei repubblicani. Gente come Donat Cattin o Citaristi e altri per i quali l’impegno pubblico non è certo servito per arricchirsi. C’è un’etica personale che distingue chi fa politica da chi in politica fa altro.

Oggi non vede in giro gente così?
Vedo presunti dotti e persone che si considerano intoccabili, gente che non paga politicamente per quello che fa - il citato Donat Cattin se avesse messo nei guai 350mila famiglie come ha fatto il ministro Fornero si sarebbe dimesso - e che non ha un vero senso del potere. Certo qualcuno c’è, a me piace Ugo Sposetti, l’ex tesoriere dei Ds, c’è brava gente anche nel Pdl, ma sono sparsi e isolati.

Che cosa devono fare i partiti per tornare a essere tali?
Devono rimettersi a studiare. La politica deve abbeverarsi alla cultura. I partiti fatti fuori dal fascismo erano tutti fondati da persone che studiavano e scrivevano: L’appello ai liberi e forti di Luigi Sturzo, che per me resta il manifesto più attuale; Rifare l’Italia di Filippo Turati; e le Tesi di Lione, scritte da Antonio Gramsci prima di finire in prigione, un testo notevolissimo. Oggi leggere la Carta di intenti del Pd sconforta. Ma le faccio io una domanda: sa quando la politica tornerà?

È lei che deve dare le risposte.
Quando un tranviere diventerà sindaco di Milano. La politica è inclusione, deve coinvolgere i semplici e gli umili, altrimenti è oligarchia. Politica vuol dire un gruppo di persone che avverte una comunità di destino, che pensa, studia e lavora per il bene del Paese e inizia a girare l’Italia per spiegare i suoi progetti alle persone, per “illuminarle”, per coinvolgerle. Adesso siamo giunti alla teorizzazione del contrario, il politico deve interpretare quello che pensa la gente, ma facendo così abdica alla sua funzione.

A lei non piacciono i sondaggi?
Se per questo neanche i referendum su materie troppo specifiche. Il plebiscitarismo è un inganno. Io resto proporzionalista: i partiti sono la democrazia che si organizza.

Lei ha citato Sturzo. Quale può essere oggi il contributo dei cattolici alla vita politica?
Non certo Todi, dove vedo gente bisognosa di benedizioni cardinalizie per assumersi le proprie responsabilità politiche. Non si può dire che De Gasperi non conoscesse la virtù dell’obbedienza, ma aveva una concezione laica nella politica, che lo portò, ad esempio, a rifiutare l’alleanza con il Msi nelle elezioni per il Comune di Roma nel 1952, nonostante Pio XII appoggiasse l’iniziativa. La politica deve rigenerarsi, siamo nel deserto, anche i cattolici, secondo me, devono aiutare nella traversata per l’approdo alle famiglie politiche europee.