Julián Carrón al Meeting di Rimini.

Carrón: quello stupore che ci guida dentro la storia

Gli inizi, il Meeting, il Sinodo e la presenza pubblica del Movimento. Intervista al Presidente della Fraternità di Cl in occasione dei cinquant'anni della comunità di Rimini
Stefano Andrini

Comunione e Liberazione torna alle origini ma non fugge dal mondo. Lo afferma don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Cl, che questa sera alle 21 al Palacongressi di Rimini sarà protagonista di un incontro sul tema “Stupiti da Cristo, sfidati dalla storia”.

Cosa rappresenta per Cl la storia cinquantennale della comunità di Rimini?
Un esempio, significativo per tutto il movimento, di come nasce e si può sviluppare una comunità cristiana. A Rimini è accaduta quella dinamica sempre descritta da don Giussani. L’amicizia di don Giancarlo Ugolini con alcuni ragazzi che avevano incontrato il movimento a Milano e che a Rimini si ritrovavano in spiaggia. La disponibilità di don Giancarlo a seguire quello che lo stupiva in quei ragazzi. Il frutto di questo inizio lo vediamo davanti ai nostri occhi: il fiorire di tante persone, di tante opere e di tante iniziative, la più eclatante delle quali è certamente il Meeting. Tutto dipende da come ciascuno di noi accoglie il seme che si trova davanti: stupito da una diversità umana che non può non riconoscere come corrispondente a quello che desidera per vivere. A Rimini c’è un esempio della potenza di questo seme e dello sviluppo che avviene quando ci sono persone che lo accolgono con tutta la loro umanità.

Dire Rimini significa anche dire Meeting. Come è cambiata questa opera nel corso degli anni e come si proietta nel futuro?
Mi sembra che il Meeting sia la conferma di cosa può generare nel cristianesimo una fede accolta in tutta la sua profondità. Da questa fioritura nasce una capacità di esprimersi e di porsi nel reale. Quello che ho visto in questi anni al Meeting è il maturare della coscienza con cui lo si fa. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: una proposta sempre più incidente, capace di incontrare persone diverse e di metterle a confronto. Una strada che dovrà continuare anche in futuro.

Cosa significa per il movimento oggi reimparare a vivere la vita come vocazione?
Accettare la sfida delle circostanze attraverso cui il Mistero ci porta al destino. In questa fase della storia non sono certo le sfide che ci mancano. Malattie, perdita del lavoro, rapporti difficili nelle famiglie. Perfino il livello sociale e politico. Vivere la vita come vocazione è rispondere a queste sfide come possibilità di una maturazione che ci renda sempre più in grado di dare il nostro contributo. In questa situazione confusa abbiamo bisogno di persone capaci di testimoniare agli altri che anche dentro la crisi si può vivere, crescere e maturare, si possono generare delle risposte ai bisogni di tutti per rendere la vita più umana.

Lei ha partecipato al Sinodo sulla nuova evangelizzazione: quale contributo può portare il movimento a questa sfida?
Semplicemente la nostra testimonianza. Il problema non è la crisi, non è la scristianizzazione e neanche l’indifferenza nei confronti della fede. Ma se noi come cristiani viviamo qualcosa di così affascinante da poterlo mostrare a tutti. E’ questo che rende possibile il riaccadere del cristianesimo: non come discorso o come etica, ma come un evento che stupisce colui che lo incontra. E’ quello che la gente aspetta. La sfida è mostrare che è possibile oggi comunicare il cristianesimo in modo affascinante, così come noi lo abbiamo sperimentato all’inizio della nostra storia.

Il ritorno alle origini del movimento richiamato con forza in un momento di grande confusione sociale significa un cambiamento nell’impegno civile dei ciellini?
Assolutamente no. Noi vogliamo ritornare costantemente all’inizio di quello che ci ha affascinati per potere esserci di più nella vita sociale, culturale e politica a tutti i livelli. Esserci, dunque, ma col metodo delle origini: la presenza di Cristo percepita così affascinante da liberarci da ogni pretesa egemonica. Dobbiamo testimoniare davanti a tutti il contributo che può dare l’esperienza cristiana in questo momento di confusione. Gli analisti sono lucidi nell’evidenziare quello che manca ma più carenti nel trovare le soluzioni. Noi invece abbiamo l’esperienza che in tante occasioni - a livello personale e sociale - ci ha fatto capire che si può ripartire anche in questa situazione. Il punto cruciale è se siamo veramente disponibili a seguire quello che ci è capitato, affinché non ci sia una riduzione dello stupore a cose da fare. Una scelta di questo tipo provocherebbe la morte anche dell’impegno sociale.