L'asilo "Don Luigi Giussani" di Lima.

La stessa sfida, dagli Appennini alle Ande

Anna e Daniela lavorano da mesi all'asilo “Don Luigi Giussani” a Lima. Spesso il rapporto con le famiglie non è facile, eppure non si può fare a meno di provocarle: «Vogliamo che imparino a prendere in mano la vita»
Francesca Mortaro

Anna Bonaiti è arrivata a Lima, in Perù, nel febbraio scorso, dopo essersi laureata in Scienze dell'Educazione all'Università Cattolica di Milano con una tesi di ricerca sul metodo pedagogico di don Luigi Giussani. «Una vera sfida all’uomo in quanto tale, valida per tutti, in qualsiasi parte del mondo», racconta Anna: «Che uno possa diventare grande, protagonista della sua vita. È quello che sto scoprendo anche qui, dall’altra parte dell’Oceano».
A Lima con lei c’è Daniela, una sua compagna di studi, e insieme fanno il servizio civile lavorando alla scuola d’infanzia “Don Luigi Giussani”, nel quartiere di Chonta. L’istituto, nato pochi anni fa (guarda il video), accoglie quarantacinque bambini tra i quattro e i cinque anni, ma c’è l’idea di iniziare a costruire un nuovo spazio che possa permettere di ospitarne anche a partire dai due anni.
«Il primo giorno non sapevo cosa mi sarebbe toccato fare», spiega Anna: «Non sono una maestra». Ma è bastato guardare alle persone che lavoravano lì e alla proposta educativa dell’asilo: «Ho notato subito che un punto di novità interessante era che guardavano il bambino nel suo insieme, senza tralasciare niente, soprattutto la famiglia: se vuoi conoscerlo devi anche sapere come vive e il contesto in cui vive». Questo lo spirito della scuola: «Ma ci siamo accorte che questa cosa non era “strutturata”. Era data come implicita. Mentre era necessario approfondirne le ragioni, l’origine. Così abbiamo iniziato un dialogo con le insegnanti e la coordinatrice, tenendo sempre come punto centrale l’interesse al bambino e alla sua crescita».

Per Anna e Daniela pian piano il lavoro diventa occuparsi del rapporto con le famiglie. Invitano le mamme a trascorrere pomeriggi insieme per fare dei lavoretti: «Un modo per parlare, per capire se in famiglia ci sono problemi e per guardarli insieme». Oppure vanno direttamente a casa del bambino. Come con Eduardo. «Era assente da qualche giorno, così siamo andate a vedere cosa stava succedendo». Trovano il bambino che gioca sulla sabbia e sua madre a letto in seguito ad un aborto spontaneo e a un malessere dovuto al troppo alcol. «La casa era un disastro», racconta Anna: «La coordinatrice si è messa sistemare i vestiti e il letto su cui stava la mamma. Io a Daniela l’abbiamo seguita pulendo i piatti. Alla fine, la casa in ordine era più accogliente. È stato bello aiutare la mamma di Eduardo, ma altrettanto importante è stato farle vedere la differenza tra il prima e il dopo, un’alternativa al suo modo di trattare le cose. Prima di andarcene, abbiamo insistito sul fatto che avrebbe dovuto cercarsi un lavoro perché, anche se povera, ha una dignità. E lì mi sono accorta che è utile provocare perché così io inizio a trattare l’altro da uomo, lasciandolo sempre libero di muoversi o no». Le provocazioni continuano anche dopo quella visita. «Le abbiamo detto tante volte di venire a scuola per parlare, ma non è mai venuta. E io tra me e me dicevo: “Poverina, non ha i soldi, poverina non può muoversi”. Ma trattare l’altro così è riduttivo, perché è come coccolarlo, e non permettergli di crescere».
Un giorno di maggio, poco prima dell’incontro organizzato dalla scuola sui temi trattati da Benedetto XVI alla Giornata Mondiale delle Famiglie, Anna e Daniela incrociano la donna e la invitano. Lei dice che prima sarebbe passata da casa a lavare e cambiare il bambino, ma che poi sarebbe tornata. «Ho pensato che fosse una scusa scappare. Invece, dopo un po’ è tornata pulita e in ordine, e con Eduardo. E io che l’avevo incasellata... Le persone ti sorprendono sempre, sono un mistero, non puoi sapere cosa passa nel loro cuore».

Quello per cui ci si impegna alla “Luigi Giussani” è proprio uno sguardo che viene incontro ai genitori, ma che li responsabilizza. Chi non può permettersi di pagare la scuola può rimediare andando a fare faena, le pulizie. «Se non hai i soldi hai la forza per lavorare, diciamo alle mamme», racconta Anna: «Loro vengono e si rendono utili. Alla fine loro sono contente di collaborare, perché tengono in ordine il posto in cui stanno i loro figli». E crescono. Perché l’uomo cresce nel rapporto con uno che non ti lascia passare niente, come è successo con Lazaro. «Sua figlia Ruth aveva un problema al cuore. Siamo andati a casa sua per capire se erano a conoscenza della situazione e se volevano un aiuto. Lazaro e la moglie hanno accettato e abbiamo iniziato ad accompagnarli all’ospedale. Lui, all’inizio, tutte le volte che entrava si metteva in fila, ma non aveva idea di cosa fosse lì a fare... Non sapeva e non domandava, nemmeno ai dottori. Con loro non ci parlava, dovevamo fare noi da intermediari». Allora Anna e Daniela hanno iniziato a spiegargli meglio della malattia di Ruth e di come ci si muove in ospedale. «Piano piano ha imparato. Ora fa tutto da solo. È diventato protagonista».

Uno dei problemi più gravi nel quartiere di Chonta è quello dell’igiene. «Spesso i bambini hanno i pidocchi», racconta ancora Anna: «Noi organizziamo dei pomeriggi formativi. Diciamo alle mamme di portare un asciugamano e una maglietta di ricambio, lo shampoo lo offriamo noi. Insegniamo a lavare i capelli, a strofinare bene e a lungo, a capire perché è importate toglierli. Che se no il bambino passa tutto il tempo a grattarsi la testa invece che concentrarsi sui compiti, per esempio». La gestione di questi momenti è sempre molto difficile: «Noi proviamo sempre a fare una tabella con scritti giorno, ora e chi deve partecipare. Solo che il nostro schema spesso viene mandato all’aria dalle mamme che non si presentano. La prima reazione è che ti arrabbi. Ma poi ti fermi e scopri che non puoi definirle, farle coincidere con l’assenza all’incontro. E capisci ancora di più l’importanza di quello che proponiamo noi: un’ipotesi ragionevole con cui affrontare i problemi della vita».
A fine anno Anna e Daniela chiamano i genitori a raccolta e gli mostrano un foglio in cui si evidenzia se uno ha pagato regolarmente o meno, o se non è venuto agli incontri. «Non è la stessa cosa se uno fa una cosa o non la fa», sottolinea Anna: «Bisogna essere anche duri, e fargli capire che ogni scelta ha una conseguenza. Non è utile stare zitti di fronte a uno che prende queste cose poco seriamente. Noi le facciamo notare perché vogliamo che loro imparino a prendere in mano la loro vita. Proprio come ci ha sempre insegnato don Giussani».