I ragazzi dell'Imprevisto mettono in scena Péguy.

Come minimo, «cerchiamo la vertigine del cuore»

Sabato 15 dicembre la comunità per minori l'Imprevisto ha fatto festa. Undici giovani hanno finito il percorso e ora lasciano il centro. E raccontano di quell'«unica misura ragionevole» per ciò che gli è accaduto
Fabrizio Rossi

«Erano le 10.10 del mattino». Sono passati più di tre anni, ma quel mercoledì in cui è iniziato il suo cammino Riccardo lo ricorda bene. Accanto a lui c’è Stefano, che ha scoperto di avere tra le mani «qualcosa di unico, che ora mi fa stare a testa alta». Qualche sedia più in là Anastasia, che dopo aver combattuto con droga e anoressia oggi può dire: «Che bella, la storia che mi ha portato qui»…
Sono alcuni degli undici giovani che hanno terminato il percorso all’Imprevisto, la comunità terapeutica educativa che a Pesaro recupera minori devianti e tossicodipendenti (v. Tracce, n. 8/2010). Sette ragazzi e quattro ragazze, protagonisti sabato dell’annuale festa delle “dimissioni” all’Hotel Flaminio, insieme a Silvio Cattarina, fondatore e presidente dell’Imprevisto. Ad aprirla, due piccoli regali per le centinaia di partecipanti tra familiari, amici e autorità: il terzo canto dell’Inferno recitato dalle ragazze del Tingolo, la comunità femminile, e un brano del Mistero dei Santi innocenti di Charles Péguy messo in scena dai ragazzi.

Dalla tensione di Dante allo struggimento di Dio perché l’uomo impari ad amarLo liberamente. Sono parole che non ti aspetteresti, da chi aveva sempre cercato la morte. Come Omar, 19 anni, che si definisce «quello che forse aveva meno di tutti»: ha perso la mamma qualche anno fa e il papà non l’ha mai conosciuto. Eppure è sul palco a testimoniare una certezza: «Sentivo che sicuramente, anche per uno come me, ci sarebbe stato un grande incontro. Qualcuno o qualcosa attendeva e voleva me». Un’intuizione più potente della voglia di distruggere tutto, che l’ha accompagnato anche quando è scappato di casa o è stato ricoverato al Centro di igiene mentale («Volevano vedere se avevo tutto a posto»). Poi, l’arrivo all’Imprevisto: «Ho fatto subito una scenata per andarmene. Dicio, uno dei responsabili, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Se resti, affrontiamo la tua vita. Insieme”. Ho accettato: quelle parole mi erano arrivate fino in fondo al cuore». Un cammino in salita, soprattutto nei primi mesi: «Fino a quando ho visto che lì c’era quello che da sempre aspettavo. E che cercavano anche gli altri ragazzi: eravamo lì non per la stessa sfortuna, ma per lo stesso desiderio». È la scoperta di Eugenio, che per anni aveva «martoriato corpo, cuore e famiglia» con la droga: «Nelle assemblee sentivo parole che da sempre avevo dentro. Quelle persone mi guardavano non per ciò che avevo fatto, ma per ciò che potevo essere». O di Stefano, che adesso ha ripreso l’università con una marcia in più: «L’esperienza della comunità non resta tra quelle mura, ma diventa la mia vita. Ero sempre incentrato su un presunto tradimento che mi faceva imbestialire. Oggi ho la consapevolezza che sono stato adottato ma mai abbandonato: so che c’è Qualcuno che mi accetta, nonostante i miei limiti e i miei sbagli». O ancora Tatiana, 21 anni, che nell’eroina aveva trovato «una compagna di viaggio»: «Ho capito che qualcuno mi è sempre stato accanto. E un giorno ha deciso di presentarsi: si chiama Dio e mi ha voluto far conoscere qualche suo amico mortale, tra cui queste persone…».
Anche i genitori salgono al microfono, raccontando alti e bassi di questi anni in cui, seppur a distanza, hanno partecipato al cambiamento dei figli. Fino a scoprire «una preferenza, in tutti i volti che sono entrati nella nostra vita», come testimonia il padre di Tommaso. Mentre quello di Riccardo non riesce a nascondere le lacrime: «Abbiamo capito l’importanza di essere genitori». O, come racconta il padre di Carolina: «Anche noi avevamo bisogno di qualcosa di grande».

Il cammino è lo stesso e va percorso senza paura. È l’augurio del Vescovo, monsignor Piero Coccia, che ha voluto salutare tutti di persona: «Siamo chiamati a vivere, non a sopravvivere: questo è possibile se si incontra Cristo, come abbiamo visto oggi». Ed è anche l’incoraggiamento del comico Paolo Cevoli, che ha chiuso la cerimonia ripercorrendo gli interventi a modo suo: «La vita è una gita. Come quando partivamo da bambini, con la classe, e pure il panino del giorno prima era straordinario. Perché ciò che conta è avere una meta». Quale? «Cerchiamo la vertigine del cuore», ha spiegato Silvio Cattarina. «Non possiamo accontentarci di poco, tentando di mettere a posto solo dei pezzettini della persona: vogliamo scalare la vetta di ogni attesa del cuore. Questa è l’unica misura ragionevole di ciò che facciamo. È il solo traguardo».