Assisi.

Per Sybille suona la campana

L'8 dicembre gli amici di Carrara sono andati ad "affidarsi" ai due santi della città umbra. Riscoprire «che Cristo non è estraneo al gusto della vita. Anzi è il gusto della vita». Tanto che perfino una nevicata non è più come prima

Tutti i pomeriggi alla Casa Rossa, quando la campana della Chiesa suona le cinque, ci raduniamo in cerchio. Qualunque cosa uno stia facendo, anche la più importante della giornata, la interrompe e corre. È il momento della preghiera. Chi vuole ha la sua e poi tutti insieme recitiamo un Padre Nostro, un’Ave Maria, un Gloria. Poi diciamo: «Signore aumenta la nostra fede»; ed infine: «San Francesco e santa Chiara pregate per noi». Il simbolo della Casa Rossa è un tau rosso. E, lo scorso 8 dicembre, abbiamo organizzato una gita ad Assisi per affidare la nostra esperienza ai due santi, invitando tanti amici.

Non è la prima volta che vado ad Assisi in vita mia, ma questo pellegrinaggio è stato per me un momento molto atteso. Affido tutti i giorni la mia vita all’intercessione di questi due santi, eppure questa volta il mio cuore è inquieto e sento che c’è qualcosa di diverso. Ho invitato un’amica che ho conosciuto da poco e, nel bel mezzo della giornata, mi dice: «Grazie Sybi, una giornata così non me la immaginavo nemmeno nei sogni più belli». Di colpo, mi chiedo cosa ci sia di così speciale da farle dire una frase tanto forte. Cos’ha trovato in una giornata in cui ci siamo alzati alle 4, abbiamo fatto otto ore di pullman fra andata e ritorno e abbiamo camminato tutto il tempo nell’aria gelida di Assisi? Che cosa rende questa giornata così bella? Penso a tante ipotesti, anche alla compagnia. Ma la frequento da quindici anni, ne conosco i pregi e i difetti, e non credo che una gita faticosa in pullman possa tirare fuori il meglio di noi. Continuo a chiedermi che cosa sia...

Una delle ultime tappe è la chiesetta di San Damiano. Tanti cominciano ad essere stanchi, ma si va. Siamo così tanti da riempirla praticamente tutta. Iniziamo a cantare: Dulcis Christe e Povera voce. La gente che entra si ferma, in silenzio perfetto, tutti di fronte al crocifisso. Un momento di unità impossibile. Quando usciamo, è il tramonto, il cielo è squarciato da nuvole e colori magnifici all’orizzonte, che inondano la piana davanti a noi. Subito, il desiderio di una foto tutti insieme. Ma c’è di più: inizia a nevicare.
Il mio cuore si commuove e ripensa a una sera di alcuni anni fa, in Argegna.
Era il nostro primo Capodanno da soli. Erano i nostri 18 anni! Avevamo deciso di andare lì, perché era il luogo in cui facevamo i campeggi estivi con la parrocchia, quelli da cui tutta la nostra storia è nata. Ma quell’inverno siamo andati senza Carlo, il nostro responsabile. E cosa abbiamo fatto? Abbiamo abolito subito quello che ci sembrava "in più": gli incontri di catechesi e il fatto di andare in chiesa. Pensavamo: «Che cose inutili nella vita».

Ma, un giorno dopo l’altro, il luogo in cui si viveva la settimana più bella dell’anno, diventava un posto brutto, e sporco. La compagnia con cui vivevo la settimana più bella dell’anno la sentivo piccola e cattiva. Non era più all’altezza di quello che desideravo. Cosa stava accadendo? Il luogo era lo stesso, la compagnia la stessa, le attività "quasi" le stesse… Avevamo eliminato solo l’incontro e la preghiera. Ma potevano mai c’entrare queste cose con la nostra felicità?
L’ultima sera, ci raduniamo intorno al tavolo e ci chiediamo il perché di quello che non era andato fra noi. Un’intuizione ha incominciato a farsi spazio: «Forse ci siamo sbagliati, Gesù non è così estraneo al gusto della vita. Forse è il gusto della vita». In fondo, eravamo andati in Argegna con un solo desiderio: essere felici anche a Capodanno. E speravamo nella neve, ma di neve non ne era caduto nemmeno un fiocco. Solo poco, ancora seduti intorno al tavolo, qualcuno guarda fuori e grida: «Nevica!». Quello è stato un segno grande per tutti noi: una strana gioia ci riempì il cuore mentre giocavamo a palle di neve. La Madonna della Guardia ci aveva esauditi, perché eravamo stati leali coi nostri cuori e Gesù era li con noi anche se non lo sapevamo.

A San Damiano, per me, è riaccaduta la stessa cosa. Gesù ha esaudito il mio desiderio di essere felice. Io posso dire che ad Assisi ha nevicato per me, perché ancora una volta L’ho riconosciuto. Lui era lì, in quel preciso momento, in quella precisa compagnia in quella precisa giornata. Ma con una differenza questa volta: io ero certa. Quella giornata ad Assisi è stata così bella perché Lui era lì con me e io non avevo dubbi, conoscevo il perché della letizia del mio cuore: la Sua Presenza. Questa certezza è cresciuta con me, lentamente, in una convivenza che ha trovato spazio, giorno dopo giorno, anno dopo anno, da quel lontano Capodanno.

Avrei potuto rispondere alla mia amica: «Tu oggi sei così felice perché, anche se non lo sai ancora, il tuo cuore riconosce la Presenza di Gesù». Ma non sarebbe stata una frase tanto astratta da sembrare assurda. Perché la certezza, come per me, deriva da una convivenza, da un cammino. Solo una Presenza reale e concreta può trasformare ciò che sembra impossibile, ciò che sembra pazzia, in Verità. Se c’è una cosa che sto augurando in questo tempo a me e alle persone più care non è un miracolo, ma il desiderio di questo cammino. Il desiderio di scoprire il gusto della vita, l’umiltà di saper attendere i tempi di questa autocoscienza, che non sono i nostri, ma quelli di Dio. Ed insieme, la grazia di scoprire che il gusto non arriverà domani, né dopo, ma è adesso, nella circostanza che ho da vivere oggi, perché è adesso che Lui è qui, per me.
Qualcuno potrebbe dirmi: «Sono belle parole, ma ormai sei tornata da Assisi, e adesso cosa fai?». Adesso ho un esame all’Università, impegnativo, mi fa molta paura e mi mette ansia, ma ho un metodo. Posso chiedere a Gesù di farsi riconoscere in questa circostanza e posso fare il test, verificare ancora una volta se è vero che Lui c’è in questo esame, in questa ansia, per me. Posso verificare se è così o no. Rischiare tutto ancora una volta. Il test non sarà superare o no l’esame, ma se sono diventata più certa o meno.
Sybille, Carrara