Mauro Ferrari.

«Quello slancio, così vicino a quello di Enzo»

Il premio della Fondazione Enzo Piccinini è andato a Mauro Ferrari, tra gli inventori della nano-medicina. A consegnarlo, una dei figli di Piccinini, Chiara. Ecco la lettera in cui racconta l'incontro con quell'uomo, che, come suo padre, ha dato tutto
Chiara Piccinini

A tre anni dalla sua istituzione è toccato a Mauro Ferrari, a Modena il 25 gennaio, ricevere il premio intitolato a Enzo Piccinini. Il primo, è un ingegnere che per una storia drammatica legata alla morte della moglie ha iniziato a fare ricerca sulle nanotecnologie in ambito medico. L’altro, un chirurgo di Modena scomparso nel 1999, amico e “figlio” di don Luigi Giussani, con una vita spesa a piene mani nella dedizione alla Chiesa e al movimento, fatta di migliaia di incontri in tutta Italia e nel mondo. L’occasione è stata proprio l’annuale convegno organizzato dalla Fondazione Enzo Piccinini, quest’anno dedicato ai “Maestri del nostro tempo nel campo della cura, dell’assistenza e dell’educazione”. A consegnare il riconoscimento c’era una dei figli del medico emiliano, Chiara, di cui pubblichiamo una lettera scritta qualche giorno dopo.


Nelle scorse edizioni non ero stata presente. Ma quest’anno la mia partecipazione diretta si è resa necessaria, anche perché mi è stato chiesto di fare da madrina e consegnare personalmente il premio. Ora, dopo alcuni giorni, sono molto felice di averne preso parte, perché è stata una scoperta straordinaria.
Il primo grande stupore è derivato dalla dedizione che ho visto nelle persone che hanno organizzato questo evento e che lavorano alla Fondazione. L’introduzione al convegno del 25 gennaio è stata affidata al dottor Giorgio Bordin, direttore sanitario dell’ospedale “Piccole Figlie” di Parma, e al professor Pierluigi Strippoli, biologo dell’Università di Bologna, che attraverso la loro testimonianza hanno spiegato il perché si stiano tanto impegnando in questa iniziativa.

Bordin ha svolto una presentazione apparentemente fuori tema: ha raccontato la storia della nascita della macchina fotografica Leica, attraverso tante diapositive e numerosi dettagli. Il perché è apparso chiaro solo alla fine, con grande mio apprezzamento. E, cioè, che l’inventore della Leica, - appassionato di fotografia, ma ammalato di asma e impossibilitato per questo a portarsi dietro macchine fotografiche enormi come quelle disponibili all’inizio del Novecento - ha inventato una macchina fotografica maneggevole e facilmente trasportabile per potersi dedicare all’attività che preferiva. Così il motivo che muove ognuno di noi in tutto ciò che facciamo è fondamentalmente personale, principalmente per la propria felicità.

Strippoli, a sua volta, ha raccontato della sua amicizia con Enzo. Non ha parlato solo dei momenti in cui godeva della sua compagnia, ma ha spiegato come il vivere con lui, mettendo in gioco tutto della sua vita, gli abbia permesso di avventurarsi in nuovi ambiti di ricerca e trovare punti comuni su cui lavorare. Attraverso Enzo, Strippoli si è sentito accolto e, impegnandosi nell’amicizia con lui, ha potuto capire a cosa serve impegnarsi nel proprio lavoro, mantenendo come obiettivo la “vera utilità” e non solo il gusto della ricerca fine a se stessa.

I due interventi introduttivi e l’impegno delle persone della Fondazione (Massimo Vincenzi, Silvio Ditella, Sara Stanzani, per citarne solo alcuni dei tanti) che hanno lavorato alla costruzione dell’evento, mi hanno permesso di capire perché questo premio sia stato assegnato ad una persona del calibro del professor Mauro Ferrari, apparentemente così lontano da noi, ma in realtà così vicino. Come lui stesso ha affermato, se non ci fossero state le persone straordinarie che hanno parlato prima di lui e che lo hanno fatto sentire “a casa”, noi non avremmo potuto «ascoltare le sue preghiere», come lui stesso ha detto, ma una normale presentazione scientifica del suo lavoro. Ferrari, infatti, aveva portato con sé due serie di diapositive: quelle professionali e quelle personali. Al momento di parlare ha scelto le seconde, perché si è sentito tra amici.

Nel momento in cui ha cominciato a parlare, credo che tutti in sala siano rimasti sconvolti, perché è partito con un elogio del dolore e una lunga ode alla necessità di questo, per comprendere l’amore e la dolcezza di Dio nei nostri confronti. Non conoscevo quest’uomo e la storia che ha avuto, e inizialmente non ho capito perché ha voluto citare «fratello dolore». Poi, mentre parlava, mi si è chiarito il suo percorso. È stato segnato da una vicenda personale dolorosissima, che lo ha reso simile a Simone di Cirene, come lui stesso ha affermato: si è trovato sulle spalle una croce da portare senza che l’avesse cercata, senza essere un esperto nel portarla, ma semplicemente perché gliel’avevano messa sulla schiena. La sua forza è stata quella di accettare questo peso e di sforzarsi di portarlo nel modo migliore possibile. Quindi ci ha mostrato alcune diapositive delle sue ricerche, di come, mosso dall’idea di mettere le sue conoscenze sulle nanotecnologie al servizio della medicina, abbia trovato il modo di rendere più efficaci i farmaci per la cura di alcuni tumori, realizzandoli con metodi innovativi, che permettono di arrivare meglio al tessuto tumorale e contrastarlo efficacemente. È così che il professore, senza sottrarsi mai al suo compito, con tutta la sofferenza fisica per l’estenuante lavoro, è riuscito a fondare una nuova disciplina, la nano-medicina, diventando famoso in tutto il mondo.

Il professor Ferrari ci ha mostrato il suo mondo futuro ideale, dove sarà possibile, attraverso l’uso delle nanomolecole, prevenire già da casa lo sviluppo di qualsiasi tumore. La ricerca in questo campo è per lui preghiera, perché è questo il modo che Dio gli ha dato per risponderGli ed essere in rapporto con Lui. La grandezza di quest’uomo è nell’essersi buttato anima e corpo in questo lavoro, con uno slancio che sento molto vicino a quello di Enzo. Entrambi hanno saputo offrire la propria vita per il bene proprio e altrui, spendendosi d’impeto e con tutto il cuore nella vita.
Questo incontro è stato per me toccante e scioccante allo stesso tempo, perché ho scoperto che ci sono persone così nel mondo, che fanno cose entusiasmanti e faticose per essere utili agli altri e che offrendo con umiltà il loro lavoro all’Altissimo fanno cose grandi.

Ora, questa persona, la sento vicina. E la ringrazio per aver voluto condividere con noi una mezza giornata pur avendo mille impegni. E sono grata a tutti coloro che sono impegnati nell’organizzazione del Premio Piccinini, per avermi dato l’occasione di vivere l’incontro con una persona straordinaria, che spero Dio preservi ancora a lungo.