«Che questa scuola ci sia, ho solo da guadagnarci»

Storia di un istituto parrocchiale, di periferia, nato dal desiderio di alcune famiglie. Ma che da ormai sessant'anni "costruisce" la società intorno. Come racconta un ex alunno, ora genitore: «Ecco perché la "mia" libertà di educare è per tutti...»
Paolo Perego

«Per la scuola parrocchiale? Ma certo ci mancherebbe. Che quel posto ci sia, ho solo da guadagnarci». Il "Mimmo" fa il panettiere a Pratocentenaro, periferia nord di Milano. L'occasione è l'open day della Maria Immacolata, la scuola che apre le porte all'inizio di novembre per mostrare "al mondo" la sua proposta educativa. Così si è pensato di chiedere ai tanti commercianti della zona di contribuire alla festa. Focacce, bibite, torte. Ma perché è così, per il Mimmo? Di che guadagno parla?
È la domanda che mi sono fatto davanti alla sua risposta. Insomma, per me, cresciuto in un contesto cristiano, dall'oratorio alle scuole cattoliche, e poi il movimento, mandare mia figlia all'asilo parrocchiale è l'espressione di una libertà di educazione che nasce dall'aver vissuto direttamente quell'esperienza. Ma davanti a quel "guadagno" si è aperto uno scenario. Che forse quella presenza, una piccola scuola con tre classi d'asilo e cinque di elementari, proprio nel centro del quartiere, vicino alla chiesa, può avere a che fare davvero con il bene di tutti. Oggi. Così come nei suoi sessant'anni di storia.
In più, da quest’anno mi trovo con un alcuni amici, genitori e non, a partecipare attivamente alla vita della scuola, impegnati nel Consiglio di istituto, oppure nel dare una mano a organizzare le varie attività di contorno alla didattica, dalle feste agli open day, appunto. Perché ne vale la pena?

Io a Pratocentaro ci sono nato. Quella scuola l'ho frequentata, come i miei fratelli. Asilo ed elementari. Allora c'erano ancora le suore di Maria Ausiliatrice, coadiuvate da qualche presenza laica. Le salesiane erano arrivate nel 1948, andando a riempire il vuoto che le suore del Cottolengo avevano lasciato dopo decenni di presenza in quello che, fino alla fine della guerra, era sempre stato un piccolo borgo di cascine, non lontano dalle grosse industrie che sorgevano tra Sesto e Milano: la Pirelli, la Breda... Il Dopoguerra cambiò quel volto. Milano cresceva e si allargava, arrivando a inglobarlo del tutto. Le case pericolanti lasciarono in fretta lo spazio ai condomini tirati su dalle cooperative operaie. Anche la vecchia chiesa sventrata da una bomba cedette il posto a quella nuova, molto più grande, color mattone. Più in là, verso l'Ospedale Maggiore, si costruirono edifici popolari, pronti ad accogliere immigrati dal Sud Italia, in gran parte, all'epoca del boom economico.
«Là dove c'era l'erba ora c'è una città», cantava Celentano. Ci si sarebbe dovuto aspettare che quella dimensione paesana, da sempre legata alla piccola parrocchia, all’oratorio, all'asilo delle suore - dove "tutti conoscono tutti", si direbbe -, ecco, che tutto questo sarebbe stato sepolto da tonnellate di cemento.
E invece guardi Mimmo. O Silvano, il ferramenta. O Pino e Leo, pizzaioli. Ma non solo. Guardi al fatto che tanti dei genitori dei compagni di tua figlia sono persone con cui sei cresciuto tra i banchi, all'oratorio, nei pomeriggi tra le vie del quartiere. E che molti hanno deciso di continuare a vivere qui. Che, in fondo, la maggior parte della gente che abita in queste case ha avuto a che fare, in qualche modo, con quella piccola scuola, da chi ci ha mandato i figli a chi l'ha frequentata, a chi ha amici, parenti, nipoti che ci sono passati…

Di certo i fattori di una dinamica simile sono tanti. Ma altrettanto certo è che quello che dal 1954 accade in quell'edificio di mattoni e tapparelle verdi in parte alla chiesa ha inciso non poco sulla vita del quartiere. E dei suoi abitanti. Un bene per tutti. Lo è sempre stato, da quando le sorelle del Cottolengo tenevano un piccolo asilo prima della guerra «perché la comunità ne aveva bisogno». E lo è stato poi, con la nuova struttura voluta da un grande parroco, perché continuasse il contributo della parrocchia alla vita della comunità. Un'opera portata avanti anche dai suoi successori, sempre fedele a quell'origine. Tanto da crescere alla fine degli anni Settanta, con l'apertura del primo ciclo di scuola elementare nell'ottobre del 1978. Scrivevano allora alcuni dei genitori impegnati in prima persona in questo passo, sul bollettino parrocchiale: «Quello che vogliamo è essere una significativa presenza, espressione di pluralismo, di partecipazione e di iniziativa collocata nella più viva esperienza civile e sociale. Non una supplenza all'iniziativa pubblica. Ma un luogo di incontro per tutti coloro che vogliono testimoniare i valori cristiani nell'educazione, che si pone come comunità cristiana che educa alla fede, nel contatto con persone che quotidianamente la vivono come criterio di giudizio per la realtà». Quanto di più lontano dal "fare politica": erano un gruppo di genitori capitanati da un prete, in fondo. Eppure quanto di più politico, nel senso di "capace di incidere nella società", ci possa essere. E leggere le parole della Nota di Cl, «per il solo fatto di esistere, se sono autentiche, le comunità cristiane sono appunto garanti e promotrici di democrazia sostanziale», ha fatto correre il pensiero subito a questa esperienza.

Quello che accade ora è che dei frutti di quel desiderio, quello di chi si è giocato in quest'opera negli anni di chi si gioca ora, ne godono tutti. Tradotto, la mia "libertà di educazione" è un bene per tutti. Genera vita, umanità, cambia il modo di vivere delle persone arrivando a incidere sui rapporti, sulle relazioni - basta guardare alle amicizie tra le famiglie del quartiere -, sulla vita sociale a ogni livello. Per esempio, che la popolazione "non invecchi" in età media, con il continuo ritorno di famiglie giovani, nelle vecchie case degli anni Quaranta e Cinquanta. O che i tassi di criminalità siano più bassi che altrove. O che i negozianti, come fruttivendoli, panettieri o droghieri, non chiudano bottega nonostante i supermercati e centri commerciali. C'è tutto questo in quelle tre teglie di focacce regalate dal Mimmo per l'open day. C’è il motivo reale, non ideologico per cui vale la pena che una realtà come una piccola scuola parrocchiale continui ad esistere. Perché è davvero per tutti.