Così lui, Ratzinger E Wojtyla ci stanno accompagnando a riscoprire il cuore di Pietro

PRIMO PIANO - PAPA FRANCESCO
Marina Ricci

Ho duplicato sulla mia pagina di Facebook una copertina costruita con le tre foto degli ultimi Papi. Chi l’ha pensata ha contrassegnato ogni Pontefice con una delle tre virtù teologali: la speranza a Giovanni Paolo II; la fede a Benedetto XVI; la carità a Francesco. E così mi ha aiutato a capire di più quello che avevo in testa fin dalla sera dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Ero in diretta, nell’emozione e nel caos di ciò che era avvenuto e di ciò che stavo facendo, e guardavo le prime immagini del nuovo Pietro rendendomi conto di quanto fossero di “rottura” rispetto al Papa precedente ed anche a buona parte della storia recente della Chiesa. Eppure avvertivo già l’ingiustizia di credere che Benedetto XVI fosse stato un Papa “incapace”, come molti in questi giorni sussurrano o affermano apertamente. E avevo già presente l’abbaglio di credere che possa esistere una storia della Chiesa buona e una cattiva. E che la questione sia miseramente riducibile a una inaspettata vittoria dei progressisti contro i conservatori. Perciò cercavo la continuità che avvertivo “a pelle”, ma che non riuscivo a chiarirmi nella testa.

L’uomo sulla riva del lago. La prima cosa che mi è venuta in mente è che non ci sarebbe stato oggi Bergoglio senza aver avuto ieri Ratzinger e Wojtyla. Abbiamo assistito negli ultimi decenni, avendola sotto gli occhi, ma forse senza rendercene chiaramente conto, a una riforma del Papato - cominciata con Giovanni Paolo II, proseguita con Benedetto e approdata a Francesco - che ha progressivamente spogliato la figura di Pietro dalle incrostazioni del potere, spingendola indietro verso l’immagine del pescatore di Galilea, di Pietro che era un poveretto, uno che di grande aveva solo l’aver totalmente affidato la sua miseria umana all’abbraccio misericordioso dell’uomo straordinario che aveva incontrato sulle rive del lago di Tiberiade. Questo è stato il primo pensiero che mi è venuto in testa.
Certo, ripensavo alle immagini di Benedetto XVI avvolto nei paramenti fastosi tirati frettolosamente fuori dalle cantine vaticane, nei quali Ratzinger spariva, inducendo a credere più in un suo disagio che in una sua convinzione. Lo guardavamo tutti chiedendoci il perché di un “incartamento” del genere della sua mitezza e umiltà. E avevo presente la differenza umana, caratteriale, dal suo predecessore, e quella sera già anche dal suo successore. Del resto da Wojtyla in poi tutti hanno cercato un nuovo Wojtyla, come se nella Chiesa non ci fosse posto (ed è questa la vera speranza per ognuno) per santità diverse. E come se non fosse possibile essere “giganti” anche se non se ne ha l’aspetto fisico o la capacità mediatica di agganciare le folle a causa dell’enormità della statura.
Eppure Benedetto, assediato nella stessa Chiesa dal male e dall’ambizione degli uomini, non solo ha resistito, ma è stato salda roccia della fede cristiana. Ho in mente non solo ciò che ha detto in tutto il suo Pontificato, ma anche ciò che ha fatto, rinunciando al potere secondo l’accezione che ci è più familiare, e scegliendo invece il servizio, il bene della Chiesa che ama più di se stesso. Mandando a casa tutti con una lezione che ha il sapore del sacrificio, del martirio.
Ho in mente la frase pronunciata nell’ultima udienza: la Chiesa non appartiene ai Cardinali e ai Papi, appartiene soltanto a Gesù Cristo ed è fatta di uomini e donne che vivono nel e del Corpo di Cristo. E che Benedetto XVI sia stato un grande Papa l’ha detto anche l’allora cardinale Bergoglio, commentando da Buenos Aires la rinuncia al Pontificato.

«Quo vadis, Domine?». Così Benedetto ha sgombrato a Francesco la strada già aperta da Giovanni Paolo. Così l’ho percepito guardando, in un’altra diretta, le immagini dell’elicottero bianco che andando verso Castel Gandolfo seguiva il tracciato della via Appia, la strada dei martiri della fede. La stessa strada di Quo vadis, percorsa da Pietro che fugge da Roma per evitare la persecuzione fino all’incontro con Gesù Cristo che viene in senso contrario. «Quo vadis, Domine?», chiede l’apostolo. Vado a Roma ad affrontare il martirio dal quale tu stai fuggendo, risponde Cristo.
In quella diretta ho ricordato quell’episodio e mi sono però resa conto che poteva sembrare l’accreditamento di una fuga di Benedetto. Ho capito poi che era invece proprio il contrario. Era per Benedetto XVI l’accettazione del suo personale martirio, anche quello dell’umiliazione e dell’incomprensione, perché Pietro potesse tornare a Roma. Abituati come siamo a ragionare in bianco e nero - tutti, non solo i cattolici - , perdiamo la capacità di riconoscere i colori, sorprendenti e imprevisti, della primavera che si è affacciata nella Chiesa con il sacrificio di Pietro.
Adesso guardiamo Francesco e già non vediamo più niente. Non voglio fare il giudice dei sentimenti e delle opinioni altrui. Quando ho sentito le prime parole di Francesco io ho pensato: non ha mai pronunciato la parola Papa, insiste sul Vescovo, questo è un bel guaio! Allora è il Papato, che, al di là delle pecche umane, è stato garanzia di libertà per la Chiesa cattolica, come dimostrano anche le vicende delle Chiese ortodosse, ad essere messo in discussione... allora è una rottura vera! E poi il nome Francesco, così travisato fino a ridurlo ad una icona irenista e animalista... E la Chiesa dei poveri per la quale negli anni post-conciliari ci si è scannati... E così di seguito.
Sento nei talk show, giudici del nostro tempo televisivo, i “conservatori” dire ai “progressisti vittoriosi” che smetteranno presto di ridere insieme ai laici nemici della Chiesa, oggi osannanti, quando si accorgeranno che Francesco non cederà sull’aborto e su tutti quei temi scabrosi nel rapporto col mondo contemporaneo... Come se fosse questione di tempo e tutto si risistemerà secondo le nostre categorie (in questo progressisti e conservatori insieme) e torneremo finalmente al nostro rassicurante tran tran mentale. Ma mi domando: lo Spirito Santo avrebbe provocato tutto questo terremoto, la rinuncia di Benedetto e l’arrivo di Francesco, per farci tornare a galleggiare nelle nostre quotidiane acque paludose?
Credo nella primavera della Chiesa, guidata dai suoi Papi verso nuove e limpide acque. E non trovo nulla di male, anzi sono felicemente stupita, nel vedere che persone lontane o nemiche della Chiesa possano essere colpite dall’apparire, ancora una volta, di un uomo che ama Gesù Cristo. Non è forse andata così fin dall’inizio?