Lo stupore di un inizio

PRIMO PIANO - PAPA FRANCESCO

«Le persone sono colpite dall’apparire di un uomo che ama Gesù Cristo». È quello che sta accadendo. Prima di tutte le ipotesi sulla Chiesa che sarà e sul nuovo Pontificato. Parole e gesti, innanzitutto da guardare. Perché ci mostrano il cristianesimo per come è: un avvenimento irriducibile. Ripercorriamo qui i primi i giorni da Papa di JORGE MARIO BERGOGLIO. Con alcuni contributi ed un breve viaggio nella sua vita e nel suo pensiero

Anzitutto, c’è quello che accade. Le parole e i gesti. Valgono più di mille ipotesi sulla Chiesa che sarà o che dovrebbe essere. E mostrano il cristianesimo per come è: un avvenimento sorprendente. Irriducibile alle nostre interpretazioni.
Di questi fatti, dal giorno dell’elezione, papa Francesco ne ha già mostrati molti. Gesti, come l’inchino a ricevere «la vostra preghiera per me», appena affacciato alla Loggia delle Benedizioni, o la visita «da pellegrino» a Santa Maria Maggiore, con in mano un mazzo di fiori per la Madonna, o le passeggiate fuori dalle mura vaticane, il saluto ai fedeli uno per uno a fine messa a Sant’Anna, la telefonata ai fedeli della «sua» Buenos Aires radunati in Plaza de Mayo, la rinuncia, appena possibile, al trono e all’anello piscatorio... E parole. Importanti. A cominciare dalle prime, in cui ha parlato di sé semplicemente come «Vescovo di Roma», Chiesa che «presiede nella carità tutte le Chiese». Non tutti se ne sono accorti, ma in quella citazione di Ignazio di Antiochia c’era il germe di una novità che riguarda il ministero stesso di Pietro. Non è un caso che alla messa di intronizzazione ci fosse anche Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli. Non accadeva dallo scisma del 1054. Come è stata inusuale, e di grande valore per l’unità dei cristiani, la preghiera sulla tomba di Pietro assieme ai Patriarchi delle Chiese orientali, subito prima della stessa messa. O il Vangelo proclamato in greco.
Sono molto di più che semplici «strappi al cerimoniale» dettati da un temperamento. Hanno a che fare con l’idea del Papato. E ne scopriremo il valore solo nei prossimi mesi, o anni. Come ci vorrà tempo per accorgerci di che portata hanno davvero tante altre cose che hanno colpito di papa Bergoglio. La semplicità assoluta dei tratti. L’uso continuo di parole come «custodia» e «tenerezza». O l’insistenza sulla «Chiesa povera e per i poveri» e su un potere che consiste tutto nel servire.
In molti casi si vede già qualche tentativo di parare il contraccolpo, di riportare tutto a categorie più familiari (il sentimento, da «Papa buono», o la politica, da «Papa rivoluzionario»), dando per scontato il modo con cui il Pontefice sta riconducendo tutto, sempre, all’origine: Cristo.
E invece è evidente che il centro è quello. Che i primi gesti di Francesco riecheggiano gli ultimi di Bendetto XVI, con quelle parole dette allo stesso modo da entrambi: «La Chiesa è di Cristo, non del Papa».
Tra i fatti più importanti accaduti in questi primi giorni di Pontificato c’è di sicuro l’incontro di Castel Gandolfo tra i «due fratelli», come ha detto lo stesso Bergoglio: l’abbraccio tra lui e Ratzinger davanti all’elicottero, la commozione per il dono dell’icona, la scena indimenticabile dei due uomini vestiti di bianco inginocchiati uno accanto all’altro, davanti alla Vergine. Un fatto storico, mai successo prima. Ma un fatto che va molto oltre l’inedito «passaggio di consegne». C’era - visibile - un’amicizia vera tra quegli uomini. Qualcosa di radicale, che trapassa consuetudini e ruoli e anche l’accento comune dell’umiltà, così evidente in entrambi. C’è l’unità totale che nasce dalla fede, dal riconoscimento, appunto, che tutto proviene da Cristo, e che con Lui «il cuore non invecchia mai», come ha detto il Papa nell’omelia della Domenica delle Palme.
Ecco, il modo in cui questo Pontefice ci sta mostrando questo, sfrondando tutto per riportare a Cristo, sarà uno dei tratti portanti dei prossimi anni. Impareremo a conoscerlo. C’è tempo. Ma il modo sarà sempre lo stesso: guardare quello che accade. Parole e gesti. Come iniziamo a fare in queste pagine.



In queste tre Letture vedo che c’è qualcosa di comune: è il movimento. Nella Prima Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda Lettura, il movimento nell’edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione. Camminare, edificare, confessare.
Camminare. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). Questa è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile. Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa.
Edificare. Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare.
Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ong assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.
Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro.
Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.
Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.
Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso. Così sia.  
(Omelia alla messa con i Cardinali,
Cappella Sistina, 14 marzo)



Cari Fratelli Cardinali, questo nostro incontro vuol’essere quasi un prolungamento dell’intensa comunione ecclesiale sperimentata in questo periodo. Animati da profondo senso di responsabilità e sorretti da un grande amore per Cristo e per la Chiesa, abbiamo pregato insieme, condividendo fraternamente i nostri sentimenti, le nostre esperienze e riflessioni. (...) Qualcuno mi diceva: i Cardinali sono i preti del Santo Padre. Quella comunità, quell’amicizia, quella vicinanza ci farà bene a tutti. E questa conoscenza e questa mutua apertura ci hanno facilitato la docilità all’azione dello Spirito Santo. Egli, il Paraclito, è il supremo protagonista di ogni iniziativa e manifestazione di fede. È curioso: a me fa pensare, questo. Il Paraclito fa tutte le differenze nelle Chiese, e sembra che sia un apostolo di Babele. Ma dall’altra parte, è Colui che fa l’unità di queste differenze, non nella “ugualità”, ma nell’armonia. Io ricordo quel Padre della Chiesa che lo definiva così: «Ipse harmonia est». Il Paraclito che dà a ciascuno di noi carismi diversi, ci unisce in questa comunità di Chiesa, che adora il Padre, il Figlio e Lui, lo Spirito Santo. (...)
Stimolati anche dalla celebrazione dell’Anno della Fede, tutti insieme, Pastori e fedeli, ci sforzeremo di rispondere fedelmente alla missione di sempre: portare Gesù Cristo all’uomo e condurre l’uomo all’incontro con Gesù Cristo Via, Verità e Vita, realmente presente nella Chiesa e contemporaneo in ogni uomo. Tale incontro porta a diventare uomini nuovi nel mistero della Grazia, suscitando nell’animo quella gioia cristiana che costituisce il centuplo donato da Cristo a chi lo accoglie nella propria esistenza.
Come ci ha ricordato tante volte nei suoi insegnamenti e, da ultimo, con quel gesto coraggioso e umile, il papa Benedetto XVI, è Cristo che guida la Chiesa per mezzo del suo Spirito. Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa con la sua forza vivificante e unificante: di molti fa un corpo solo, il Corpo mistico di Cristo. Non cediamo mai al pessimismo, a quell’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno; non cediamo al pessimismo e allo scoraggiamento: abbiamo la ferma certezza che lo Spirito Santo dona alla Chiesa, con il suo soffio possente, il coraggio di perseverare e anche di cercare nuovi metodi di evangelizzazione, per portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra (cfr. At 1,8). La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Questo annuncio resta valido oggi come lo fu all’inizio del cristianesimo, quando si operò la prima grande espansione missionaria del Vangelo.
Cari Fratelli, forza! La metà di noi siamo in età avanzata: la vecchiaia è - mi piace dirlo così - la sede della sapienza della vita. I vecchi hanno la sapienza di avere camminato nella vita, come il vecchio Simeone, la vecchia Anna al Tempio. E proprio quella sapienza ha fatto loro riconoscere Gesù. Doniamo questa sapienza ai giovani: come il buon vino, che con gli anni diventa più buono, doniamo ai giovani la sapienza della vita. Mi viene in mente quello che un poeta tedesco diceva della vecchiaia: «Es ist ruhig, das Alter, und fromm»: è il tempo della tranquillità e della preghiera. E anche di dare ai giovani questa saggezza. Tornerete ora nelle rispettive sedi per continuare il vostro ministero, arricchiti dall’esperienza di questi giorni, così carichi di fede e di comunione ecclesiale. Tale esperienza unica e incomparabile, ci ha permesso di cogliere in profondità tutta la bellezza della realtà ecclesiale, che è un riverbero del fulgore di Cristo Risorto: un giorno guarderemo quel volto bellissimo del Cristo Risorto!
(Udienza a tutti i Cardinali,
Sala Clementina, 15 marzo)



Voi avete la capacità di raccogliere ed esprimere le attese e le esigenze del nostro tempo, di offrire gli elementi per una lettura della realtà. Il vostro lavoro necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza “in persona”. Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza.
Alcuni pensavano a Francesco Saverio, a Francesco di Sales, anche a Francesco d’Assisi. Io vi racconterò la storia. Nell’elezione, io avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto emerito della Congregazione per il Clero, il cardinale Claudio Hummes: un grande amico, un grande amico! Quando la cosa diveniva un po’ pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi, viene l’applauso consueto, perché è stato eletto il Papa. E lui mi abbracciò, mi baciò e mi disse: «Non dimenticarti dei poveri!». E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. È per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato una relazione non tanto buona, no? È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero... Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! (...)Vi voglio tanto bene, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto. E penso al vostro lavoro: vi auguro di lavorare con serenità e con frutto, e di conoscere sempre meglio il Vangelo di Gesù Cristo e la realtà della Chiesa.
(Udienza ai rappresentanti dei media,
Aula Paolo VI, 16 marzo)




È bello questo: prima, Gesù solo sul monte, pregando. Pregava solo (cfr. Gv 8,1). Poi, si recò di nuovo nel Tempio, e tutto il popolo andava da lui (cfr. v. 2). Gesù in mezzo al popolo. E poi, alla fine, lo lasciarono solo con la donna (cfr. v. 9). Quella solitudine di Gesù! Ma una solitudine feconda: quella della preghiera con il Padre e quella, tanto bella, che è proprio il messaggio di oggi della Chiesa, quella della sua misericordia con questa donna. (...)
C’era tutto il popolo che andava da lui; egli sedette e si mise ad insegnare loro: il popolo che voleva sentire le parole di Gesù, il popolo di cuore aperto, bisognoso della Parola di Dio. C’erano altri, che non sentivano niente, non potevano sentire; e sono quelli che sono andati con quella donna: Senti, Maestro, questa è una tale, è una quale... Dobbiamo fare quello che Mosè ci ha comandato di fare con queste donne (cfr. vv. 4-5).
Anche noi credo che siamo questo popolo che, da una parte vuole sentire Gesù, ma dall’altra, a volte, ci piace bastonare gli altri, condannare gli altri. E il messaggio di Gesù è quello: la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore: la misericordia. Ma Lui stesso l’ha detto: Io non sono venuto per i giusti; i giusti si giustificano da soli. Va’, benedetto Signore, se tu puoi farlo, io non posso farlo! Ma loro credono di poterlo fare. Io sono venuto per i peccatori (cfr. Mc 2,17).
Pensate a quella chiacchiera dopo la vocazione di Matteo: Ma questo va con i peccatori! (cfr. Mc 2,16). E Lui è venuto per noi, quando noi riconosciamo che siamo peccatori. Ma se noi siamo come quel fariseo, davanti all’altare: Ti ringrazio Signore, perché non sono come tutti gli altri uomini, e nemmeno come quello che è alla porta, come quel pubblicano (cfr. Lc 18,11-12), non conosciamo il cuore del Signore, e non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia! Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché quello è un abisso incomprensibile. Ma dobbiamo farlo! «Oh, padre, se lei conoscesse la mia vita, non mi parlerebbe così!». «Perché?, cosa hai fatto?”. “Oh, ne ho fatte di grosse!». «Meglio! Vai da Gesù: a Lui piace se gli racconti queste cose!». Lui si dimentica, Lui ha una capacità di dimenticarsi, speciale. Si dimentica, ti bacia, ti abbraccia e ti dice soltanto: «Neanch’io ti condanno; va’, e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Soltanto quel consiglio ti dà. Dopo un mese, siamo nelle stesse condizioni... Torniamo al Signore. Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare. Chiediamo questa grazia.
(Omelia alla messa in Sant’Anna
in Vaticano, 17 marzo)



Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! (...) Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. San Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
(Omelia alla messa per l’Inizio del ministero petrino, Piazza San Pietro, 19 marzo)