Macerie dopo un attacco in Nigeria.

I cristiani nigeriani nell'inferno di Boko Haram

Sale il numero delle vittime ad opera del gruppo integralista. Nonostante il clima di violenza, spiega il vescovo di una delle diocesi più a rischio, «rimarremo». Un articolo dal Corriere.it per approfondire la situazione nello stato africano
Riccardo Bicicchi

C’è una linea immaginaria in Nigeria, che dal nord scende di trasverso fino al confine orientale, tagliando fuori lo spigolo di Paese che si incunea tra il Camerun, ad est, Ciad e Niger a nord.
Difficile attraversare quella linea con disinvoltura: i contractors occidentali sono spariti da tempo, troppo rischioso, non ci vanno facilmente i media stranieri, non ci si avventurano ormai quasi più neanche i nigeriani del sud, che un tempo vi si affollavano per stabilire fiorenti commerci.

Al di là si estende un lembo di terra dai panorami sconfinati di savana aperta che si rarefà via via in deserto man mano che si sale a nord, poche città grandi, simili più a paesoni di casette basse dal tetto di lamiera ondulata, strade polverose battute da un sole implacabile: il resto è campagna, punteggiata di villaggi di fango, ombreggiati da rade acacie, catene montuose, impervie colline di pietra compatta grigio scura, mandrie di buoi gibbosi dalle lunghe corna diritte accompagnate dai nomadi Fulani, i folletti delle pianure, che vivono in simbiosi con gli animali nel loro eterno peregrinare.

Questo posto è oggi una delle zone ad alto rischio dell’Africa, per certi versi la peggiore. Qui non è guerra, non ci sono linee, bande o fazioni identificabili, non puoi dire «ecco, qui sono al riparo, al sicuro»; qui è terrorismo della peggiore specie, strisciante, continuo, violenza primitiva, che usa il coltello più delle armi sofisticate, si muove al buio, quando la paura allunga le grinfie, nei vicoli dei quartieri di città come nei villaggi isolati delle campagne.
Siamo nel cuore delle zone infestate dall’odio fanatico di Boko Haram, la setta integralista che ha steso su tutto un velo pesante, palpabile, di terrore soffocante, difficile da raccontare.
Boko Haram. Suona quasi bene, pronunciato con l’acca aperta e aspirata della lingua Hausa, sa di deserto, di vento tra i cespugli spinosi, evoca carovane in marcia, lunghe teorie di viaggiatori, le corse dei cavalli tra le dune, qualcosa di misterioso ed evanescente. E invece è la morte.

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