Armand, le sbarre e la sorpresa di Dio
È un detenuto albanese che sabato ha ricevuto Battesimo, Cresima ed Eucaristia. Tutto dentro le mura del carcere. La stessa strada che aveva già percorso il suo padrino, Giovanni. «È Qualcuno che mi ha preso per mano...»Di persona in persona. Così si trasmette un’esperienza. E così da duemila anni a questa parte avviene anche per la fede. Che avvenga in un’aula di università o in una cella di un carcere, com’è successo a Padova sabato 25 maggio. Armand, un detenuto albanese di 36 anni ha ricevuto Battesimo, Cresima ed Eucaristia. Come padrino, Dinja, suo connazionale e detenuto per pene gravi come lui, già battezzato due anni fa con il nome di Giovanni, nel carcere penale di Padova “Due Palazzi”. Tutto si è svolto dentro le mura del carcere. Per Armand e il suo padrino di uscire anche poche ore non se ne parla proprio.
Come è arrivato a questo passo, lo ha spiegato Armand stesso in una lettera che ha voluto inviare a papa Francesco: «Mio padre è di religione musulmana, mia madre ortodossa. Ancora minorenne andai in Grecia in cerca di lavoro, poi in Italia sempre da clandestino. Un grave incidente automobilistico rese ancora più difficile la mia vita. È stato allora che ho calpestato quelli che oggi chiamo i miei fratelli, ma a quei tempi consideravo solo persone da rapinare e sfruttare. Ero come accecato. In carcere ho incontrato Cristo nello sconforto e nel fallimento della mia vita. In fondo a questo tunnel ho trovato persone che mi hanno preso per mano. Oggi è grazie a loro, con la lettura delle Sacre Scritture e con le preghiere, che posso dire di essere una persona diversa».
Anche Bledar Giovanni ha scritto a papa Francesco. E il suo itinerario è simile a quello dell’amico. Nei primi anni di detenzione, il buio totale e l’incapacità di riconoscere il proprio male. Poi, nei capannoni dove lavora, l’incontro con Franco, Marino e Ludovico. «Erano tutti ergastolani», scrive l’ex-capobanda. «Anche se la loro pena era uguale alla mia io li vedevo sorridenti. Ho cominciato a frequentarli al lavoro e anche in sezione. Andavano ogni domenica a messa e al sabato alla Scuola di comunità. Anch’io ho iniziato ad andare a messa non tanto per me, ma per vedere cosa fanno Franco, Marino e Ludovico, e lì ho visto che pregavano Dio. Così ho cominciato domenica dopo domenica, ad andare a messa e lì ho deciso che io appartenevo a Dio e che Dio mi apparteneva. Ho chiesto a Franco e a Marino se potevo anch’io andare con loro a Scuola di comunità».
«Storie di risurrezione germogliate nel deserto della disperazione e della dimenticanza», commenta don Marco nell’omelia. Una persona importante per Armand. È il cappellano del carcere, che assieme all’Ufficio catecumenato della diocesi ha seguito passo passo tutta la sua preparazione al Battesimo. «Il carcere è un deserto spietato», aggiunge. «Certi giorni ti addolcisce la morte con le sue nenie funebri. Il carcere è un deserto ospitale: nel suo silenzio qualcuno ti attira per parlare al cuore. Il vero fallimento non è abitare in un carcere, ma non sapersi dare delle risposte quando le domande sono urgenti». «Armand nel deserto ha ritrovato il senso della sua vita», è sempre il cappellano del carcere a parlare. «Attraverso la manualità del lavoro ha iniziato a ricostruire la sua dignità, sfogliando le pagine del Vangelo ha scoperto la capacità di stupirsi, sentendo parlare di Gesù Cristo ha avvertito il sospetto che ci fosse Qualcuno capace di trasformare la colpa e il delitto in occasione di grazia. D’altronde il cemento e il ferro nulla possono contro le sorprese di un Dio che irrompe quando meno lo aspetti, che s’infila dentro le ferite più assurde dell'umano. La furbizia di Armand è stata quella di non sottovalutare il fattore "misericordia", quella che non cancella la giustizia ma che è capace di far rinascere l’uomo».
Tante persone da ringraziare al temine della messa. Don Marco cita il direttore della struttura Salvatore Pirruccio, la polizia penitenziaria, Nicola Boscoletto a nome di tutto il consorzio Giotto, i diaconi e i catechisti che hanno accompagnato Armand, che da oggi ha aggiunto il nome Davide, nel suo percorso catecumenale. Una catena di facce, di incontri, di occasioni, in cui la verità intuita diventava ogni giorno più vera e palpabile. Un popolo molto composito, gli amici del lavoro e della Scuola di comunità, ma anche tanti altri detenuti e altre facce amiche. Il popolo che il Signore sta suscitando anche qui, dietro queste mura, non conosce etichette né confini.