Rohani e la partita a poker del Medio Oriente
Far ripartire i negoziati con l'Occidente. È ciò che il Paese chiede al nuovo presidente. Per risollevare l'economia in ginocchio, usando la carta del nucleare e quella della Siria. Il professor Ramin Jahanbegloo spiega il gioco di TeheranIsraele e Stati Uniti oggi hanno le mani legate. Il nuovo presidente Hassan Rohani non sarà un moderato come si intende questa parola in Occidente, ma di certo costringerà a dipingere il nemico iraniano come un po’ meno cattivo. Anche perché il suo compito è chiaro: quello di tornare ai negoziati. Ne è convinto Ramin Jahanbegloo, iraniano oggi residente in Canada, professore di Scienze politiche e islamistica all’Università di York. Nel suo curriculum, Jahanbegloo ha gli studi alla Sorbona e ad Harvard, ma anche la prigionia di quattro mesi nelle carceri di Teheran, con l’accusa di spionaggio. In questi giorni era a Milano per intervenire all’incontro del Comitato scientifico della Fondazione Oasis.
Si aspettava l’elezione di Hassan Rohani?
La sua vittoria è stata una sorpresa anche per gli iraniani che lo hanno votato. Tutti si aspettavano, dopo l’esclusione dei riformisti come Rafsanjani, un altro presidente conservatore. Ma questa elezione può avere due significati legati tra loro. Il primo è di politica interna: al nuovo presidente è chiesto di risolvere la situazione economica grave in cui versa il Paese, glielo chiedono sia gli elettori sia l’establishment. Le sfide sono il rilancio dell’economia e la lotta a disoccupazione e inflazione. Ma la scommessa non può essere vinta, e questo è il secondo aspetto, senza che la comunità internazionale tolga le sanzioni imposte a seguito del programma nucleare. Dunque il compito di Rohani è quello di riaprire i negoziati.
Cosa significa che è anche l’establishment a chiederglielo?
Rohani non sarebbe stato eletto senza il consenso della guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e senza quello dei custodi della Rivoluzione. È stato scelto proprio perché ha un passato da negoziatore e, allo stesso tempo, fa parte del clero. Anche Saeed Jalili è un negoziatore, ma non appartiene al clero. Rohani è considerato un moderato e un riformista. In questo frangente, probabilmente, si è accettato che fosse lui alla presidenza per evitare che si ripetano le violente proteste del 2009. Ci si è voluti liberare di Ahmadinejad e della sua eredità politica.
In che senso Rohani è un moderato?
Nel senso che non è un conservatore. Detto questo non necessariamente proverà a fare riforme costituzionali. È moderato perché è vicino a Khatami e Rafsanjani e ha detto che si ritiene pronto a negoziare con l’Occidente. Questi sono gli unici punti in cui si differenzia rispetto a quelli che erano i suoi avversari, Mohammad Bagher Qalibaf e Saeed Jalili.
Quali saranno le prossime mosse del nuovo Presidente?
Innanzitutto ha bisogno di rinsaldare il proprio potere ottenendo la legittimazione della guida suprema. Ha bisogno di garanzie per poter procedere in modo sicuro e intraprendere il nuovo negoziato. Penso che si comporterà in modo più razionale rispetto ai suoi predecessori, anche solo per il fatto che il Paese si trova in una situazione economica molto grave e non può fare passi falsi. Certamente proverà a salvare la faccia senza apparire come quello che fa fare inversione a U al Paese. Ma allo stesso tempo accetterà alcune condizioni dell’Occidente. Soprattutto perché - e penso sia la ragione per cui è stato eletto - il negoziato è una garanzia perché non avvenga un attacco da parte israeliana. Oggi Israele è in una situazione scomoda e si è visto un po’ dalla reazione di Netanyahu. Il nemico iraniano appare oggi un po’ meno cattivo, dunque ci sono meno ragioni per mostrare i muscoli. Ora il mondo dirà: date una chance a Rohani. Allo stesso modo l’amministrazione Obama ora ha le mani legate perché deve attendere come si comporterà il nuovo Presidente.
Ma Rohani ha già detto che il programma nucleare andrà avanti.
Il programma nucleare continuerà, ma non nello stesso modo. Ci sono due temi sul tavolo dei negoziati: la Siria e il nucleare. Sono due questioni che vanno in parallelo. Ora gli iraniani suggeriscono che possono risolvere il problema siriano - assieme alla Russia - a patto che vengano tolte le sanzioni internazionali imposte per l’avanzamento del programma nucleare. E alla fine io penso che continuerà, ma in un modo pacifico. Nel dettaglio, poi, si discuterà della percentuale di uranio arricchito che l’Iran potrà produrre.
Qual è l’obiettivo sul fronte siriano?
Teheran vuole l’egemonia e la supremazia in Medio Oriente. Quella che sta giocando è una partita a poker con l’Arabia Saudita, la Turchia e Israele. Quali sono le sue carte? Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina, Moqtada al Sadr in Iraq. E sono carte importanti. Hanno perso le carte dell’Egitto e della Tunisia che sono andate ai sauditi. E hanno anche perso la carta dell’economia: ora il modello turco sembra essere quello vincente. Ma allo stesso tempo la loro influenza sui gruppi radicali negli altri Paesi è molto forte e possono dire di essere il modello per combattere l’imperialismo occidentale. Così ad americani e europei dicono: dovete trattare con noi se non volete che vi scateniamo contro i nostri alleati nella regione. Se non si vuole che scoppino conflitti settari in tutto il Medio Oriente è nelle cose che si debba venire a patti con l’Iran. E gli iraniani questo lo sanno. Sarebbe sbagliato pensare che abbiano già perso la partita. Sono ancora molto forti.