IL TESORO NASCOSTO

PRIMO PIANO - POVERTÀ
Alessandra Stoppa

I dati sulla crisi sono sempre più allarmanti. E la povertà aumenta. Ma che cosa ci promette l’invito continuo del Papa a condividere il bisogno degli ultimi? E perché è una strada per scoprire «la gioia del Vangelo»? Dall’Evangelii Gaudium all’imponenza della Colletta Alimentare, alla rete dei Banchi di Solidarietà, siamo andati a vedere dove porta l’esperienza di chi chiede e di chi dà

Amerigo è lì, piegando il suo carattere chiuso, a bussare alla porta della villetta di fronte, in una zona residenziale di Udine. È una sera d’inverno e il suo vicino, Paolo, con cui si salutano e nulla più, apre e non si aspetta un abisso di confidenza così a bruciapelo: «Ho venduto anche gli ori e i mobili. Non ho più da mangiare». Il giorno dopo Paolo sarà a casa sua, con il cibo e i soldi per pagare l’affitto. Quello dopo ancora, con una stufa e della legna per riscaldare la casa. Poi la colletta con altri amici per comprargli un furgone e farlo riprendere a lavorare. O l’aiuto a cercare un impiego per la moglie. L’elenco è lungo quanto due anni di amicizia da quella sera.
«L’ho fatto perché un uomo ha bussato alla mia porta». Paolo, che oggi guida il Banco Alimentare del Friuli-Venezia Giulia, è stato educato da anni di caritativa ad un’apertura di cui non siamo capaci, come non lo era Amerigo: «E chi lo sapeva cosa volesse dire non riuscire a pagare luce e gas? Non sono mai stato ricco, ma non mi era mai mancato nulla». Dopo trent’anni di attività, la sua ditta di trasporti è andata in crisi. Lui ha rischiato, aprendo un bar che è fallito in sei mesi. Ha venduto tutto ciò che poteva. Aurora, la figlia di sedici anni, si è messa a fare i capelli alle signore in casa. «Ma non è bastato. Siamo precipitati giù. Se quella sera non avessi parlato con Paolo, sarei morto, come gli imprenditori di cui parla la tv». La «botta», la chiama così, «mi ha insegnato tanto. Anch’io ero una persona disponibile, ma in famiglia e con gli operai. Sempre solo fino ad un certo punto. Invece ho incontrato persone, Paolo e i suoi amici, che non pensavo esistessero: loro vivono in un altro modo. Vivono un altro tipo di vita. Io mi sto riprendendo e sto iniziando pure io a guardare le cose in modo diverso. Anche mia moglie me lo dice».
L’apostolo Paolo, per capire se stava correndo o aveva corso invano, usava un solo criterio: se si fosse dimenticato dei poveri. Ce lo ricorda il Papa nell’Evangelii Gaudium. Dice che i poveri sono la nostra «chiave del cielo». La loro vita ha una forza di salvezza e ci comunica una misteriosa sapienza per la nostra. Spiega anche che Gesù non solo si è fatto povero, in tutto, ma si è identificato con gli ultimi e ha detto ai suoi:?«Voi stessi darete loro da mangiare». «Ci ha indicato questo cammino di riconoscimento dell’altro» con la sua stessa vita. «È un messaggio così chiaro e diretto», dice il Papa, «che non si può oscurare», basta non allontanare la realtà con «apparati concettuali» e interpretazioni. Ma avvicinarsi ad essa. Guardare, per esempio, cosa succede tra chi chiede e chi, dando, riceve.
I rapporti che nascono dalla vitalità di un fatto come la Colletta Alimentare, o nel popolo dei Banchi di Solidarietà in tutta Italia, nascondono un tesoro di gesti e parole che vibrano per la fede e per viverne sempre di più.

Sotto la soglia. Tatiana ha chiara una cosa: «Non mi sento più inutile». Poco più che trentenne, si è ritrovata con marito e quattro figli davanti ad un’ingiunzione di sfratto da un palazzone di immigrati nella Bassa bergamasca. «Ma proprio in quel periodo, Marco ha iniziato a portarmi il cibo una volta al mese. E allora anche l’incubo del mio passato non ha pesato più». Sembrano due cose che non c’entrano nulla, per lei coincidono: «Non ho una bella storia e sono sempre stata abbandonata per questo. Marco invece non si è scandalizzato. È entrato a casa mia». Come Rosa, toscana, che si vergognava e quando arrivavano a darle il pacco nascondeva in camera il suo compagno alcolizzato. Finché, ad un’assemblea del Banco, non ha sentito il prete dire che «Dio ha tempo per noi, si interessa di noi». Quella stessa sera il suo uomo è tornato ubriaco. «Ero così arrabbiata, stavo per mandarlo in camera... Ma, poi, l’ho guardato. Perché ho saputo che sono amata».
I poveri hanno «una speciale apertura di fede», come dice il Papa. Per questo «è necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro».
Lorenza ha sempre odiato essere povera. Per l’Istat è sotto la soglia: ha 44 anni, lei e il fratello stanno in casa con i genitori e vivono della loro pensione. È disoccupata dal 2011, prima era precaria. «Ora, però, non odio più la mia condizione. Mi ha aperto gli occhi». Ha perso tante cose, ha rinunciato a molte altre, come la macchina e la possibilità di muoversi dalla casa sulle colline umbre dove vivono quasi isolati. Ha cercato lavoro, ha chiesto, ma sentiva lo scoraggiamento di tutti. «Non sapevano cosa dirmi». La notte di Natale di un anno fa l’ha passata a piangere, e guardando il presepio si sentiva come quella culla nella grotta. «Poi ho pensato: no, sono meno della culla. Sono la paglia». Ma «al fondo del pozzo», come lo chiama lei, ha realizzato: «Gesù la paglia l’ha presa. Ha deciso di nascerci dentro». Ha ripreso tutto il valore di se stessa, e delle cose. «Mi ha liberata non solo il fatto di perdere tutto ciò a cui di solito la vita si attacca, ma l’attaccarmi all’unica promessa vera, l’incontro che ho fatto con Cristo. Anche quando torna il buio, non mi sento mai staccata». Oggi condizioni e prospettive non sono cambiate, è arrivata alla Colletta con 80 euro sul conto corrente, ma ha fatto la spesa e il turno da volontaria. «Per gratitudine. Perché tutto quello che ho, mi è dato. E il mio bisogno è essere amata perché ci sono e non per un’idea di me. Ma proprio così come sono».
È il bisogno che domina nel breve viaggio al Banco di Solidarietà di Roma, la sera in cui si preparano i pacchi in un salone vicino a Rebibbia. Avvocati e povera gente riempiono le scatole insieme, per oltre 170 famiglie. «Continuiamo ad essere colpiti e a vedere altri colpiti da uno sguardo che passa tra noi e non è nostro. Abbraccia l’uomo come nessuno di noi sa fare», racconta Fiero da cui è nata quest’avventura nel 2009. Bianca è avvocato, appunto. È qui con la figlia di otto anni perché è «la cosa più grande» che le può mostrare. «Io mi sento in debito con loro», dice riferendosi alla famiglia cui lo consegna: «Senza, mi perderei nel tran tran delle giornate. È un momento di grande stress lavorativo, non ho tempo per respirare, ma non posso rinunciare a questo, perché influenza molto la mia vita». Come? «Mi dà un senso di gratitudine profondo, un significato grande... Non si può dire. Bisogna provarlo». Qui, nella più assoluta normalità, c’è tutto il bisogno di tutti di ricominciare a vivere sempre. C’è Jenica, che viene assistita e di notte si sveglia per asciugare i letti dei figli con il phon per l’umidità della casa, ma ha voluto partecipare alla Colletta. C’è Giovanna, tra i volontari “veterani”, che si è ritrovata stanca e amara nel dire all’amica Lina: «Ti preparo il pacco, ma poi va tu». Poi: «No dài, ti accompagno, ma non salgo». Dopo ancora: «Salgo, ma non mi fermo». Tutto un arginare, un misurare, «poi arrivo là e quella signora che ci aspettava si è ricordata chi fossi. Ci saremo viste una volta e si ricordava di me. Il Mistero viene a salvarmi, e non mi chiede altro che la disponibilità dell’anima». Davanti ai fatti più piccoli, così piccoli che possono essere travisati o non visti.

Il perché del gesto. «La storia di Dio con noi non viaggia nelle cose grandi», dice Gabriele impilando i pacchi per le “sue” famiglie. Ne parla come delle persone più importanti del mondo. Per lui tutto è iniziato con Mara, «una bellissima ragazza rom che chiedeva l’elemosina in via Nomentana», e oggi è amico di tutto il suo clan: «Tu dovresti vedere la loro gioia», ripete mentre racconta del nipote che ha iniziato ad andare a scuola, della figlia che è stata operata alle gambe, del cugino cui fa visita in una palazzina occupata... Ma di tutto questo, a lui cosa resta? «Noi siamo cattivi e faremmo altro. Io farei altro. Ma sono tirato fuori dalla sorpresa di qualcosa che succede. L’incontro con un’umanità, fatta di una miriade di particolari: se ne seguo anche solo uno, apre uno spazio in me che non ci sarebbe, mi porta dove non andrei ma dove sono felice. Io in loro vedo il volto del Signore. È questo». Così ogni mattina prega per avere «l’amicizia dei poveri».
Anche Marisa avrebbe fatto altro, quel giorno. È indaffarata quando arriva l’ennesima telefonata di Nuccia, la signora cui porta da mangiare in un paesino in provincia di Milano. La chiama dal reparto di Psichiatria. «Vedrai che vorrà solo le sigarette o le caramelle alla menta. Ma io ho da fare!». Eppure pianta tutto, e va. Mai quieta sul perché di quel tempo, di quel gesto. «Non sono felice ad essere la misura del bisogno dell’altro, allora non so perché mi chiama, ma mi chiama...». Nuccia l’aspetta sulla porta del reparto, mezza nuda. La abbraccia, la bacia, le sbava le guance. «In quel momento è cambiato tutto. Cercava l’abbraccio di Cristo in una povera crista come me. Cercava il significato che cerco io».