«Noi siamo già liberi»
Al via un ciclo di incontri sull'educazione, tra giovani e adulti di una parrocchia sull'Esquilino. Protagonisti Wael Farouq e i ragazzi del gruppo Swap. Piazza Tahrir, la tradizione e lo stupore per l' altro. Perché tutto è nella personaLa libertà è l’anima dell’educazione. Qualunque genitore o insegnante lo sa. Per chi è stato educato nel carisma di don Giussani, poi, questo è ancor più evidente, poiché proprio nell’appello alla libertà sta il fascino della proposta che Giussani lancia a tutti quelli che incontra. E il tema della libertà è stato il cuore dell’incontro che si è tenuto sabato 18 ottobre sulla terrazza-tendone de Il Centro di Roma, il luogo di ritrovo per i giovani nato dalla passione educativa di don Sergio Ghio.
I primi ragazzi che, anni fa, hanno cominciato a studiare e fare Scuola di comunità con lui, nei locali allora semi-diroccati dell’oratorio ottocentesco, sono ormai giovani padri e madri. Nel tempo, molti genitori dei ragazzi del catechismo della vicina parrocchia si sono coinvolti in un’amicizia che dura oltre l’età scolastica dei figli. Ne è nata una realtà vivace: persone adulte che hanno cercato il modo per aiutarsi ad educare e ad educarsi, facendo di questa occasione una proposta per tutti. Ha preso forma così “Il compito di educare”, il ciclo di appuntamenti che da qualche anno chiama personalità significative a confrontarsi su temi concreti. I testimoni che via via hanno risposto a questo invito (da Gemma Capra Calabresi a Massimo Camisasca, da Luigi Ballerini a Erasmo Figini) hanno segnato la strada di una bella amicizia fra chi, con semplicità e passione, cerca di aiutarsi nel compito più difficile e affascinante della vita.
Sabato scorso, il primo appuntamento di quest’anno con il professore di Lingua araba Wael Farouq e con tre studentesse dell’Università Cattolica di Milano: Jasmin el Habak, Monica Tawfilas e Omnia Abbas. Figlie milanesissime di genitori egiziani, di religione cristiana e islamica, Jasmin, Monica e Omnia hanno con passione raccontato di come, dall’incontro con Farouq e dal suo invito a non fermarsi ai giudizi superficiali dei giornali, abbia preso forma una vera attività di ricerca e un coinvolgimento con i fatti dell’Egitto, che ha portato alla nascita del gruppo Swap e alla mostra del Meeting di quest’anno: “Quando i valori prendono vita”.
Il criterio di fondo che contraddistingue il loro approccio è proprio l’attenzione alla persona: ogni attore sulla scena del mondo, e quindi anche in Piazza Tahrir, è prima di tutto una persona. Questo è il giudizio che ha cambiato il modo di accostare gli avvenimenti, ed ha consentito agli studenti di Swap di superare gli stereotipi, incontrare volti e fatti, fare scoperte, esprimere un giudizio sugli avvenimenti. E arrivare a dire che l’incontro fra musulmani e cristiani è, non solo possibile, ma desiderato e già in atto.
Il professore ha esordito raccontando un episodio della sua adolescenza, di come la sua curiosità di conoscere e leggere le storie dei profeti anche nella Bibbia lo avesse messo in difficoltà con i coetanei e gli adulti della sua scuola. «Il pregiudizio è una conoscenza senza curiosità». Mentre è proprio la curiosità che ci spinge verso la realtà e ci aiuta a non cristallizzare la nostra opinione, a non diventare ideologici. «Anche la religione, anche la parola di don Giussani può diventare ideologia». Dice che de Il senso religioso lo hanno colpito due cose: «La considerazione della tradizione come qualcosa da rinnovare costantemente, da vivere in prima persona, qualcosa che deve accadere qui ed ora per essere vera. E poi la categoria dell’altro, dell’altro da sé: io mi conosco grazie all’altro, al tu».
Troppo spesso, come spiega Farouq, nell’Islam moderno si vede «una frattura fra il tempo e lo spazio». C’è chi si accosta completamente ai valori della modernità secolarizzata, e vive quindi nel tempo ma in un altrove spaziale, trasportandosi completamente in Occidente con la mentalità. E chi si attacca alla tradizione in modo cristallizzato, vivendo perciò nel proprio spazio, ma non nel proprio tempo, perennemente immerso in un passato che non è più. Invece, la tradizione è come l’acqua, che prende la forma del recipiente. «Il recipiente della tradizione siamo noi. La tradizione deve prendere forma in noi qui ed ora, per essere perennemente rinnovata e vivificata». È quello che ha fatto don Giussani, è quello che possiamo fare noi ogni giorno.
È evidente che ciò di cui parlano il professore e le ragazze è qualcosa di vivo, che gli sta accadendo, anche al di là delle loro stesse previsioni. Lo testimoniano gli sguardi allegri delle studentesse, il rapporto paterno che Farouq ha con ciascuna, la confidenza e insieme il grande rispetto. Più di una volta il professore dice: «Ho imparato questa cosa dai miei studenti...», «Questo me l’hanno insegnato i ragazzi...». È bello vedere in atto l’esperienza di scambio che sempre l’educazione porta in sé. E che genera la capacità di giudizio.
La libertà. Il professore racconta di quando al Cairo, nei giorni della protesta, un ragazzo in piazza gli ha detto: «Noi siamo già liberi», e di come questo gli abbia cambiato la prospettiva. La libertà non è qualcosa che qualcun altro ci dà, è qualcosa che scopriamo di avere in atto. O qualcosa che possiamo vedere in chi ce la testimonia.
«Mi dicono che sono amico del movimento», conclude: «Ma io dico: nessun uomo può essere amico di un movimento. Io sono amico con le persone del movimento». La differenza è tutta qui, nello stupore pieno di rispetto del mistero di ogni essere umano, cristiano o musulmano che sia. Non c’è educazione senza libertà, non c’è libertà senza educazione. Stasera lo abbiamo visto.