Monsignor Dieudonné Nzapalainga.

Un leone in zucchetto e talare

Centrafrica. Tra le fiamme dei recenti scontri, un uomo si impegna per evitare che il popolo cada nella disperazione. Tra cristiani e musulmani, senza distinzioni. Un missionario carmelitano scalzo racconta del suo giovane Arcivescovo
padre Federico Trinchero

In Centrafrica di leoni, da tempo, non ce ne sono più. Non è quindi una meta particolarmente ambita per chi ama un safari tra bestie feroci e paesaggi mozzafiato. Ma se foste in questi giorni qui a Bangui - la capitale di un Paese che è grande due volte l’Italia, ma che vi sfido ad indicare rapidamente sulla carta geografica - potreste vedere con i vostri occhi un leone che si aggira tra le macerie di un paese che quasi non c’è più. Il poco che c’era è andato distrutto. Il leone in questione porta uno zucchetto viola e indossa una talare nera. Ha una semplice croce al petto. E non ruggisce affatto, ma stringe le mani a tutti, fossero anche ancora un po’ sporche di sangue. Non importa se siano di cristiani o di musulmani. È l’unico che riesce a stingerle entrambe senza farsi del male, senza fare del male. Il leone è monsignor Dieudonné Nzapalainga, il giovane arcivescovo di Bangui.

Da ormai cinque giorni la città di Bangui è paralizzata. Sono ripresi gli scontri che avevano incendiato il paese tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, in seguito ad un colpo di stato, l’ennesimo, fallito. Gli scontri sono stati violenti, incredibilmente violenti: gente sgozzata, case incendiate, saccheggi, barricate sulle strade. Chi abita qui non è molto stupito. Si sapeva bene che la pace non era ancora arrivata e che sotto la cenere c’erano carboni ben accesi. Ed è bastata una scintilla per scatenare di nuovo l’inferno.

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