Padre Pizzaballa durante l'incontro a Bergamo.

Pizzaballa: «La nostra meta non è Itaca»

Davanti a guerre e disordini, quale futuro per i cristiani del Medioriente? Secondo il Custode di Terra Santa ci sono due possibilità: la tranquillità di Ulisse o la certezza di Abramo. Ecco come si può seguire la seconda via
Martina Liut

«Il male non è l’ultima parola». A dirlo, ieri sera a Bergamo è stato padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, durante l’incontro: "È possibile una testimonianza più forte del male? Dal dramma del Medioriente un’esperienza che sfida anche noi". Come è possibile affermare questo, con grande serenità, davanti ai fatti dolorosi che, anche negli ultimi giorni, vessano questa terra?

Oltre settecento persone hanno partecipato all’evento di Bergamo Incontra, l'associazione che da nove anni racconta realtà che testimoniano una passione per l’umano e il vero, un modo di vivere le sfide cui l’uomo è chiamato, sia nella quotidianità sia nelle grandi svolte della storia.

«Per i cristiani non è importante essere in tanti, ma avere qualcosa da dire», ha affermato padre Pizzaballa. «Siamo pochi, ma non siamo irrilevanti nel cuore della società. La presenza cristiana in Medioriente è storica. Da duemila anni, nonostante tutte le guerre e le difficoltà, è parte integrante dell’identità di quella terra e garante di pluralità e di libertà di coscienza. Anche se ormai siamo l’1% della popolazione, la scomparsa di noi cristiani sarebbe segno dell’impoverimento di quel territorio e della vittoria del fondamentalismo». In Medioriente ci sono cristiani che sono capaci di vivere dentro il dramma di una situazione terribile senza rinunciare a ciò che dà consistenza alla loro esistenza.

Il Custode ha raccontato alcuni esempi. Ad Aleppo, una città da mesi senza acqua ed elettricità, i frati francescani si sono organizzati per distribuire quella poca acqua che raccolgono dal pozzo del convento per tutte le famiglie bisognose della città, musulmane e cristiane, senza differenza. Un frate francescano che vive nel Nord della Siria, caduto in mano ai ribelli, dopo essere riuscito a scappare grazie all’aiuto di un religioso musulmano, ha deciso di tornare nel suo paese. Perché non si è ritirato in un posto sicuro? In fondo ne aveva tutte le ragioni.

Ma cosa vuole dire essere al sicuro? Qual è l’aspirazione del cristiano di oggi? Approdare in un porto senza pericoli, in un luogo dove ogni cosa è "al suo posto" o partire, lasciare tutto per una terra sconosciuta, portando con sé l’unica vera certezza in grado di sostenere l’uomo in ogni situazione, cioè la promessa di Cristo?

Padre Pizzaballa ha così introdotto una riflessione nuova: «La nostra civiltà ha due modelli. Ulisse, la figura di riferimento del mondo greco, e Abramo, quella del mondo giudaico cristiano. L’eroe greco deve superare tante situazioni avverse, ma la sua prospettiva è quella di tornare a Itaca, tornare a casa sua, dove ci sono tutte le sue sicurezze, lo status quo lasciato alla partenza. Abramo è l'opposto. Ha abbandonato tutto: la sua terra, la sua casa, per andare in una terra straniera. Quando, poi, la sua promessa stava per essere compiuta, Dio gli ha chiesto il sacrificio del figlio. Abramo ha ricevuto una promessa, ma non l'ha mai posseduta. Nonostante ciò, aveva una certezza nel cuore, un amore che l’ha spinto a fare quello che ha fatto. Se si ha dentro questa certezza si vedono anche i più piccoli segni di questa promessa già iniziata e non ancora realizzata. La tentazione che abbiamo è invece a volte quella di tornare alla nostra Itaca».

Il padre francescano scappato dai ribelli poteva decidere di ritirarsi al sicuro e come Ulisse tornare alla "sua Itaca". Invece ha voluto, tornando nel suo paese, seguire la strada di Abramo, essere sempre in cammino, testimoniando che il male non è l’ultima parola.
«Il bene e il male ci saranno sempre», ha spiegato il Custode; «Non è compito dei cristiani spazzare via il male dalla terra, questo è il programma dell’Anticristo. Perché per togliere il male bisognerebbe togliere la libertà. Il peccato non è l’ultima parola, grano e zizzania coesiteranno sempre, ma posso, con la mia testimonianza, portare uno stile di vita diverso. La promessa cristiana la senti nel cuore e ti spinge ad agire e ti consente di vivere nonostante il male».

Riferendosi alla migrazione sempre più consistente che dal Medioriente si sta muovendo verso l’Occidente, Pizzaballa ha detto, concludendo l’incontro: «Non dobbiamo aver paura dell’altro, perché l’altro non è una minaccia: è una provocazione a cambiare la nostra posizione e vivere in un modo più vero. Io ho bisogno dell’altro per far cadere la mia Itaca. Quello che ho imparato nella mia vita è che accogliere le differenze ti dà la possibilità di metterti in discussione e scoprire un pezzo di verità in più. Se ti lasci provocare, l'altro ti aiuta a rileggere la tua esperienza in modo sempre nuovo».