Silvio Cattarina e i ragazzi della comunità "L'imprevisto".

Quando la corazza si spacca

L'incontro con Silvio Cattarina, fondatore della comunità L'imprevisto di Pesaro. Un luogo dove ciascun ragazzo è chiamato a prendere sul serio il proprio cuore. Perché il «fuoco della vita deve essere sempre acceso»
Viera Catalfamo

Lo scorso 10 novembre la Cooperativa "Parsifal" e il Centro culturale "Il sentiero" di Palermo hanno proposto presso la sede del Centro culturale un incontro con Silvio Cattarina, fondatore della comunità di recupero per tossicodipendenti L'imprevisto di Pesaro. L'occasione è stata la pubblicazione dell'ultimo testo di Cattarina, Un fuoco sempre acceso.

Non ci sono stati dubbi nel rintracciare il senso del titolo: il fuoco sempre acceso deve essere quello che brucia nello sguardo di quell'uomo e dei suoi ragazzi (dai quali Silvio si fa sempre accompagnare), che sembra non estinguersi mai. Nel corso dell’incontro emerge il motivo: quel fuoco - quella vivacità di vita, quella veridicità estrema sul senso delle cose - non è un loro possesso, né possono generarlo. Lo custodiscono, educandosi l’un altro a prendere sul serio il proprio cuore, perché, come dice Cattarina: «La vita non ti chiede di essere bravo in tutte le cose, ma in una sola, nell’avere un cuore grande. Tutto il resto ti verrà a partire da questo». A L'imprevisto, ci si educa a prendere sul serio il desiderio di cui ciascuno è fatto e che urge indomabilmente in ogni gesto; è un’educazione reciproca, perché, come ha esordito ironicamente Cattarina, lui è «entrato in comunità 35 anni fa».

Il fuoco che brucia negli occhi maturi di Cattarina, come in quelli giovani e già profondi di Matteo e Massimo, «i suoi amici della comunità», è la scoperta di un amore che non ha limiti e che non si scandalizza di niente, che viene prima di ogni capacità e di ogni azione - viene prima della nascita - e abbraccia ogni momento. Una fonte d’acqua viva: zampillante e fredda da spaccare i denti, certo, ma soprattutto, come diceva il papà ad un giovanissimo Silvio, «che ha buttato sempre».

La vita è una questione di vocazione, dice Cattarina alla platea: la persona è la chiamata che le viene rivolta e ciascuno ne riceve una. Un tipo stravagante ha utilizzato una volta una storiella per spiegare bene la questione: c’è uno sposo che va in giro per invitare gli amici al suo banchetto di nozze, ma gli invitati non si presentano e lui propone a tutti, agli scalcagnati, a te, di partecipare. Un ragazzo si droga perché questo invito non l’ha sentito, perché - ma non accade anche a noi di pensarlo? - crede di essere nato senza scopo. «Perché non si sente chiamato da nessuno e pensa di dover fare tutto da solo. Non a caso, drogarsi si dice “farsi”. Ma nessuno “si fa”: siamo fatti, siamo un dono, e continuamente se chiediamo, se gridiamo, qualcuno risponde». Non è solo l’esperienza di Cattarina, ma anche quella dei suoi ragazzi: lo dicono, lo raccontano con i fatti. Nell’abisso del dolore si è spaccata la corazza ed è venuta fuori, debole, ma precisa, la domanda. L’esperienza di Massimo, di Matteo, di Silvio, è che ogni giorno accade l’avvenimento della risposta e di questo, solo di questo, si può vivere.