Il mondo intero in traghetto sul Mekong
Nott, Visna... E la giovane Eveline, arrivata dalla Francia in bicicletta. Un missionario del Pime racconta gli incontri durante le traversate verso il Centro studenti di Stung Trong. In un Paese dove, al posto del «Buongiorno», si chiede: «Dove vai?»Non avrei mai pensato che un semplice traghetto potesse diventare un luogo così interessante. Ho come la sensazione di aver incontrato più persone là sopra che sulla terra ferma. So che non è così, ma ogni volta che salgo su quel barcone, mi ritrovo immerso in una folla così eterogenea, che mi sembra il mondo intero: khmer, cham, vietnamiti, buddhisti, musulmani, giovani donne con bambini appesi ovunque, anziane cariche di pesce per il mercato, gruppi di studenti in uniforme scolastica, povere famiglie compresse come spiedini sulla sella di una misera motoretta, ricche famiglie comodamente sedute in grosse macchine, pulmini stipati di passeggeri confusi tra le valigie, turisti di vari colori, venditori ambulanti di ogni tipo, poliziotti in divisa, tanta gente semplice...
Diversi volti di questa folla mi sono famigliari, ma molti altri mi risultano sempre nuovi, nonostante siano ormai parecchi anni che prendo regolarmente il traghetto per attraversare il fiume Mekong. È infatti l’unico modo per passare dall’altra parte, a Stung Trong, dove si trova il nostro Centro studenti.
A volte c’è da aspettare anche più di un’ora prima che arrivi, si riempia, e riprenda la traversata di quel chilometro d’acqua che separa le due rive. «Tempo perso!», mi veniva da pensare all’inizio. «Tempo speciale», mi viene da dire ora. È un po’ come quando ti trovi nella sala d’attesa di una stazione o dal medico. Sei lì, in mezzo a tante altre persone per lo più sconosciute, in attesa. Un momento spesso imbarazzante, che ognuno cerca di riempire come può. Qui in Cambogia è diverso. Qui, anche se non ci si conosce, si attacca bottone facilmente. Basti pensare che il saluto normale (il nostro «Buongiorno») in cambogiano è una domanda: «Dove vai?», e questo può dare inizio ad una lunga conversazione con chiunque, anche con un forestiero grosso e barbuto come me.
Ricordo quella volta: era l’ultimo traghetto della giornata, avevo appena finito di parlare al telefono, e un uomo dal volto un po’ sinistro che aveva evidentemente origliato la mia telefonata e sentito che parlavo khmer, mi chiede appunto dove vado, e da lì tutta la serie classica di domande: «Dove abiti?», «che lavoro fai?», «sei sposato?» (in Cambogia c’è un concetto molto tollerante di privacy...). Quando ha saputo che ero un “leader” cristiano della zona, si è improvvisamente entusiasmato: «Vieni al mio villaggio! Apri una chiesa! Una scuola!». Mi ha chiesto il numero di telefono, e qualche settimana dopo sono stato a trovarlo. Per ora, per mancanza di forze, non siamo ancora riusciti a fare niente.
Ricordo quell’altra volta: la lunga chiacchierata con un signore musulmano sulle nostre religioni. Lui stava seguendo il digiuno del Ramadam e ogni giorno a pancia vuota doveva lavorare per mantenere la famiglia. Il suo tono pacato, le domande sincere e interessate che mi faceva, mi avevano profondamente colpito.
Sul traghetto c’è veramente un mondo da incontrare. Come Nott, quarant’anni, di cui venti e più bruciati dall’alcool. Un giorno ha deciso di cambiare vita, ha sentito dire che al traghetto cercavano della manovalanza e così ha colto l’occasione per allontanarsi dal proprio villaggio e iniziare a guadagnarsi qualche soldo. Quante chiacchierate abbiamo fatto insieme, appoggiati al passamano del traghetto. Provavo una sincera stima per quell’uomo capace di rompere con un vizio così radicato. Purtroppo poi ha litigato con la padrona del traghetto e se n’è andato. L’ho intravisto con piacere qualche giorno fa, mentre lavorava vicino ad una barca. Spero di cuore che la sua nuova vita stia continuando.
La padrona del traghetto, anche lei, seppur dopo un iniziale periodo di diffidenza fatto di mezze sillabe (quando veniva a battere cassa), alla fine era diventata un’abituale compagna di traversata. Ed era proprio lei che tante volte interveniva improvvisamente mentre qualcuno s’informava sul mio “stato matrimoniale”, affermando, quasi con una punta d’orgoglio: «Non è sposato, è celibe come i nostri monaci buddhisti, ma lui lo è per tutta la vita!». Purtroppo anche lei, qualche mese fa, se n’è dovuta andare. Con i suoi modi bruschi si era attirata l’inimicizia di troppe persone, e dopo un anno di proteste il Ministero dei Trasporti ha deciso di revocarle la licenza.
Diverse volte ho incontrato anche dei turisti barang (occidentali): spesso ciclisti più o meno attrezzati, a volte centauri su grosse moto fuoristrada o in gruppi organizzati da qualche agenzia viaggi. C’è pure chi si è addirittura fermato a casa mia, come Eveline, francese di vent’anni, che stava girando il mondo da sola in bicicletta. Quel giorno ero in gita-premio con i collaboratori della missione, l’abbiamo incrociata sul traghetto e sono bastate poche parole, insieme ad un po’ di fiducia nel prossimo, perché diventasse una dei nostri.
Nella lingua cambogiana, l’espressione “attraversare il fiume con un traghetto” viene usata anche per indicare il parto di una donna. Il parto, così come l’attraversamento delle acque infide, è sempre un rischio. Penso a Ming Touch che ha dato alla luce proprio stamattina una bella bimba di quasi 3 chili. Penso a Maria quando ha partorito Gesù, lontana da casa, in una stalla. Maria ha “attraversato il fiume” come Ming Touch. Ma non solo loro. Dicono che la vita sia un continuo parto, un continuo rinascere: uscire da se stessi, riprendere ogni volta il cammino, e attraversare i tanti “fiumi” che sembrano interrompere la nostra strada.
Il traghetto mi richiama al fatto che siamo tutti accomunati da questo cammino. E mi insegna anche a rompere un po’ quelle prevenzioni che ci ritroviamo dentro e provare ad andare incontro all’altro, all’estraneo che mi ritrovo accanto, perché sta attraversando lo stesso “fiume”. Ho letto una volta che nell’era di Facebook si incontrano tante persone, ma in un qualche modo sono incontri filtrati, selezionati, cuciti a misura sul nostro profilo, e questo ci impoverisce della possibilità di conoscere persone nuove, diverse da noi, esterne al nostro mondo, e di farci sorprendere dalla loro imprevedibile ricchezza. Il Governo ha annunciato per il prossimo anno la costruzione di un ponte che prenderà il posto del traghetto. Attraversare il fiume sarà più facile, più veloce, e meno rischioso. Ma devo essere sincero, non è una notizia che mi rallegri, perché perderemo il “rischio” di fare incontri imprevisti, forzati dai tempi lenti e dagli spazi ristretti del traghetto.
Dimenticavo Visna! Da un po’ di mesi lo si incontra spesso sul traghetto, con i suoi pantaloni logori, consumati dal doversi trascinare per terra, le gambe infatti sono rigide e non lo reggono. Vive chiedendo la carità, ma è ancora giovane, ha meno di trent’anni. È orfano, e fin da piccolo probabilmente nessuno si è mai veramente interessato di lui. D’altronde, secondo la mentalità comune, se lui è così sono affari suoi, se lo deve essere meritato in qualche vita precedente; dargli una manciata di riels, come carità, è più che sufficiente. Visna quindi è abituato ad essere guardato dall’alto al basso. Ma quando salgo sul traghetto e incrocio il suo sguardo per scambiare almeno un sorriso, mi risuona quella parola di Gesù che dice: «Il più piccolo in mezzo a voi, è il più grande nel Rengo dei Cieli». E quando vedo certe macchinone di lusso arrivare sul traghetto facendosi spazio a costo di altre, mi immagino che un bel momento, improvvisamente si fermino davanti a Visna, per... inchinarsi. Come i Re magi davanti al Bambino. Gesù infatti si è fatto piccolo e ha scelto i piccoli come suoi rappresentanti: «Quello che avete fatto al più piccolo fra voi, l’avete fatto a me». Il mese prossimo Visna andrà a studiare nel Centro per disabili dei gesuiti a Phnom Penh. Dopo aver bussato qua e là, sembra che siamo riusciti a trovare il posto giusto per lui. È molto contento. Anche noi!
Padre Luca Dal Bo, Cambogia