La «pietra scartata» da cui ripartire
Venerdì 22 gennaio la presentazione del libro di don Julián Carrón al Centro congressi. Insieme all’autore, il cardinale Gualtiero Bassetti e il professor Mauro Bove, ordinario di Diritto all'Università della città umbraPerché presentare questo libro? Soprattutto, ha introdotto Giuseppe Capaccioni, responsabile di CL, perché insiste sullo stare di fronte alle circostanze della realtà e suggerisce il metodo per farlo. Noi uomini di oggi fatichiamo ad imparare da quello che viviamo, e lo si vede dal fatto che ci poniamo sempre meno domande. È arrivata la crisi e ha messo in dubbio la nostra percezione della realtà come positiva. Ma ci ha anche costretto, tramite il bisogno, a rifarci le domande più importanti.
Dopo l’ascolto della canzone La mente torna, ha preso la parola il cardinale Bassetti, che ha apprezzato del libro la pacatezza e la sobrietà. Pacatezza che non è una resa alla mondanità spirituale, ma un’attitudine all’ascolto dell’uomo moderno; sobrietà, virtù sociale necessaria in un contesto in cui spesso si grida e ci si divide ancor prima di aver capito le ragioni dell’altro. «Non dobbiamo avere paura di essere pacati e sobri», ha detto il Cardinale. La mitezza evangelica è la virtù dei forti, di coloro che “erediteranno la terra”, è frutto dello Spirito e dell’educazione di fondo della persona. Mite è stato Giovanni Paolo II, che anche nella malattia non ha chiesto altro che mettersi alla sequela di Cristo; mite Benedetto XVI, che ha mostrato che il Papato è un servizio e non una forma di potere; mite è Francesco, la cui pastorale si inginocchia davanti agli ultimi e ai sofferenti che il nichilismo lascia ai margini come scarti invisibili. Agli occhi di Dio, invece, nessuno è invisibile, perché ognuno è una persona.
La personalizzazione della fede è il nocciolo dell’insegnamento e della pedagogia di don Giussani. Quello di Giussani, più che un’antropologia, è un umanesimo completo che si innesta nel soprannaturale. «Mi ha stupito», ha osservato il Cardinale, «scoprire che don Carrón ha usato l’espressione “bellezza disarmata” a proposito dei terribili fatti di Parigi, ponendo questa domanda: ma noi cristiani crediamo ancora nella capacità della fede di esercitare un’attrattiva, e nel fascino della sua bellezza disarmata?».
La fede - oggi più che mai - è una pietra scartata, che va riconosciuta in mezzo a tante altre; la fede è sempre un incontro, una relazione d’amore con Cristo, e non un’imposizione di regole e norme. Oggi che l’Europa è attraversata dalla violenza, che l’Occidente è pervaso da una confusa “ideologia della libertà”, che c’è crisi di senso, occorre ripartire da Cristo. Ma come si può farlo senza scadere nel moralismo o nel fondamentalismo, e nel contesto di una società sempre più secolarizzata? Il percorso di Carrón si sviluppa attorno a due pilastri: il senso religioso e la presenza pubblica dei cristiani nella società. La responsabilità dell’uomo è impegnarsi a rispondere alle domande del senso religioso. Oggi pare che l’uomo sia stato accantonato, l’emergenza educativa è grande. «Ma la Chiesa», ha proseguito l’Arcivescovo, «non abbandonerà mai l’uomo! Nel suo recentissimo discorso alla Rota Romana, papa Francesco ha chiarito che non può esserci confusione tra la famiglia e ogni altra formazione. Ma mai dividerci, mai separarci da nessuno! Non possiamo abbandonare nessuno. Il nostro compito è aiutare ogni uomo nella sua ricerca dell’infinito. Io lo dico sempre ai giovani: guardate grande, guardate lontano! In questa grandezza sta l’identità profonda della persona». Don Giussani distingueva tra presenza reattiva e presenza originale. «Noi non siamo entrati nella scuola», diceva «per portare un progetto alternativo, ma per portare ciò che salva l’uomo». Questo è il cuore pulsante del cristianesimo. Possiamo essere il sale della terra se testimoniamo lo splendore di Cristo. Questa presenza è caratterizzata da uno stato di letizia, non di costernazione o di lutto. Ha concluso il Cardinale: «Cos’è che ci rende felici? La letizia è far gorgogliare in noi la certezza della felicità eterna; è il riverbero della certezza della felicità dell’eterno».
Per il professor Bove il libro è prezioso perché affronta senza fronzoli il problema di Dio e dell’umano nel mondo contemporaneo. Non si presenta come una critica a una forma di governo, a una struttura sociale, a un assetto dei mezzi di produzione. Al centro, c’è la contemporaneità di Gesù come Dio incarnato nella Chiesa: non nell’“istituzione”, ha affermato il professore, ma nelle persone. E questo suo distinguo si è aperto al racconto di un’esperienza vissuta: «Io vedo la Chiesa nelle persone semplici, nei miei ragazzi, tra i quali cito Lorenzo, che ha dato un senso ed una luce alla sua brevissima vita a fronte di un destino schiacciante e che ha lasciato a me, pur senza praticamente averlo conosciuto in vita, l’inizio di un cammino di amicizia». Il libro propone un metodo convincente: l’avvenimento cristiano può riaccadere nell’incontro con un altro uomo. «Insomma, è una persona che ne incontra un’altra in cui risuona l’eco commovente di quello sguardo e di quella parola di Gesù alla Maddalena: “Maria!”. Questo sguardo è la “bellezza disarmata”, ed è un’immagine bellissima».
Sorpreso positivamente il professore lo è anche dalla «lancia spezzata a favore dello Stato laico, quando Carrón dice che la vera rivoluzione cristiana non viene dall’imposizione di leggi cristiane, ma dalla rinascita dell’uomo cristiano». Se nessun valore si può imporre, se le brutture del Novecento hanno spinto all’abbandono delle ideologie, «non va però dimenticato che l’uomo non può fare a meno di visioni di fondo e di insieme, se vuole dare un senso alla propria vita e una direzione al potere quale strumento per il bene comune».
A questo punto Bove, con passione e sincerità, ha tirato fuori dubbi e domande. Ma ancora una volta, ha voluto partire dal racconto della sua esperienza personale: «Non so se sono credente, non credente o agnostico. L’educazione mi ha infuso un forte sentimento di Dio, ma non riesco ad averne l’intelligenza. L’espressione di Simone a Cafarnao («Gesù, se andiamo via da te dove andiamo?») mi risuona nelle viscere e quando, raramente, vado a trovare don Francesco, la sua voce mi commuove sempre, così…irrazionalmente! Ma non comprendo quel Mistero che io chiamo sempre “il muto” e provo quasi un senso di ribellione». Questo misto di “cinismo, scetticismo e nichilismo” rende problematico accogliere le ipotesi sull’uomo e su Dio che Carròn offre nel libro. «Possiamo veramente dire», si è chiesto, «che l’uomo è un cuore che aspira alla bellezza, alla verità, alla bontà, alla giustizia, alla felicità, così che il metodo stia nel ridestarlo per fargli cogliere la sua vera natura? La storia sembra smentirlo e indicarci piuttosto che gli uomini «amano più le tenebre che la luce».
Quella che chiamiamo civiltà appare come un processo di limitazione di una natura caratterizzata da vanità, distruttività e volontà di potenza. Per quanto riguarda l’ipotesi su Dio: anche ammettendo che l’uomo è bisogno di infinito e ha nostalgia del Padre, questo non costituisce una prova dell’esistenza di Dio; non è fonte di rivelazione di un Dio, che resta nascosto e muto. Se tutto quanto ci accade è un segno che il Mistero ci offre per il nostro compimento, ciò non spiega il dolore, soprattutto quello innocente: perché un Dio buono deve tollerare il dolore e la persistenza del male nel mondo? Ed ancora: l’ipotesi di un Dio rivelatosi nella storia attraverso suo Figlio non dà risposta alla domanda di senso. Promette la vita eterna, ma non spiega la vita terrena. Se Dio esiste, perché ha avuto bisogno di creare il mondo?
Accanto alle domande che suscita, il libro contiene alcuni inviti da condividere: avere un rapporto positivo e dinamico, non passivo, con il reale; allargare lo sguardo, per cui le circostanze che sembrano negative possono anche essere occasioni di nuovi inizi. Va raccolta la provocazione sull’emergenza educativa. E c’è grande bisogno di uomini “veri”, di uomini “liberi”. E qui il Professore ha scoperto ancora una volta il fianco: «L’inquietudine in sé genera passione, anche se non si è ancora trovata la risposta alla domanda di senso». Ascoltandolo si percepisce la drammaticità di questa posizione umana, che tra disillusione e speranza si trasforma in una leale richiesta: «Siate generosi! Io penso che il mondo cristiano possa regalare una proposta in cui Dio non sia il punto di partenza, ma il punto di arrivo. Se emerge un vissuto umano, allora forse può esservi un coinvolgimento, che magari può portare a Dio. Portiamoci per mano senza forzature iniziali, che rischiano di chiudere piuttosto che di aprire».
Don Carrón ha raccolto subito la sfida «perché» ha detto scherzando «un buon torero si fa con buoni tori». Il punto di partenza è la realtà, è essa a destare le domande. La fede cristiana parte da una realtà: trovare uno che ti dice: «Maria!» in un modo che ti sconvolge. Non un discorso su Dio, ma la sorpresa di trovare qualcuno di cui dire: «Nessuno ha mai parlato così!». L’origine della fede cristiana è trovare una presenza così affascinante. Come nell’esperienza amorosa: incroci una presenza e dici: «È lui», oppure: «È lei». È un caso? L’avvenimento è la cosa più vicina al “caso”. L’interesse sorge nell’impatto con un fatto che interessa la vita e che a un certo punto ti si impone, te lo ritrovi addosso. Questa è l’esperienza più vicina a quella della fede. Cosa sarà successo a Giovanni e Andrea? L’origine non è stato un silenzio, una legge, una morale, ma l’impatto con una presenza che non hanno potuto evitare. Perché? Che razza di pienezza suscita questa presenza, tanto che non me la posso togliere di dosso? E sorge la domanda: «Tu chi sei?». O neghi, o cancelli questa esperienza, oppure la riconosci. Il Mistero non è “muto”, non è sinonimo di “ignoto”, di “silenzio”. Per i cristiani Mistero vuol dire una presenza per eccesso, alla quale non riusciamo a dare una spiegazione esauriente. Si chiedevano: «Chi è costui?» non per quello che mancava, ma per quello che sovrabbondava. Perché quei pescatori esperti hanno gettato la rete? È come se dicessero: «Siccome siamo abituati alla sproporzione della tua misura, gettiamo la rete!». C’era lì una grandezza presente, non potevano non riconoscere quella sovrabbondanza. La fede è questa pacatezza, questa semplicità: dice pane al pane, vino al vino. Quanto al senso della creazione, al perché siamo nati, noi lo capiamo quando ci innamoriamo. È allora che diciamo: «Ecco, ora capisco, era per incontrare te!». La creazione, il big bang, è un’esplosione di amore dentro la Trinità: Dio ha creato per poter condividere questo amore. E ha creato l’uomo, uno che lo amasse liberamente, che gli potesse anche dire di no. Nel crearti, ha amato più la tua libertà che la tua salvezza. La Chiesa ha dovuto fare un lungo cammino per capire che si può amare solo liberamente. Nella parabola, il Padre non lega il figlio che vuole andarsene di casa. L’uomo ha preferito andarsene via dal Paradiso. E quanto tempo ci mettiamo (a volte tutta la vita) a renderci conto che il Padre ci ama, che ci aspetta sempre, che lì c’è casa.