«Cosa fa maturare la mia fede?»

Nel grande flusso di opinioni sulle unioni civili, qualcosa si sta dimenticando. Ecco cosa ha scoperto Giovanna, studentessa di Milano, leggendo il contributo di don Carrón. Perché, anche in un mondo perfetto, si può essere «infelici fino al collo»

Caro don Carrón, mi chiamo Giovanna e studio Chimica a Milano. Durante la scorsa diaconia (l'incontro dei responsabili del movimento in università, ndr) ho posto una domanda: «Cosa vuol dire fare un lavoro affinchè quell'istante di commozione diventi il criterio di giudizio sulla realtà?». Ecco cosa mi è accaduto.

Ti scrivo per ringraziarti della lettera al Corriere della Sera. In questi giorni sono stata molto ferita e provocata da quello che sta accadendo con il ddl Cirinnà, e non innanzittutto per la portata storica, politica e sociale del decreto, ma soprattutto per la sfida che rappresenta per la nostra fede. Ho avvertito un grande stridore rispetto a tanti articoli letti, a tanti sostenitori o feroci oppositori del Family Day, o del decreto. Ho sentito tante opinioni, nessuna davvero corrispondente. Tutte cose giuste per carità, analisi al millimetro delle Sacre Scritture o delle leggi europee a cui dovremmo tener fede, di cui io non sarei mai capace, ma nessuna di queste cose sembrava centrare il punto. Ovvero quel desiderio di infinito, di eterno, di cui parli nella lettera.

Che respiro leggerla. Ho capito ciò che strideva in tutti i discorsi fatti, analisi e opinioni sentite: cioè che non si prendeva mai sul serio l'uomo e il suo destino. Si metteva a tema la famiglia, o l'Europa, o la comunità omossessuale, o la comunità cristiana, o il Papa, o i vescovi, o la cultura occidentale, o la natura, o il peccato. Ma nessuno che prendesse sul serio il singolo io, con tutto il suo dramma, con tutto il suo dolore, con tutto il suo desiderio di compimento.

Ma questo non è Cristo, perché Cristo chiama per nome. «Zaccheo, Maria, Paolo»: per duemila anni fino al giorno che ha chiamato me, e te, e tutti. Mi sono scoperta addosso il bisogno di guardare anche io così, mi sono detta: «Che varrà di fronte a Dio se avremo combattutto perché il ddl non venga approvato, senza un attimo di commozione per noi stessi e per coloro che sono diversi da noi? Non vale forse la vita d'un uomo, chiunque egli sia, qualsiasi cosa pensi, qualsiasi riduzione abbia addosso, più del mondo intero agli occhi di Dio?». Caro don Carrón, io non so niente, sono l'ultima ruota del carro e ho mille domande, non ho una posizione ancora così chiara su come trattare la faccenda. Ma so una cosa: niente è più importante dell'uomo e del suo destino, perché siamo fatti per il Paradiso, e questo non può essere minato da nessuna legge, da nessuna riduzione, da nessun tentativo.

A volte me ne dimentico, spesso sono distratta, eppure avverto lo stridore. Mi sono chiesta perché e mi sono risposta che, anche nell'incoscienza e nella distrazione, quello che mi è accaduto, l'incontro fatto e rifatto mille volte, è come un marchio inciso nel mio cuore per sempre. Non è un buonismo, né una intelligenza. È solo l'essere stata amata e l'essere ora amata da Cristo, anche attraverso la tua lettera. Mi rendo conto che non c'è altro giudizio che tenga, e perciò desidero lavorare sulle domande che ho, affrontando tutta la problematicità del reale con nel cuore il volto di Cristo che chiama me (attraverso i miei amici, lo studio, le cose da fare, il movimento, la tua lettera) e chiama ogni uomo.

Senza questo fatto che riaccade, tutto diventa arido, e potremo anche vivere nel mondo perfetto ma saremo infelici fino al collo. Se riguardo la domanda che avevo fatto in diaconia (e che è ancora aperta) non posso non constatare che io mi sono ritrovata addosso questo sguardo, per la memoria di quello che mi è accaduto. Ma senza la tua lettera, senza il confronto con gli amici, insomma senza la nostra compagnia, non lo avrei riguadagnato. Forse è semplicistico, e certamente ho ancora tanto da capire, tanta strada da fare, ma se dovessi dire in questo momento cosa vuol dire fare quel lavoro, per me ha significato seguire quello stridore del cuore, impegnandomi con le domande che avevo, e poi seguire ciò che invece corrispondeva, quel punto che mi risvela ogni volta la profondità del mio cuore, come ha fatto la tua lettera.

Perciò ti ringrazio davvero per l'essenzialità delle tue parole, e per come sfidi la libertà di ciascuno, perché ciascuno verifichi se l'incontro fatto risponde davvero alle esigenze della vita, cioè se davvero Gesù è via, verità e vita, oppure in fondo è altro ciò che risponde. Grazie, perché seguirti fa maturare la mia fede, mi fa diventare cioè più Sua amica. E per questo non ho un amico più caro di te, che neanche ti conosco bene. Prego per te e per tutto il movimento, che Gesù ci preferisca e preferisca in particolare coloro che vivono un momento di aridità.
Con immensa gratitutine e affetto

Giovanna, Milano