Ferruccio de Bortoli e Juliàn Carròn

Ciò che scuote «la nostra mollezza»

Il 23 febbraio, al Centro pastorale, si è tenuta la presentazione del libro di Julián Carrón. Un dialogo tra l'autore e l'ex direttore del "Corriere", De Bortoli, che ha toccato il «cuore della vita, dove le domande si fanno brucianti»
Giovanni Santambrogio

«Due parole hanno conquistato il linguaggio comune tanto da diventare popolarissime ed entrare in ogni conversazione: “diritti” e “libertà”. Parole dense di storia, di ragionamenti, di idealità, da tutti oggi fatte proprie per esprimere ogni grande e piccola volontà di affermazione di sé e della propria indipendenza. La ricerca della libertà individuale rappresenta il tratto distintivo di una postmodernità che scivola in un diffuso e contagioso “narcisismo”. Le cause? La debolezza dei legami, il loro degrado, sia negli affetti sia nella vita pubblica, la dimenticanza dei doveri e delle responsabilità, una secolarizzazione sempre più forte. Il risultato è in un’immagine: “Siamo naufraghi della modernità”.

A proporre il giudizio e la metafora è Ferruccio de Bortoli, il più longevo direttore del Corriere della Sera e ora presidente di Longanesi. La descrizione di De Bortoli ha fatto venire subito in mente il famoso dipinto di Géricault, La zattera della Medusa sballottata dalle onde in mezzo all’oceano. La sera del 23 febbraio al Centro pastorale ambrosiano di Seveso, Ferruccio de Bortoli ha presentato La bellezza disarmata di Julián Carrón e poi ha dialogato con l’autore. Il luogo dell’incontro, un affollato auditorium all’interno del seminario diocesano in collegamento video con altre tre sale adiacenti per un totale di più di ottocento partecipanti, rendeva ancora più appassionata la conversazione della serata almeno per due motivi: qui don Luigi Giussani ha compiuto i primi studi; qui si ricorda il martirio di san Pietro da Verona, aggredito e ucciso mentre raggiungeva Milano. Non c’è terra ed epoca storica in cui il cristianesimo sia tollerato quando è testimonianza di una umanità che cambia le dinamiche sociali scontrandosi con il potere, ha ricordato il vicario episcopale, monsignor Patrizio Garascia, nella lettera di saluto inviata al moderatore Alberto Sportoletti. Il passato, lì a Seveso, rilanciava nel dibattito il dramma dei nuovi martiri, che sollecitano la coscienza della Chiesa oggi e l’attualità del pensiero generativo di don Giussani, che invita la persona a ritrovare se stessa in un incontro sapendo che la «conoscenza è sempre un avvenimento».

«Pochi libri», ha esordito de Bortoli «hanno il pregio di farci riflettere sulla vita. La bellezza disarmata è tra questi e lo fa con sensibilità, serietà e rigore. Ritengo sia un testo utile a tutti senza distinzioni tra cittadino-laico, credente e non credente. Va letto e dibattuto perché in gioco c’è il destino dell’uomo e di conseguenza un modello di società. Carrón toglie i cuscini della nostra mollezza, e il libro diventa una doccia fredda sulle nostre esitazioni mettendoci di fronte a due situazioni concrete, ma respinte dal pensiero comune: il crollo delle evidenze e la perdita della percezione del reale. Certamente agisce sulla nostra dimenticanza e talora indifferenza l’azione corrosiva del nichilismo che ha prodotto uno svuotamento di tutto, delle cose, delle persone, dell’entusiasmo, della speranza. Se questa è una fotografia esistenziale dei nostri giorni, il libro aiuta a navigare nei sentieri della contemporaneità: affronta le contraddizioni più evidenti, entra nel terreno minato e delicato dei diritti, mette a tema la famiglia e l’educazione, riflette sull’impegno sociale e politico. Tutto con una costante sensibilità al valore della persona e a quel punto infiammato nel cuore della vita, dove le domande si fanno brucianti». Il saggio di Carrón, risultato di dieci anni di esperienza alla guida di CL dopo la morte di don Giussani, interroga la persona, la società, la Chiesa, la fede, l’impegno nel mondo. De Bortoli, da lettore, si è lasciato provocare da affermazioni come: «Non c’è altro accesso alla verità se non attraverso la libertà. La storia è lo spazio del dialogo nella libertà». Da qui ha rilanciato domande a sé e alla platea composta da giovani, molte famiglie e parroci del decanato, con anche la presenza del vescovo emerito di Novara, Eugenio Corti, e poi politici con i sindaci della Valle del Seveso e il presidente della Provincia di Monza e Brianza Pietro Luigi Ponti. In sala anche la sorella di don Giussani, Livia. Tre domande in particolare hanno sollecitato il pubblico e avviato la conversazione con don Carrón.

Innanzitutto, qual è il posto della fede nel mondo contemporaneo? Poi, famiglie, genitori e figli, perché siamo in crisi e dove sbagliamo noi genitori? Tutti i giorni assistiamo a fatti evangelici concreti, li riconosciamo? Li sappiamo comunicare? «Nel momento storico in cui viviamo, le tradizioni che ci hanno sorretto fino a ieri, e anche le meraviglie dell’arte che hanno dato visibilità a una civiltà cristiana nei secoli non bastano più a suscitare e sorreggere la fede», ha risposto Carrón. «Evidenze che cadono. L’io si ridesta in un incontro, ripeteva don Giussani. Non banalizziamo i rapporti perché gli incontri mostrano la presenza del mistero che ridesta la fede, proprio perché parlano al nostro io. La libertà di ciascuno ha bisogno di qualcosa di attraente per implicarsi, che scrolli di dosso la passività e risvegli la persona. Per questo parlo di emergenza educativa che interessa il singolo, le istituzioni, le associazioni, la Chiesa. Don Giussani ricordava che “la soluzione dei problemi che la vita pone ogni giorno non avviene direttamente affrontando i problemi, ma approfondendo la natura del soggetto che li affronta”. Ecco il motivo dell’insistenza sulla persona e sull’io, che ritengo siano la strada maestra per restituire a ciascuno la bellezza della verità e ricominciare a ridare un volto concreto, umano e bello al cristianesimo».