Il punto più bello dell'amicizia

Alcuni studenti atei colpiti dal loro prof. E il desiderio di imparare «i pilastri» del movimento. Così cucinano per i barboni di San Paolo
Alessandra Stoppa

«La strada del movimento ha tre pilastri». Alexandre ha risposto così alla sete di quei ragazzi. Lo avevano cercato per il semplice fatto di vederlo fare lezione alla Facoltà di Medicina dell’Università di San Paolo, dove insegna Pediatria sociale. Un anno fa, o poco più. Lo ferma uno studente: «Io voglio stare con lei». Poco dopo, altri due (atei e di sinistra come il primo) gli confidano il desiderio di diventare «medici più umani, come lei. È qualcosa di innato o si impara?».
Piano piano nasce un’amicizia piena di domanda, del desiderio di sapere il segreto di quel professore. La fede è l’ultimo dei loro pensieri. Finché una sera Alexandre gli racconta di sé e del movimento. Il giorno dopo, vanno a cercare “Comunione e Liberazione” su internet e tornano da lui: «Vogliamo fare Scuola di comunità, anche se siamo atei». Subito dopo: «Vogliamo anche dare il fondo comune, perché abbiamo letto che è importante».
Dei tre pilastri, all’appello ne manca solo uno. La caritativa. I ragazzi premono per iniziare: «Scegliete voi cosa fare, l’importante è la fedeltà», gli dice Alexandre. Loro si mettono a pensare e s’inventano la possibilità di assistere a domicilio gli anziani ammalati: sarebbe un servizio interessante per i loro studi. Ne parlano per settimane. Alexandre avverte un disagio di fondo, ma sono loro a svelargli cos’è: «Non va bene la nostra idea», gli dicono: «È un progetto sociale che nasce da un nostro interesse. La caritativa è per imparare la gratuità. Dobbiamo cercare ancora». Lui gli va dietro, come sta facendo da quando li ha incontrati. Si danno altro tempo, attenti ai segni. «A giugno ci siamo imbattuti nel bisogno di un parroco molto anziano che da trent’anni prepara la cena ai senzatetto». Una parrocchia a pochi passi dall’università, in una zona in del centro, e poco frequentata, proprio per la presenza “ingombrante” di questi ospiti: barboni, malati psichiatrici, disoccupati, immigrati.
Alexandre e i ragazzi, che un anno fa erano in tre ed oggi sono una quindicina, hanno iniziato così la loro caritativa, aiutando a preparare circa centocinquanta pasti alla volta. Tempo e gesto sono molto operativi: pelare chili di patate e carote, stare ai fornelli, apparecchiare, servire, pulire, e ancora pulire.

Riccardo, ventidue anni, è tra i primi ad aver voluto iniziare la caritativa. «Ci è stato detto che è necessaria per imparare la gratuità». Non gli serviva sapere altro. E neanche ora aggiunge molte parole, dice che è troppo presto: «Serve tempo per capire». Ma è già chiara una scoperta che ha rotto la sua mentalità: «Noi non conosciamo la nostra natura. Siamo fatti per aiutare gli altri, per dare noi stessi. A me succede che, ogni volta che vado via da lì, sono così contento...».
«È il punto più bello della nostra amicizia», dice Alexandre: «Servire insieme fa accadere qualcosa tra noi. E approfondisce il senso di appartenenza». Si sorprende nel vedere uno di loro, in apparenza il più distante, che pulisce il pavimento cantando Povera voce. E si sorprende di se stesso. «Ho sempre fatto caritativa perché seguivo gli universitari. Ma la facevo per loro, perché loro la facessero. Adesso ne ho bisogno per me».
Un sabato Alexandre aveva saltato il turno per un impegno importante. «Assenza più che giustificata», dice. Ma aveva saputo che uno dei ragazzi era andato un’altra sera perché era mancato una volta. E lui l’ha imitato. Per imparare la stessa serietà e lo stesso gusto. «In questo anno», racconta, «verificando per me la proposta che facevo a loro, mi sono reso conto di due cose: che Dio è più mistero di quello che avevo capito. E che il mio “io” è più mistero di quello che avevo capito. Ho visto in me un enorme desiderio di capire chi è il Mistero e chi sono io. Tanti problemi nella vita hanno questa origine, il non percepire questi due fattori misteriosi».