Una caritativa di nome “Gianna”

Per anni, ogni settimana, le visite ad un’amica nell’istituto psichiatrico di Karaganda, in Kazakistan. «Ci siamo trovati noi oggetto della sua tenerezza»...
Anna Leonardi

Caritativa in russo si dice “caritativa”. Di fatto non si è mai trovato un termine adatto a tradurre un’esperienza del genere. A Karaganda, però, nel cuore del Kazakistan, c’è una parola che ha illuminato e quasi sostituito quest’espressione italiana. È il nome di una donna, Gianna. Perché qui la caritativa è nata solo per lei. Negli ultimi sette anni, ogni settimana, un gruppo di amici è entrato nell’istituto psichiatrico della città dove era internata per andare a trovarla, portarle vestiti, cibo, libri e musica. È un luogo di degrado terribile che riaccende negli occhi le atmosfere dei gulag sovietici di cui questa terra kazaka porta ancora i segni.
«Alcuni di noi avevano conosciuto Gianna alla fine degli anni Novanta in università. Soffriva di epilessia e di una lieve forma di schizofrenia», racconta Liubov: «Ma erano disturbi che le avevano permesso una vita quasi normale». È stata la sorella, dopo la morte dei genitori, a chiedere il ricovero coatto e di colpo gli amici non l’hanno più vista. Dopo un mese di ricerche sono don Edo e don Adelio, suoi insegnanti di italiano, a trovarla in quel posto. «Era legata, sedata, con la testa rasata», racconta don Edo. «Aveva tentato di fuggire e di togliersi la vita. Dentro quell’orrore le abbiamo ripetuto quello che le avevamo detto quando si era convertita e ci aveva chiesto il Battesimo: “Noi non ti abbandoneremo mai”».
La caritativa nasce da quella promessa, da quel legame a cui gli amici di Karaganda decidono di dedicarsi con una forma stabile.

Ci si organizza a gruppi, il sabato mattina, e con semplicità si fa quello di cui Gianna ha bisogno, sfidando il suo torpore e la sua diffidenza. Visita dopo visita si aggiungono parenti, alunni e colleghi di lavoro. E anche in Gianna qualcosa inizia a rinascere. «Si era aperta, ci aspettava, voleva sapere cosa ci era successo nel periodo in cui non ci eravamo visti, si preoccupava se qualcuno mancava da troppo tempo. La situazione si è come capovolta. Ci siamo ritrovati ad essere noi l’oggetto della sua tenerezza», spiega Liubov.
Le infermiere la prendono in simpatia e capita che gli amici della caritativa la trovino in corsia a distribuire le terapie. Non riesce più a guardare agli altri ammalati come prima, non li chiama più “scemi”: ma sta con loro. Si prende cura anche di un uomo malato di tumore. Ha una grossa escrescenza sanguinante che lei gli medica ogni giorno, utilizzando i suoi vestiti più belli quando le garze diventano troppo piccole. «So che non lo salverò», diceva agli amici, «ma voglio che vada da Gesù da uomo». E così è stato, quell’uomo è morto tenuto per mano da lei.

Natasha, un’altra paziente, vede quel gruppetto pregare prima di salutarsi e un giorno chiede se può unirsi. Insieme a Gianna iniziano a recitare le Lodi. «Qui si può passare il tempo come se il tempo non esistesse», aveva raccontato Gianna a Enrico, un altro amico della caritativa, «la presenza di Natasha è la scintilla che riaccende il desiderio di camminare, anche in manicomio».
Nell’ultimo anno Natasha e Gianna si mettono a lavorare alla traduzione in russo del libro di Giovanna Parravicini, Liberi. Spesso la caritativa si trasforma in dialoghi serrati per trovare le espressioni più adeguate.
Lo scorso autunno Gianna chiede a don Adelio, nel frattempo diventato Vescovo di Karaganda, di poter ricevere la Cresima. «Ogni volta che ne parlavamo, lei ripeteva che la Cresima le avrebbe dato la forza di vivere intensamente anche in quelle condizioni», racconta Liubov. Gianna aveva visto per la prima volta un crocifisso da bambina, in un vecchio film francese, e aveva chiesto alle nonne chi fosse quell’uomo sulla croce. Le avevano parlato di Gesù. «Ma poi», diceva lei, «ho aspettato per anni prima di capire che un Dio che condivide tutto dell’uomo non era solo una favola».
Poco prima della Cresima, le sue condizioni di salute peggiorano. Il mattino del 5 gennaio gli amici della caritativa vengono avvisati che Gianna è morta. Enrico, durante l’ultimo incontro, le aveva chiesto: «Ma qui, dove tutto è brutto, come fai a essere così bella?». E lei, aprendo quel suo sorriso che le faceva socchiudere gli occhi, aveva risposto: «Se una persona vive nelle mani del Mistero, allora quella bellezza si vede».