L'incontro di presentazione di <em>Luigi Giussani: su vida</em><br> a Santiago del Cile.

«È nato in anticipo di cinquant'anni»

La biografia di don Giussani a Santiago. Padre Roncagliolo, Pontificia Università Cattolica, e Mariana Aylwyn, ex ministra dell'Educazione, hanno raccontato del loro incontro con un prete vissuto a undicimila chilometri di distanza
Marco Sampognaro

«Tutta questa gente alla presentazione di un libro su un prete?». Il professor Pedro Espinosa, gesuita, docente di Storia della Chiesa alla Pontificia Università Cattolica del Cile, entrando in sala accolto dai giovani volontari in maglietta blu, non poteva trattenere il suo stupore. Contemporaneamente, don Martino, Juan Emilio e Bolivar, organizzatori dell’evento “Luigi Giussani: su vida”, tiravano un sospiro di sollievo. Effettivamente l’immenso salone della Cattolica era pieno, la gente affollava anche la galleria, in totale più di cinquecento persone: professori, studenti universitari, impiegati, professionisti e casalinghe. Radunati, un venerdì di maggio, per ascoltare la vita di un sacerdote, nato a undicimila chilometri da lì, morto undici anni prima, eppure ancora in azione. Anzi, in movimento.

Sul palco sedevano, insieme al responsabile di CL Cile, don Martino De Carli, e all’autore della biografia su don Giussani, Alberto Savorana, due relatori d’eccezione: padre Cristian Roncagliolo, vicecancelliere dell’Università Cattolica, responsabile di una pastorale universitaria da 20mila studenti, e Mariana Aylwyn, ex ministra dell’Educazione, figlia di uno dei padri della patria cilena, Patricio Aylwyn, il primo presidente dopo Pinochet. Entrambi si sono cimentati con la lettura della monumentale biografia. Ed entrambi si sono lasciati provocare.

Già, perché questa è la definizione che i due hanno, in forme diverse, scelto: provocatore. «Mi sarebbe piaciuto averlo avuto come professore», ha detto Aylwyn: «Don Giussani era un provocatore, perché provocava i giovani a essere protagonisti, provocava alla vita, e non al ragionamento. Le sue lezioni erano un invito a vivere intensamente: obbligava a pensare, scuoteva le coscienze. Non imponeva, ma orientava a scoprire, a riconoscere il senso, a decidere con libertà. Diceva che educare è un rischio, e lui questo rischio lo ha corso. Andando controcorrente, lasciando il seminario per andare a insegnare in un liceo anticlericale». Il tema del rischio diventa un messaggio anche alla società cilena: «Cerchiamo la sicurezza, l’utilità, la popolarità, e ci conformiamo con l’opinione dominante, evitando i rischi: la vita di Giussani è una dura critica a tutto questo. Nella Chiesa, nella politica, nella scuola, abbiamo bisogno di persone coraggiose come lui, che sappiano andare controcorrente, difendere ciò in cui credono».

«Giussani è nato con cinquant’anni di anticipo», ha esordito padre Roncagliolo, aggiungendo di essere stato «profondamente colpito dalla sua concezione di fede come avvenimento, come incontro reale», ma anche dall’eco dei Padri della Chiesa e dalla consonanza con teologi come Ratzinger e Guardini. «Molte delle cose che diceva erano in anticipo sui tempi, e sono contemporanee a noi». Cosa dice la vita di don Giussani alla Chiesa cilena? «Noi siamo molto preoccupati dell’accoglienza e della carità; Giussani ci ricorda che non dobbiamo sostituirci ai ragazzi, ma invitarli a fare un cammino di verifica della loro tradizione, provocarli a essere adulti nella fede. E poi, ci ricorda il valore delle domande, perché il Cristianesimo è risposta alle domande più profonde dell’uomo; e non il cristianesimo astratto, ma il Cristo reale».

Con un intervento appassionato, Savorana si è detto «sorpreso per quello che don Giussani riesce a trasmettere a persone e a latitudini tanto diverse». Le ragioni sono da ricercare in «una fede profondamente vissuta, scaturita dall’esperienza»: quella di «un ragazzo di 13 anni che ama le poesie di Leopardi e poi scopre che “profetizzano” il Vangelo di Giovanni, e da allora decide che non vuole vivere inutilmente». E poi «quella di un giovane sacerdote che, confessando in parrocchia, attraverso il famoso incontro con il “Capaneo” scopre che si può scommettere tutto sulla libertà dei giovani. E va a insegnare al liceo per comunicare la fede così come era stata comunicata a lui; controcorrente, senza paura, invitando a scoprire la bellezza e la ragionevolezza dell’incontro cristiano». Un provocatore, ma alla stessa maniera di Dio, che si prende il rischio di scommettere su degli uomini liberi.

Da ultimo, l’incontro è stato occasione anche per visitare la mostra su Giussani “De mi vida a la vuestra”, per ascoltare i canti nati dalle comunità sudamericane di CL, per vedere le immagini della storia del movimento. Per incontrare un popolo. Perché, come ha concluso don Martino, «non volevamo presentare un libro, ma una vita».