Cleuza Ramos

Io, Lula e l'ideale

L’amore per i poveri. La Chiesa. Poi il potere, fino alla crisi di oggi. La vicenda dell’ex presidente vista da Cleuza Ramos, che ha condiviso con lui gli inizi dell’impegno politico. Prima di prendere un’altra strada... (da Tracce, giugno 2016)
Alessandra Stoppa

«Il problema è aver scambiato Cristo con i poveri. Poi i poveri con il potere. E infine, il potere con la corruzione». Lo dice con dolore Cleuza, guardando alla parabola di Luiz Inácio da Silva (per il mondo: Lula), l’ex operaio per due volte Presidente del Brasile e oggi coinvolto in una delle inchieste giudiziarie e in una delle crisi politiche più pesanti della storia del Paese. Guardare alla vita di Lula, per Cleuza Ramos, guida dell’Associazione dei Lavoratori Senza Terra di San Paolo, è come guardare alla sua. Almeno fino a un certo punto. Stesso amore per i poveri. Stessa ribellione per l’ingiustizia. Stesso legame con la Chiesa. «In nome di Cristo, abbiamo fondato il Pt», racconta lei oggi. Il Partito dei lavoratori, nato all’alba degli anni Ottanta e che è stato al potere per i due mandati di Lula e per tutta l’era di Dilma Rousseff, che si sta sfasciando nella sua messa in stato d’accusa e in una crisi politica, economica e sociale che ha travolto tutto il popolo.
Cleuza guarda gli ultimi trent’anni, della sua vita e della vita del suo Paese. Lei ha iniziato da ragazza a lavorare con i meninos de rua, i bambini di strada, poi è arrivata la politica, la lotta sociale e nel 1986 la nascita dell’Associazione che oggi è un popolo, oltre 100mila persone che si accompagnano per avere la casa, l’assistenza sanitaria, la possibilità di studiare. Nel 2008, ha affidato tutto questo nelle mani di don Julián Carrón, dopo aver incontrato CL.
«Capisco che tutto il cammino che stiamo facendo in questi anni, seguendo Carrón, è troppo vero», racconta: «Anno per anno, io posso constatare che solo Cristo basta. Qualsiasi altra strada prendi, qualsiasi altro cammino percorri, ti porta a quello che ho visto accadere in Lula». Quel ragazzetto che, a dodici anni, lavorava come lustrascarpe e che dallo Stato di Pernambuco si è trasferito con la mamma e i sette fratelli a vivere nel retrobottega di un bar a San Paolo, poi operaio, sindacalista, leader politico, tra i promotori della campagna per il voto popolare diretto del Presidente, e poi su, su, fino a diventarlo.
Oggi è coinvolto nell’inchiesta giudiziaria Lava Jato sulla corruzione della politica brasiliana. Ma questo è solo un esito, il punto è perché la mossa ideale e grande che spinge l’uomo si perde lungo la strada, o cresce.

Tu hai condiviso con Lula parte dell’impegno e della lotta sociale. Come è iniziato il tuo coinvolgimento con la politica?
Da ragazza non sapevo nemmeno cosa fosse la politica, perché a casa mia era proibito parlarne. I miei nonni e bisnonni erano stati militanti politici ed erano stati uccisi, negli anni in cui o eri a favore del potere o eri morto. Quindi, in famiglia era vietato qualsiasi dialogo sulla politica. Io mi sono sposata a sedici anni: mio marito mi dava il numero del candidato ed io andavo a votare. Ma non si parlava certo delle ragioni del voto...

Poi cosa è successo?
Io sono nata “nella” Chiesa, sono sempre stata cattolica, ma ad un certo punto ho cominciato a partecipare ad un gruppo di coppie cattoliche che si occupavano dei poveri. Lì ho conosciuto Lula. Era il 1978-’79. Teneva le lezioni, era molto persuasivo, parlava dei diritti dei poveri e sottolineava, sempre, il legame tra loro e Cristo. Questo mi colpì tantissimo.

Poi è arrivata la politica...
Ho seguito Lula passo a passo. In quegli anni, lui faceva parte del sindacato metallurgico: era carismatico, ben presto ebbe molto seguito, ed era sempre accompagnato da preti e Vescovi. Nel 1980 abbiamo iniziato a pensare alla formazione di un partito politico. Io che per storia famigliare, appunto, avevo orrore della politica, mi coinvolsi perché non lo concepivo un partito come gli altri: era il Partito dei lavoratori. In nome di Cristo, lo abbiamo fondato. Osteggiati dai ricchi, perché dicevano che era un partito comunista che voleva togliere a loro per dare ai poveri. Io partecipavo attivamente, ma di nascosto da mio marito, che era un imprenditore. Per lui il Pt era il demonio. Ma io, che già lavoravo con i bambini di strada, sentivo moltissimo l’ingiustizia sociale e vedevo in Lula la speranza. Questo impegno ha cominciato a prendere tutta la mia vita.

In che senso?
L’unico mio interesse ormai erano i poveri. Nient’altro mi interessava.

Non vivevate più un’appartenenza alla Chiesa?

Assolutamente no. Quando il Partito ha cominciato a crescere, la Chiesa l’abbiamo lasciata “indietro”.

Concretamente, cosa voleva dire?

Prendere altre strade, usare metodi sbagliati: scioperi, violenze. Facevamo corsi di formazione per la guerriglia. L’unico scopo era togliere i poveri dalla strada. Poi i capi puntavano su di me, perché ero la più scatenata e quando parlavo convincevo la gente. Così mi sono trovata a fare delle scelte.

Quali?
Separarmi da mio marito, che non condivideva quello che facevo. E andare a vivere nella favela. I miei genitori piangevano, perché avevano paura che fossi assassinata. Ero coinvolta fino alla punta dei capelli. Poi, nel 1988, è stata eletta la nostra candidata sindaco della città di San Paolo, Luiza Erundina. A quel punto, io e Marcos Zerbini (oggi suo marito e deputato dello Stato paulista; ndr.) siamo stati invitati a lavorare con lei. Ero entusiasta, perché ero a capo di un dipartimento del Municipio e potevo fare molto. Ma, di lì a poco, abbiamo incominciato a vedere cose che non ci trovavano d’accordo. Per esempio: le case costruite per i poveri venivano blindate perché non fossero occupate. Abbiamo detto: «Questo è sbagliato, noi abbiamo imparato a conquistare la terra per la gente, non a proteggere le case». Eppure venivano tenute “ferme” per essere utilizzate nelle elezioni successive, come voto di scambio. Oppure, vedevamo gente che prendeva lo stipendio senza lavorare. A un certo punto siamo andati da Lula, gli abbiamo detto: «Questo non è il partito che abbiamo creato».

E lui?
Lui ha risposto: «Voi siete pagati per eseguire, non per pensare. Questo lo faccio io». Abbiamo lasciato. Il partito era diventato come tutti gli altri. Non è stato facile, perché ci sono state varie forme di persecuzione verso di noi. Anche minacce. E sono continuate anche dopo, in altro modo, ostacolando il lavoro con l’Associazione.

Cosa hai imparato da tutto questo?
Io ora capisco con chiarezza, grazie al cammino che sto facendo, che il problema è stato questo: aver scambiato Cristo con i poveri. E poi i poveri con il potere. Da qui, la corruzione, quello che vediamo: la “fine” di tutti coloro che sono coinvolti in questo sistema. E di tutti i progetti sociali che non hanno avuto la preoccupazione di fare dell’uomo un protagonista, ma un dipendente.

Ma per te, all’epoca, non era chiaro come adesso. Cosa ha fatto la differenza nella tua storia?
Io sono uscita dal partito nel 1991 e sono rimasta dieci anni in una ricerca continua. Andavo a messa, ma comunque Cristo non aveva importanza. I poveri continuavano ad essere la cosa più importante per me. Nel 2002, l’Associazione era già molto grande, avevamo costruito migliaia di case. Ma io continuavo a cercare. Non sapevo cosa. Però non provavo più soddisfazione nell’aiutare, non avevo più affetto per Marcos, non mi importava più niente. Ho preso antidepressivi per cinque anni. Non c’era un motivo... Ma niente mi dava gioia. Quando riuscivamo ad avere una scuola, tutti festeggiavano e io dicevo: «Ne mancano altre cento». C’era finalmente un asilo e piangevo, perché non era sufficiente. Ero sempre triste, per tutto quello che mancava. Volevo viaggiare e appena arrivavo in un posto nuovo volevo già tornare a casa. Volevo cambiare la macchina e quando la cambiavo non vedevo più la necessità di averlo fatto. Anche tutti gli amici intorno mi sembravano sbagliati...

E poi?
In questo momento di grande confusione, ho incontrato CL. Sono rimasta molto colpita da alcune cose che ho sentito: rispondevano alle domande che avevo dentro. Ho iniziato ad andare a Scuola di comunità, anche se non sapevo cosa fosse. Ma andavo, perché sentivo che c’era qualcosa per me. Mi ricordo la prima volta che venne don Julián Carrón in Brasile: io non sapevo neppure che il movimento avesse un capo. Mi ha sconvolta sentirlo parlare e sono andata a dirglielo, sotto il palco, alla fine dell’incontro. Non ci conoscevamo, ma lui mi ha invitata a cena. Gli ho detto: «Perché io? Mi hanno detto che hai tanti impegni...». E lui: «È la domanda di Matteo a Cristo. Tu conosci la Vocazione di San Matteo?». «No». «Allora a cena ti spiego tutto...». È stato il mio inizio nel movimento. Così, passo a passo, seguendo Carrón, ho capito perché mi sono sposata a sedici anni, perché mi sono separata, perché sono entrata nel partito, perché mi sono appassionata ai poveri. E perché sono appassionata a Cristo. Devo dire che io sono molto privilegiata.

Perché?
Perché ho fatto un cammino. E in questo cammino ho compreso che solo Cristo corrisponde al desiderio che ho nel cuore. Io non parlo con Lula dal 1991, ma penso che farebbe di tutto per tornare al ’78, quando Cristo era il centro. Lo penso vedendo come è tormentato. Ora qui in Brasile c’è una crisi grandissima, tanta gente è disperata, per la mancanza del lavoro, per l’inflazione... Ci sono state tante manifestazioni di piazza, per mandare via Dilma. Io non ho mai partecipato. Dilma cadrà, ma le persone continueranno ad essere tristi allo stesso modo. Non è questo che cambia la loro vita.

Ma tu hai ancora fiducia nella politica?
Io amo la politica. Ma penso che la politica sia fatta da uomini e da donne. E che uno si perde quando Cristo non è più il centro: quando ci si aspetta il cambiamento della vita da qualcos’altro. Io ho visto tanti cambiamenti: ho visto un operaio diventare Presidente, come ho visto migliaia di persone che non avevano una casa e ora ce l’hanno o che hanno i figli che vanno all’università ed era impensabile. Eppure non è niente di tutto questo che fa felici. Lo capisco perché era lo stesso per me: prima, tutto era motivo di tristezza. Ora ringrazio di ogni cosa che accade nella mia vita. Perché il cammino della fede ti fa abbracciare tutta la realtà che ti viene data oggi, perché la realtà è la presenza di Cristo.

Ma questo come cambia il tuo impegno e, appunto, il tuo rapporto con la politica?
Io non amo più “i poveri”. Io amo la persona. Oggi non ho bisogno di costruire delle case, ma che ciascuna persona abbia una casa: Giuseppe, Sebastiana, Marta... La povertà è molto grande, e non ha volto: il volto ce l’ha la persona. Grazie al movimento, ho imparato che non ho la responsabilità di risolvere il problema della povertà. Io sono responsabile del mio “sì” di ogni giorno.

Cosa ti aiuta a vivere Cristo come centro della tua vita?
Gli amici. Io non sarei capace da sola. La compagnia degli amici, la Scuola di comunità, il cammino della Fraternità: guardare Carrón, seguirlo. È facilissimo scivolare. Per tutti lo è, per me di più, perché ho molto potere in questo momento, per la responsabilità nell’Associazione, e posso “usare” Cristo per fare una cosa o un’altra. Allora ho bisogno di seguire per vivere la certezza che Cristo basta e che cura Lui le cose. Dio mi ha sempre curata, per questo io non mi sono persa. Anzi, di più: ho fatto un incontro vero che ha dato senso nuovo alla mia vita. E ho imparato che o si cerca Cristo o non si cerca niente.