Sedici profughi e la voglia di mettere le mani in pasta
Dai centri di accoglienza di Milano alle cucine di Panino Giusto. È "Cucinare per ricominciare", il progetto pensato insieme ad Avsi e alla cooperativa "Farsi prossimo". Un nuovo modello di «integrazione totale», che parte dalle basi: lingua e lavoroSedici candidati. Due mesi di formazione linguistica e professionale e sei di tirocinio presso uno dei ristoranti Panino Giusto di Milano. È il progetto “Cucinare per ricominciare”, nato all’interno della Campagna Tende Avsi di quest’anno e presentato il 10 giugno all’Accademia del Panino Italiano.
«Alcuni mesi fa Antonio Civita, amministratore delegato di Panino Giusto, mi ha chiesto di potersi implicare con le Tende», racconta Marco Andreolli, responsabile Private Partnership di Avsi. Centro della campagna di quest’anno sono i profughi che vivono nelle zone di guerra, ma anche quelli che hanno lasciato tutto per ricominciare una vita qui in Europa.
Già dal 2007 l’azienda milanese, che vanta trenta ristoranti in tutto il mondo, di cui il prossimo aprirà a Cupertino in California, segue Avsi nei suoi progetti nutrizionali in Brasile, Messico ed Ecuador. «Ma a fronte della crisi sociale che stiamo vivendo, hanno deciso di impegnarsi da protagonisti», racconta Andreolli. Così è nata la partnership a sei mani - oltre ad Avsi, rappresentata venerdì da Giampiero Silvestri, segretario generale della fondazione, e Panino Giusto si è aggiunta anche la cooperativa Farsi prossimo della Caritas ambrosiana - che unendo profit a no profit offre a questi sedici rifugiati la possibilità di mettersi in gioco in prima persona.
«L’orizzonte è stato quello di creare qualcosa che potesse andare nella direzione dell’integrazione totale», spiega Andreolli. «Abbiamo deciso di sviluppare un percorso semplice: due mesi di preparazione, sotto la guida di Farsi prossimo, iniziati a maggio. E sei di tirocinio pagato, da luglio a dicembre». In questo secondo periodo, ognuno dei partecipanti verrà seguito individualmente da uno store manager e lavorerà in uno dei dieci locali milanesi di Panino Giusto.
Le selezioni hanno richiesto tempo: dalle oltre settanta persone prese in considerazione si è arrivati a una rosa di sedici candidati. Il più piccolo di loro ha appena diciannove anni, il più grande quaranta. Sono undici maschi e cinque femmine, che oggi vivono nei campi d’accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo di Milano, ma che arrivano da Paesi diversissimi tra loro: dall’Ucraina al Congo, dall’Iran all’Eritrea, dal Gambia alla Nigeria, allo Sri Lanka. Tutti in regola e tutti intenzionati a rimanere in Italia per ricominciare una vita qui.
Quali sono stati i criteri per la scelta? «Disponibilità. Voglia di imparare. Un minimo di conoscenza della lingua. E soprattutto puntualità. Devono mostrare di tenerci». Alla presentazione di venerdì scorso, Civita ha detto che considererà quest’esperienza un insuccesso se non riuscirà ad assumerne almeno cinque. «Ma i volti di questi ragazzi erano splendidi. Entusiasti», continua Andreolli: «Anche chi li segue per i corsi di lingua dice che non ha mai visto un interesse simile e un gruppo così compatto».
Il periodo di formazione è stato pensato in modo tale che fin da subito prendano dimestichezza con il gergo tecnico, così che oltre ad imparare l’italiano, sappiano anche usarlo in cucina, tra i fornelli con i capi chef, per comunicare in sala o alla cassa con i clienti. «L’entusiasmo è dato anche dal fatto che davanti a loro vedono questa grandissima opportunità. È gente che ha voglia di mettere le mani in pasta e sporcarsele».