La pepita e la fonte

Sette giorni di presenze forti e semplici, che con la vita costruiscono la storia. E la sorpresa di fatti che penetrano il caos del mondo. Qui, una sintesi di cosa è accaduto al Meeting di Rimini. Che ci fa una domanda: non "chi sei?", ma "cosa speri?"
Alessandra Stoppa

Padre Firas Lutfi è viceparroco ad Aleppo. Nelle settimane prima del Meeting è stata chiusa l’unica strada che collega la città al resto del mondo, ma lui è venuto lo stesso. Rischiando di finire sotto i colpi di mortaio, rischiando, senza esagerazioni, la vita. Anche se lui minimizza, per il senso della prospettiva che hanno certi uomini. È uno dei 271 relatori arrivati a Rimini e ha appena finito la sua testimonianza su come vive, muore, spera un popolo martoriato da sei anni: «Più che gli applausi, è il silenzio che mi ha fatto sentire la responsabilità che portiamo».
Il silenzio della platea che, il penultimo giorno, lo ascolta con in cuore il grido di chi è stato colpito dal terremoto nella notte e negli occhi il video dei suoi ragazzi che cantano al centro estivo sotto i bombardamenti. È il silenzio di cui ha parlato lo scrittore Luca Doninelli, nell’intervento sul titolo del Meeting: «Il silenzio tra me e te. In cui c’è la radice del bene. Perché io non sono la risposta alle tue domande, tu non sei la risposta alle mie».
È il francescano siriano a citare una frase di Giovanni Paolo II che racchiude il valore di tutta la settimana riminese in un’estate dove le notizie vanno in senso opposto: «Occorre che riprenda vigore la certezza che esiste qualcuno che tiene in mano le sorti del mondo che passa. E questo qualcuno è Amore, Amore fatto uomo, incessantemente presente tra gli uomini».
Il Meeting dal «titolo coraggioso», come lo ha definito papa Francesco, nel turbinio di 106 incontri, 18 esposizioni, spettacoli, stand e molti fuori programma, è tutto qui: l’incessante presenza, attraverso uomini e donne, di una trama più grande che riserva sorprese, che riapre la partita quando tutto sembra perduto. Uomini e donne del passato e di oggi, da ogni parte del mondo, e da mondi molto diversi.
Il rabbino Eugene Korn e il biblista Ignacio Carbajosa che portano in carne e ossa la speranza di un nuovo partenariato tra ebrei e cristiani; la pena indicibile dei profughi in mare e lo slancio dei soccorritori nella mostra sui migranti; il ministro tedesco Thomas de Maizière che annuncia di riaprire le porte a chi arriva. Il bacio dell’ex terrorista Maria Grazia Grena alla figlia di Aldo Moro, che è frutto di un cammino insieme. O la coraggiosa Gültan Kisanak, sindaco di Diyabarkir, capitale della regione della Turchia a maggioranza curda, che vive da Rimini l’ennesimo attentato al suo popolo e stupisce per il suo amore alla libertà. Nell’incontro tra sindaci nasce la prospettiva di un network sul modello La Pira. È una trama che si allarga dal particolare al tutto, come la meraviglia che spalanca l’orizzonte nell’ascoltare dal vivo «il suono dell’universo», quando la fisica da Nobel Laura Cadonati fa sentire in auditorium il grido di due buchi neri che hanno fatto collisione 1,3 miliardi di anni fa.

Terapie. Il Meeting che cade nell’Anno Santo s’immerge nella realtà concreta della misericordia che fa restare umani (storie e contenuti li troverete in queste pagine, nei prossimi numeri e online), perché quel “Tu sei un bene per me” si è riempito di fatti. Primo fra tutti vedere la fede e le facce di uomini che dal mondo arabo all’Africa, al Sudamerica colpiscono per la gioia che hanno e per la capacità di costruzione nelle situazioni più difficili. 
«Non ho altro che gratitudine». Lo dice il vicario dell’Arabia del Nord, monsignor Camillo Ballin, dopo 47 anni nei Paesi musulmani. Ha commosso il Meeting con la sua testimonianza e si è commosso, scusandosi, di non riuscire ad andare avanti a leggere quando ha parlato dei suoi fedeli: «La loro ininterrotta intercessione è la nostra forza». 
Davanti al bisogno personale e collettivo, alla politica, ai conflitti mondiali, ai conflitti quotidiani, la domanda cambia: «Non è: chi sei? Ma: cosa speri?». Così sintetizza padre Antonio Spadaro la provocazione che il Papa lancia all’Europa e a ciascuno. La questione della nostra identità coincide con la speranza che abbiamo. 
«Io non sono cattolico. Ma una delle cose che ho imparato dai cattolici è che il problema della speranza è fondamentale», dice Luciano Violante che, dopo varie presenze al Meeting, quest’anno ha voluto costruirlo in prima persona, curando la mostra sui 70 anni della Repubblica e il grande tema del dialogo, rilanciato dal capo dello Stato, Sergio Mattarella. Aggiunge Violante: «Non la speranza astratta. Ma operante. Un’azione, un esempio, una parola che mobilita, che sposta le intelligenze». 
«La terapia della realtà». Questa è la speranza che ha guarito Daniel, ex carcerato brasiliano, dopo una vita che sembrava senza riscatto. Appena maggiorenne, aveva 27 processi a carico. Ma quando finisce la sua testimonianza davanti al popolo del Meeting dicendo che da otto anni ha un libretto di lavoro, la platea esplode in un applauso. Tifo puro. Il tifo per l’umanità dell’altro, sconosciuto fino a un momento prima: tifo per le sue ferite e debolezze, per la grandezza che agita il suo cuore. E soprattutto per l’abbraccio che ha ricevuto. In un luogo preciso, le carceri brasiliane Apac, senza guardie né filo spinato, e dove si è chiamati per nome.
«Come cambierebbe il mondo se questa speranza senza misura diventasse la lente con cui gli uomini si guardano tra loro», continua il Papa nel messaggio. Parla del padre del figliol prodigo che «tutte le sere sale sulla terrazza per vedere se torna a casa e spera, malgrado tutto e tutti». Questa speranza ha già cambiato un pezzo di mondo, ha cambiato detenuti, giudici, famiglie, attraverso quel metodo Apac raccontato in una delle esposizioni più viste. «Se vi conoscevo prima vi mettevo nella mia mostra!», esclama l’ambasciatore dell’Honduras, Carlos Ávila Molina, davanti alla mostra brasiliana. Lui è tra i curatori di quella sulla misericordia, dedicata alla «decisione del perdono: una decisione personale e collettiva», dice, mentre raccoglie le cartacce dalla moquette e già pensa entusiasta che l’anno prossimo tornerà a Rimini, «ma tra i volontari».

Visione fluida. Ha detto Doninelli nel suo incontro: «Tutta la civiltà dipende dalla stima che abbiamo istante dopo istante, dopo istante, di quel tu. È una questione di stima». Prima di tutto: è un bene che tu ci sia. È il Centrafrica che si è visto scegliere come “capitale spirituale” per aprire l’Anno Santo: «Non ce lo meritavamo, non ce lo aspettavamo, nemmeno eravamo pronti. Ma è capitato», racconta padre Federico Trinchero, carmelitano in missione a Bangui, che porta la sua testimonianza a Rimini e alza la veste per mostrare i sandali: di solito sporchi, ma oggi come nuovi, perché a tutti i costi ha voluto lucidarglieli uno dei 10mila profughi della guerra civile accolti nel loro convento.
«Dio agisce nelle vite, ma anche nei processi storici e sociali più complessi», continua padre Spadaro nell’incontro sulla diplomazia di Bergoglio, una «visione fluida» per cui i luoghi di criticità diventano luoghi di contatto. Colpisce sentire Spadaro come altri ospiti ripetere che le cose che spiegano alla platea non le hanno ancora capite. È una costante negli incontri del Meeting: quel pensiero “aperto” che nasce solo dall’esperienza. E che vive solo in un legame. Per essere compreso deve essere condiviso. Allora finisce che chi porta la propria testimonianza ringrazia chi la riceve, perché ne ha bisogno.
«È proprio quando capiamo di non capire», dice Tat’jana Kasatkina nell’incontro su Dostoevskij, «è proprio in quel momento che vediamo l’altro e non la nostra immagine». Mettersi nei panni dell’altro così come è. «Avere simpatia per l’uomo», sintetizza l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, tratteggiando la Chiesa «inquieta» risvegliata dal Papa al Convegno di Firenze. Un compito che lui vive con gusto, e che affida a tutti come una promessa: «Scopriremo tanti tu che saranno il nostro bene!».
Incontri con tu anche lontani nel tempo, come i santi americani di una delle mostre principali. La loro straordinarietà è la loro umanità, umanissima: è questo a farli sentire compagni a chi la visita, perché le imperfezioni «sono i tratti del suo volto», come scrisse l’autore de L’isola del tesoro, Robert Louis Stevenson, di padre Damien de Veuster, che ha dato la vita per i lebbrosi sull’isola di Molokai. E che spinse Gandhi a dire: «Sarebbe interessante comprendere la fonte di tale eroismo».
Qual è la fonte? Vale per le missioni dei gesuiti del Seicento nella regione dei Grandi Laghi, vale - negli Usa di oggi - ascoltando quanta bellezza vive Guido Piccarolo nel lavorare con giovani autistici o reduci di guerra nella Los Angeles dove «il tempo non è amore, ma denaro, e nessuno vuole lavorare con il diverso». Per lui il tu non è da dire, è da accogliere, «perché è ricevere il mistero della vita».

Dal Friuli a Calcutta.
La domanda di Gandhi sulla «fonte» si apre e riapre tutta la settimana. Davanti alla carità che non finisce perché è un’amicizia, e che ha ricostruito la vita in Friuli dopo il terremoto di 40 anni fa. Davanti al tesoro nascosto della Georgia, e della sua fedeltà all’origine cristiana; davanti al modo di lavorare della famiglia Piacenti, che sta restaurando con una tensione da uomini medievali la Basilica della Natività a Betlemme. O davanti all’infinito mistero di Madre Teresa. Ha conquistato il Meeting, nella mostra ricostruita come le vie polverose di Calcutta, tutta pensata per un «incontro personale» con lei, con l’offerta luminosa dell’oscurità che ha vissuto. 
Un Meeting fatto di presenze forti e semplici. Di gratuità, di volontari: i 417 che l’hanno costruito e i 2.190 che per tutta la settimana, arrivati dal Canada alla Cina, ripetono i gesti semplici di pulire, friggere, alzare la sbarra, abbassare la sbarra, fare cose che nessuno vede o i caffè per le migliaia di persone al giorno («mi hanno colpito tante cose», dice il numero uno di Eni, Claudio Descalzi, mai stato al Meeting: «La prima è l’enorme energia creata dall’impegno disinteressato di tanti giovani in piena estate»).
Gli incontri della settimana, su temi svariati, sono occasioni di consapevolezza, primo aiuto ad una costruzione reale: il confronto sulla giustizia tra Giovanni Canzio e Giovanni Legnini; quello sull’Europa con Joseph Weiler, il dibattito sul referendum costituzionale, poi la scuola, l’impresa, Cuba, la famiglia, di nuovo la Siria con l’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura.

L’invito. All’appello del mondo si offrono delle prospettive: come con Jàn Figel, inviato speciale della Commissione europea per la promozione della libertà di religione al di fuori dell’Ue (un nuovo ruolo e un nuovo segnale dall’Europa delle istituzioni); o con la relazione tra sviluppo e libertà religiosa raccontata da Brian Grim, uno dei protagonisti del ciclo di dialoghi “Pezzi di guerra, vie di pace”, curati dal presidente Rai, Monica Maggioni. O, ancora, con la mostra di Aiuto alla Chiesa che Soffre, sui fratelli perseguitati e gli interventi per non lasciarli soli. Tentativi di lettura e di azione. Tentativamente è la parola strana che colpì l’attore Gioele Dix molti anni fa: «Ricordatevi di vivere tentativamente!», disse Giussani, l’unica volta che Dix lo sentì parlare.
Tentativi che sembrano nulla, ma sanno penetrare il dolore e il disordine del mondo. Come dice la moglie di un prete ortodosso, per la prima volta al Meeting: «In questo luogo la coscienza è risvegliata completamente. Pensi di fare tanto nella vita. Poi arrivi qui e capisci che non hai ancora iniziato». O come ha detto una mamma musulmana delle “periferie sensibili” di Parigi ai volontari dell’associazione Le Rocher, portata al Meeting da Jean-François Morin: «Siete come il pepe nel cous cous. Ce n’è poco, ma profuma». Insieme a padre Pepe delle villas argentine, Morin racconta cosa significa «vivere con» la gente delle periferie. Non per, non tra. Ma con. Inizia l’incontro ringraziando davanti a tutti Elena, la giovane volontaria che gli fa da hostess: non si capacita che la mattina sia andata a riceverlo all’aeroporto di Bologna. «La pepita del mondo sei tu», dice: «Tu. È la persona, l’altro. Senza, puoi avere tutto quello che vuoi, ma non è vita».
«La vita è risposta a un invito», ha detto ancora Doninelli. «Un invito che un peccatore non può rifiutare», gli fa eco Sandokan, ex tossicodipendente, raccontando la sua storia insieme ai ragazzi della comunità L’Imprevisto. Sandokan è qui con una decina di persone della caritativa Bocatas, che - ogni venerdi da 20 anni - portano il cibo ai drogati in un quartiere di Madrid. Li guardi e non sai dire chi è “recuperato” e chi no: sono un gruppo di amici, che si sono incontrati per una gratuità. 
Il dono dell’altro e la sua necessità per noi («io non posso farne a meno», dice dei suoi ragazzi don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile di Milano), attraversa il Meeting nelle testimonianze di chi ha incontrato le Suore di Carità dell’Assunzione, nei protagonisti del mondo arabo, negli spettacoli, le presentazioni dei libri, o nello sguardo - fra i tanti - di Mary O’Callaghan della Notre Dame University, che affronta il tema delle diagnosi prenatale, e del privilegio di avere un figlio down che ogni giorno le chiede: «Sei felice?».  
«L’incontro non è la ripetizione di me e di te», dice l’ultimo giorno la presidente del Meeting, Emilia Guarnieri: «Dall’incontro nasce qualcosa che prima non c’era».