Mario Calabresi, Marco Bardazzi e Julián Carrón a Torino per la presentazione de "La bellezza disarmata"

L'arma di una verità vissuta

Lunedì sera, a presentare "La bellezza disarmata", con l'autore, Julián Carrón, c'era anche il direttore di Repubblica, Mario Calabresi. Davanti a quello che il nostro tempo vive, serve «il coraggio della domanda e di mettersi in gioco. Come mia nonna...»
Adriano Moraglio

«Ho molto apprezzato che Carrón nel suo libro non perda troppo tempo a parlare della crisi economica. Questa, infatti, si inserisce in qualcosa di più profondo che è in atto in Europa e nella società occidentale». Mario Calabresi, direttore de la Repubblica, ieri sera a Torino con don Julián Carrón per presentare La bellezza disarmata, anche lui non ha perso tempo ed è andato subito al centro della questione: «Se anche la crisi economica finisse domattina, le domande a cui non diamo risposte resterebbero tali, intoccate. La febbre dei consumi le metterebbe solo un po’ a tacere».

Così, entrambi - il Direttore di un grande giornale, e il Presidente della Fraternità di CL - si sono subito trovati d’accordo sulla necessità di capire che cosa è accaduto nel mondo occidentale, se un giovane arriva a dire - è un esempio citato nel libro -: «Non metterò mai al mondo un figlio, con che coraggio condanno un altro poveretto all’infelicità?». Oppure, se una giovane donna - è un esempio da ambiente familiare citato da Calabresi - giunge ad affermare: «Prima di avere figli attendo che migliori il lavoro, così potrò procurarmi una casa più grande per accoglierli». «Ora che la rincorsa dei consumi che riempivano la vita si è interrotta», ha aggiunto Calabresi, «ci si è resi conto che da parecchio tempo non ci si faceva certe domande. Tuttavia, c’è paura di interrogarsi; occorre, invece, avere il coraggio di stare nella tensione della domanda. Il problema è, quindi, mettersi in gioco, scommettere, rischiare».

Marco Bardazzi, Mario Calabresi e Julián Carrón

Che cosa è accaduto? Calabresi ricorda sua nonna che ha fatto sette figli e non l’hanno fermata nemmeno i bombardamenti durante la guerra. Oppure cita gli zii che, con prontezza, agli inizi degli anni Settanta si sposano e vanno a costruire un ospedale in un luogo sperduto dell’Uganda, e ripete le parole di Carrón che nel libro parla di riduzione della libertà e della ragione: «Questo mi sembra il passaggio cruciale», rileva il direttore di Repubblica: «Non si riesce più a immaginare una ricchezza di sfide, una serie di possibilità che si aprono… Si è pensato che il rischio potesse essere ridotto a zero, ma allora non ti metti più in gioco e pensi che tutto sia prevedibile, e non c’è più sorpresa, non c’è più qualcosa che ti sconvolge la vita. Ho scritto la storia dei miei zii, Non temete per noi la nostra via sarà meravigliosa, per i ragazzi che conosco girando nelle scuole». Ecco gli zii di Calabresi: «Li ho ritrovati in quello che ho letto nel libro di Carrón. Loro erano disarmati come lo è uno che è forte per il fatto che si pone delle domande ed è alla ricerca, e quindi è forte con l’esempio, con il suo modo di vivere. I miei zii vanno disarmati in Africa, totalmente, ma vanno talmente pieni della loro speranza di poter fare la differenza nella loro vita, in quella degli altri e nel rapporto con gli altri. Questo atteggiamento dà la forza di stare in piedi e non ha bisogno di imporsi agli altri».

Carrón è colpito dal racconto di Calabresi. Pensa alla nonna dell’episodio raccontato dal direttore e dice: «Non è che la sfida della nonna fosse meno drammatica, ma lei aveva qualcosa che adesso i ragazzi non hanno. È un problema che ci riguarda tutti, a tutti i livelli, le cose che solo un decennio fa erano condivise da tutti ora non lo sono più, siamo “dispari” su tutto, siamo nel multiculturalismo. La crisi, diceva la Arendt, ci costringe però a ritrovare le domande e ora ciascuno e la società intera deve verificare se ciò che pensa di sapere risponde alle sfide. E qui entra in gioco la libertà. La libertà ha bisogno di qualcosa per muoversi, perché valga la pena sposarsi, andare in Africa o andare a lavorare o avere figli. Ci vuole qualcosa di talmente affascinante da muovere la libertà. Questo è un grande momento», ha aggiunto Carrón: «Ciascuno ha la possibilità di porre di fronte agli altri che cosa serve a lui per vivere, che cosa rende affascinante alzarsi la mattina e andare a lavorare non solo per portare a casa lo stipendio. Ho scritto questo libro domandandomi: ma io che sono prete, che sono cristiano, ho qualcosa da dire per affrontare questa situazione? Può un uomo moderno, come domandava Dostojevskij, trovare qualcosa di affascinante nelle fede oggi? Io penso di sì ma occorre che noi cristiani possiamo testimoniarlo in un modo che sia veramente attraente per gli altri. Questa è la sfida che il cristianesimo ha davanti. Possiamo scommettere sulla bellezza disarmata perché quando Dio ha voluto dare una mano agli uomini si è disarmato della sua divinità ed è diventato carne. È come se dovessimo riscoprire la natura stessa dell’avvenimento cristiano che può affascinare come ha affascinato all’inizio».

Si può rispondere al vuoto e alla crisi che ha colto l’Europa sperando «nel wi-fi libero in tutte le piazze delle nostre città», come dice Calabresi citando il presidente della Commissione Europea, Juncker, in un recente discorso, quando occorrerebbe, invece, ripartire parlando di lavoro, di sicurezza, di prospettive di ingaggio: «Quanta umanità si è persa!», commenta il direttore. «Dobbiamo ripartire riscoprendo parole come fatica e pazienza e riseminare», aggiunge Calabresi. Il quale, sollecitato da una domanda del moderatore dell’incontro - il giornalista Marco Bardazzi - parla del cammino di CL con Carrón: «È interessante il percorso di Carrón, con il passo del maratoneta più che del centometrista. Lui ha smontato anche un modo di vedere CL. Il percepito dell’opinione pubblica dieci anni fa era che CL non fosse una “bellezza disarmata”. Io oggi vedo una totale controtendenza. Carrón ha fatto un passo indietro, non per ritirarsi, ma perché pensa che i tempi non richiedano un di più di scontro, ma forse un di più di ascolto, di comprensione, di incontro, di capire chi si è».

Carrón ha però precisato: «La nostra storia di questi anni non è un tentativo di disarmarsi. Ho solo proposto l’unica cosa in cui credo, ciò di cui ho bisogno per vivere. Quando ho incontrato don Giussani - e gli sarò grato per tutta la vita - mi ha fatto sobbalzare per la scoperta di ciò che rendeva la vita infinitamente più piena di quanto io la vivessi pur essendo già prete. Non avevo altro da proporre ai miei amici che questo, in modo che potesse essere riscoperto, perché una realtà come la nostra deve rifare la strada che ci è stata proposta. Non basta rimanere attaccati al movimento. La stessa Chiesa ha capito dal Concilio Vaticano II che la verità non ha bisogno di altro che della bellezza stessa della verità per potersi comunicare e che non c’è altra modalità che attraverso la libertà. Noi non abbiamo bisogno di altra arma che della verità stessa vissuta. Con la nostra povertà e in mezzo a tanti tentativi ironici».