Lugano, Svizzera.

Il «contagio buono» della fede

A presentare il libro di Julián Carrón in Svizzera martedì sera, c'erano il vescovo Valerio Lazzeri e il direttore della Rsi, Maurizio Canetta. Un dialogo a partire da una provocazione dell'autore: «Il cristianesimo si diffonde per un'invidia "buona"»
Michele Fazioli

«Il cristianesimo si diffonde per invidia», ricorda in modo provocatorio don Julián Carrón a Lugano, nell’Aula Magna dell’Università, in una sala affollatissima di persone (oltre seicento). Il Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione è in Svizzera a presentare il suo libro La bellezza disarmata. Ne discutono con lui il vescovo di Lugano, monsignor Valerio Lazzeri, e il direttore della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana, Maurizio Canetta, giornalista di lungo corso, non credente, ma aperto con sguardo libero e con rispetto alle testimonianze serie di fede e di vita.

Un Vescovo, dunque, un giornalista e dirigente radiotelevisivo, di sinistra e lontano dal mondo cattolico, il capo di un movimento ecclesiale, convocati dal Centro Culturale della Svizzera Italiana nel piccolo “orto concluso” del Ticino e moderati dal giornalista Claudio Mésoniat, amico di tutti e tre.

Parlando in apertura della intensa, ma piccola realtà ticinese, Mésoniat ha detto che li è un po’ inevitabile la tentazione di credersi un poco l’ombelico del mondo, di stare un po’ chiusi. «Forse la vita della chiesa locale e la voce resistente di una radiotelevisione di servizio pubblico», ha detto il moderatore alludendo ai due interlocutori ticinesi, «possono aprire spiragli e sguardi un po’ più allargati, e serate come queste portano l’aria nuova e il fascino di uno stupore legato proprio alla testimonianza sulla bellezza». Ma “disarmata”, appunto: «Offerta come fascino e contagio alla libertà dell’altro», ha detto Carrón, «senza costrizione né pretese».

L’invida evocata da don Julián è quella, in senso buono, che uno lontano dalla fede dovrebbe poter provare, come “curiosità desiderosa”, di fronte a chi, professandosi cristiano, mostrasse tutta la letizia, il “di più” di gusto, la consistenza ravvivata di ogni esperienza dentro il reale, indotte proprio dall’essere cristiani. Carrón ha ricordato come le evidenze incontestabili di fondamenti morali e di valori indotti dalla radice cristiana (e che l’Illuminismo, illudendosi, volle cercare di salvare separandoli proprio dalla loro radice) siano oggi dimenticate e quasi del tutto annullate. «Noi stiamo qui», ha continuato, «a parlare di erigere muri per contenere afflussi incontrollati di migranti, cerchiamo di recintare spazi nostri, siamo impauriti per insicurezza. E non ci accorgiamo che non serve chiudere fuori altri, perché anche se ci ritrovassimo da soli dentro il recinto della presunta sicurezza, scopriremmo che il deserto del nulla, la deriva dei fondamenti e dei valori, stanno prima di tutto dentro di noi».

E allora Carrón ripete quello che scrive anche nel suo libro, e cioè che oggi il cristiano si pone la domanda su come tornare a rendere affascinante la proposta di fede, attraverso una testimonianza che non sia teorica, etica, o semplicemente catechistica, o virtuosa. Ma che sia, appunto, un fascino, uno stupore che colpisce, che attrae e cambia. Monsignor Lazzeri ha concordato su questa urgenza di ridire con forza e in modo nuovo le parole della fede cristiana. Ha anche detto che lui il libro di Carrón lo ha letto, innanzitutto, perché gli è stato donato da un gruppo di amici. «E se degli amici ti regalano un libro, hai voglia di correre a leggerlo, di capire perché te lo hanno regalato. Io l’ho letto e ho trovato lì dentro le domande, le preoccupazioni, i tentativi di riposta che anch’io mi pongo». Anche per il Vescovo, dunque, è un incontro a muoverti, a destare la curiosità del tuo cuore: amici, un libro, un fidarsi, un voler conoscere.

Monsignor Lazzeri, concordando sul fatto che solo un testimone vero può diffondere il contagio buono della fede, si è però chiesto come possiamo formare testimoni, come si possa passare dalla freschezza immediata dell’esperienza iniziale della fede a una maturazione lenta e profonda, affinché il testimone diventi realmente tale, in modo fecondo. «Un lavoro per ogni cristiano, ma anche per la Chiesa stessa», ha sottolineato, «affinché trovi modalità e linguaggi nuovi».

Dal canto suo, Canetta ha confessato che dalla sua lontananza dalla fede egli ha colto nel libro di Carrón gli accenti di una passione profonda per l’uomo, di una apertura forte di sguardo sulle sfide serie e gravi di oggi. Ha detto di essere stato colpito da alcuni punti fissi ricorrenti, scanditi da parole chiave: libertà, responsabilità, realtà, testimonianza, “io”. E il desiderio. Canetta, mostrando una sensibilità viva per questo moto del cuore che Carrón ha definito «desiderio profondo di felicità», si è detto proprio “intrigato” da questa categoria del desiderio, non banale.

Julián Carrón ha parlato a lungo, appassionandosi a più riprese. E ha cercato di entrare nel vivo dell’esperienza, con esempi concreti, raccontando di incontri che dicono più di ogni teoria. Ha ricordato, ad esempio, il caso del profugo pakistano scappato da anni di inferno e umiliazioni e che, giunto in Italia, in un centro di accoglienza viene interpellato da un volontario che lo guarda negli occhi e gli chiede con voce amica: «Vuoi carne o pesce?». E l’uomo scoppia in lacrime perché nessuno lo aveva mai guardato così. «Quello sguardo», ha detto Carrón, «noi talvolta ce lo abbiamo ancora, dentro, vero, perché viene da qualcosa, da una storia, da una cultura, dalla radice stessa di cui siamo fatti e che oggi diamo per scontata senza magari più riconoscerne l’origine. Altri, da fuori, sanno vedere in noi quello che noi oggi stiamo quasi dimenticando di avere».

Quanto al “desiderio” sottolineato da Canetta, Carrón ha dato degli esempi. Ha ricordato la ragazza che tutta contenta va a ballare perché lo desidera molto. Ma alla fine della serata torna a casa e si accorge che ha fatto quello che desiderava, ma non le basta. Ha addosso uno struggimento, una mancanza, una delusione. Il desiderio vero è ancora qualcosa che va più in là. La stessa cosa accade a quella giovane artista che ha una forte voglia di allestire una mostra sua, ci riesce, ottiene successo, e alla fine capisce che il compimento di quel desiderio così tanto coltivato non le basta per colmare la domanda di un desiderio più profondo.

Carrón ha detto che va tenuta desta la portata totalizzante di quel desiderio che sta dentro il cuore di ognuno, che è poi desiderio di felicità: vera, non effimera e mai bastevole. Fondamentale, poi, è il concetto di libertà. «Libertà vera», dice l'autore, «non è la libertà di fare tutto ciò che ci piace, ma è la libertà di poter aderire davvero all’orizzonte che permetta di sperimentare il più possibile, appunto, il compimento del desiderio, la presa sul serio delle grandi domande sulla vita e sul suo senso». Per il cristiano, ha aggiunto Mésoniat, vale la promessa evangelica: «Vi darò oltre alla vita eterna, il centuplo quaggiù». Ecco, la libertà, secondo Carrón, è quella di essere così liberi (sempre potendo dire un sì o un no) al punto di sapere e potere sperimentare davvero quel “centuplo quaggiù”.