Colombia, una donna piange dopo la vittoria<br> del "no" al referendum.

Ora serve dire di «sì» al perdono

L'accordo tra il Governo e le Farc, il «no» del popolo al referendum e lo sconforto di chi vuole andarsene. Una telefonata a 3mila chilometri di distanza mostra una nuova possibilità di vita, per «riempire di luce» gli angoli più inospitali della Colombia

Mentre mi trovo a Lima ricevo una telefonata da Bogotà. Sono le 5,30 del pomeriggio del 2 ottobre. È mia sorella, che mi racconta che nel referendum a cui è stato chiamato il paese ha vinto il "no" all'accordo tra il governo e le FARC. Dopo un breve e laconico saluto, mi passa mia nipote, una ragazza di 21 anni che ha da poco iniziato un nuovo lavoro. Sconfortata mi dice fra i singhiozzi: «Ho una tristezza immensa, quello che è successo è una grande delusione». Mi rendo conto che le ragioni che lei chiede sono le stesse di cui ho bisogno io, e mi vedo costretto ad andare al fondo della mia umanità per rispondere al disagio senza erigermi a giudice implacabile degli altri.

Comincio col dirle che dobbiamo capire che il "sì" che abbiamo espresso con gioia non sarà sconfitto se nei rapporti quotidiani lasceremo entrare uno sguardo diverso, che abbraccia e perdona; che lenisce il dolore, la rabbia e la disperazione; uno sguardo che risponda al desiderio di giustizia o di vendetta che alberga nel cuore di molti che hanno scelto per il "no", o che forse accolga semplicemente il desiderio di uscire dalla violenza attraverso una condiscendenza eccessiva verso chi l'ha praticata. Il nostro "sì" ci affida la responsabilità di portare la vera pace a quelli che incontriamo, e questo è possibile solo se lasciamo entrare in noi la misericordia che permette di guardare all'altro nella verità del suo essere, nella sua natura di figlio e fratello. Le dico che abbiamo bisogno di domandare, e di mettere tutto il nostro disagio, il dolore e la delusione, nelle mani di Colui che ha vissuto fino in fondo questa condizione, davanti a un "plebiscito" in cui il popolo decise di liberare Barabba e condannare Lui. Le domando che cosa permise a Cristo di vivere quella situazione che lo portava alla morte, e lei mi risponde: «il perdono». Allora le dico che Lui ci dona la possibilità di capire che la vera giustizia è il perdono, la misericordia; che guardando a Lui capiamo che solo nel rapporto con il padre possiamo respirare, lasciare entrare un'aria nuova che ricrei la vita, e perdonare a quanti ci hanno fatto del male per anni.

La sento più sollevata, e anch'io mi sento meglio. Mi passa suo fratello, che sta terminando gli studi di Ingegneria forestale, e lui mi dice: «È sconfortante quello che è accaduto, appena finisco gli studi me ne vado da questo paese». Eccomi di nuovo rimesso in gioco per comprendere che cosa mi permettere di vivere qui. Gli dico che non possiamo porre la nostra speranza in quelli che decidono: il popolo, i politici, o gli accordi che si possano stipulare tra le parti; che esiste una possibilità di vivere il quotidiano accogliendo la realtà ed essendo costruttori di quella pace nell'angolo di mondo dove siamo, testimoniando un modo diverso di stare nella realtà che permette di intuire che esiste una risposta a quel desiderio di bene, di pace, di costruire un paese migliore; che questa possibilità è reale, presente in un incontro che abbiamo fatto, e che ci consente di sperare partendo dalla certezza di Lui, presente dentro una compagnia umana che ci accompagna, ci sostiene, ci provoca e chiarisce il nostro sguardo permettendoci di vedere la realtà in tutta la sua profondità.

Dopo avermi ascoltato, e recuperata un poco di calma, mi passa sua madre. La battaglia non è finita. Mi dice che è tornata a casa e vedendo i suoi figli così prostrati non ha trovato altra risposta che abbracciarli e chiamarmi perché parlassi con loro. Mi ha commosso la semplicità del suo cuore nel riconoscere che da sola non poteva sostenere né se stessa né la sua famiglia, e vedere come il Signore muove i cuori per aiutarci a conoscerlo di più in mezzo alle situazioni dolorose che viviamo. Le racconto che ho parlato con loro, e le propongo che – seguendo quello che ci ha insgenato nostra madre Olivita – recitino in famiglia il rosario pregando per le autorità del Paese, per i capi del fronte del "no", per i capi della guerriglia, per tutti quelli che hanno qualche possibilità di decidere, e in particolare per il nostro cuore, perché non si riempia di veleno o di disperazione, e possiamo vedere dentro questa circostanza come Lui vince, ricostruendo il nostro rapporto con la realtà a partire dal perdono e dalla magnanimità della riconciliazione: è l'audacia del porre segni della sua Presenza che riempiono di luce e calore gli angoli più inospitali della Colombia, del Perù, di ogni parte del mondo.


Diego, Lima