L'America e il "bene" presente
Partendo dalla realtà quotidiana, cosa ci rimane per costruire una nazione per tutti? Due settimane dopo le elezioni e la vittoria di Trump in Usa, una risposta al senso di impotenza: «La libertà non può essere imposta, ma solo offerta»Dopo una settimana dalla conclusione della stagione elettorale, ipotesi e incertezze non accennano a calare. Cercando di dare una risposta al disagio generale, alcuni sono scesi per le strade a manifestare e gridare il loro scontento. Molti si stanno organizzando per l'incombente battaglia politica. Altri rimangono fiduciosi che il sistema democratico finirà per prevalere e porre rimedio a ogni abuso. Di fronte a una dimostrazione di malcontento apparentemente sterile, o di fiducia in un sistema senza volto, restiamo con un senso di impotenza rispetto alla possibilità di imprimere una svolta significativa a livello nazionale. Qual è il fondamento originale, comune, da cui possiamo partire, specialmente dopo un anno così controverso, carico di tensioni ideologiche? Quali risorse ci rimangono per costruire una nazione per tutti, a partire dalla semplice realtà della nostra casa, del lavoro e della vita quotidiana?
Solo un'esperienza presente del "bene" ci permetterà di ricostruire. Come scrive il romanziere Wendell Berry: «È la presenza del bene – un buon lavoro, buoni pensieri, buone azioni, luoghi buoni – che ci rende consapevoli che il presente non deve necessariamente essere un incubo del futuro». Le esperienze di bene possono generare uomini e donne che si rapportano tra loro con curiosità invece che con sospetto. Un bene presente genera speranza, e la speranza suscita il desiderio di condividere e dialogare, piuttosto che trincerarci dietro le nostre convinzioni.
Io ho incontrato questo bene presente in realtà umane fragili, nelle quali la speranza e la gioia risplendevano nonostante le apparenze. L’ho visto in padre Ibrahim, un parroco di Aleppo, in Siria. Quest’uomo ha incontrato al pozzo di un convento francescano un musulmano che gli ha detto: «Padre, quando vedo come la gente viene qui ad attingere acqua, con un sorriso e una grande pace nel cuore, senza discutere, senza urlare… io, che ho girato ogni angolo di Aleppo e ho visto come si ammazzano a vicenda per arrivare ai pozzi, sono stupefatto. Voi siete pieni di pace e di gioia… C'è qualcosa di diverso in tutti voi».
Ho visto questo bene presente in una anziana donna, che soffriva di un disturbo post-traumatico da stress tanto grave da essere scatenato persino dal cinguettio degli uccelli la mattina. Ha cominciato a lavorare alla Los Angeles Habilitation House, un’organizzazione non profit che offre lavoro e opportunità di carriera alle persone con disabilità. Dopo un anno di lavoro qui, diceva: «Non riesco ancora a dormire, ma ora sto incominciando ad amare gli uccellini che cinguettano. Qualcosa si è ridestato in me. Stando con voi, qualcosa in me si è risvegliato».
Potremmo scartare il bene presente come una strategia sbagliata, a causa della sua fragilità. Il dialogo e l'incontro, potremmo obiettare, sono inermi e perciò possono diventare facile preda di coloro che scelgono il potere per operare un cambiamento. Eppure, buona parte dei cambiamenti sociali che ammiriamo è scaturita da una posizione di debolezza e non di forza. La pace che vi sta alla radice è sostanzialmente inerme. La libertà non può essere imposta, ma solo offerta liberamente. Gli uomini e le donne che in epoche recenti hanno trasformato i nostri modelli di cambiamento politico – Martin Luther King, Madre Teresa, Dorothy Day, Gandhi – l’hanno fatto da una posizione di debolezza, disarmati, invitando gli altri a un bene presente.
Una società libera potrà prosperare quando gli uomini e le donne testimonieranno con entusiasmo, invece di predicare, i principi che stanno loro più a cuore. Nessuna strategia politica è in grado di sostituire uno spirito di collaborazione. E questo spirito ha sempre origine dall’esempio vivente di uno sguardo nuovo, uno sguardo come quello del prete di Aleppo, o del personale dell’Istituto di riabilitazione di Los Angeles, uno sguardo che afferma l’altro prima delle proprie convinzioni. Solo un bene presente mi fa desiderare di essere buono.
Ora che le elezioni sono passate, inizia il vero lavoro. Come dice Wendell Berry, dobbiamo semplicemente «smettere di salvare il mondo e cominciare a viverci dentro in modo salvifico».