Il Meeting del Reno a Colonia

Si può vivere da uomini?

A Colonia la quarta edizione del Meeting del Reno. Il tema? «Essere un uomo, questo mi interessa». Tre giorni di dialoghi e incontri. Non solo fra cattolici. «Lutero e Giussani? Avevano la stessa passione per la persona», ha detto il luterano Klink
Roberto Graziotto

Sono arrivato alla Maternus Haus di Colonia con una piccola compagnia di nove persone: alcuni studenti, il mio parroco, i miei figli e mia moglie. In nove, proprio come la compagnia che nel Signore degli anelli parte per distruggere l’anello del potere. Qui, invece, per partecipare alla quarta edizione del Meeting del Reno, dal 10 al 12 marzo. Uno dei miei studenti mi ha raccontato che quando i suoi amici gli hanno chiesto quale fosse il tema del Meeting del Reno, aveva fatto fatica a rispondere: l’uomo o qualcosa del genere. Un tema talmente universale, con cui forse la nostra epoca dal “sapere specializzato” fa fatica ad identificarsi

Padre Gianluca Carlin, presidente del Meeting, racconta che sentendo la frase di Camus, che dà il titolo Meeting: “Ein Mensch zu sein, das interessiert mich” (Essere un uomo, questo mi interessa), ha immediatamente pensato che questo fosse il punto focale, ciò che realmente lo interessava. Proprio per la sua universalità, proprio perché «essere uomini, rimanere uomini e diventare uomini» è un compito che non può essere delegato.

Il primo incontro, con monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo della Madre di Dio di Mosca, e con il filosofo luterano olandese Huib Klink, ha immediato valore ecumenico. L’Arcivescovo, a capo di una diocesi che ha un’estensione sei volte la Germania, parla del battesimo non come atto formale dell’appartenenza cristiana, ma come passione per l’uomo, per il singolo uomo. Parla dei 35 secondi del suo unico incontro con san Giovanni Paolo II. In quei 35 secondi, per il Papa di allora, esisteva solo il suo interlocutore, solo quel singolo uomo. 




















Il filosofo luterano Klink insiste su un’intuizione che colpisce: Lutero e don Giussani hanno la stessa passione per l’uomo, la stessa intenzione che Klink riassume con un chiaro «abbi cura di te stesso». Una cura possibile solamente se riscopriamo che la nostra anima può essere educata a un’attenzione alla voce dello spirito. Spirito che a sua volta è attento alla voce di Dio. Una cura alla scoperta dell’uomo che è spirito, anima e corpo, di un uomo aperto all’infinito. Di un uomo che se perde il contatto con Dio, perde anche il contatto con la ragione.

Nella mia “piccola compagnia”, mio figlio ed un altro studente vogliono studiare Medicina. Ho ascoltato la conferenza del dottor Markus Schlemmer, sul titolo del Meeting, con la gioia intima che due giovani, forse futuri medici, stavano ascoltando con me un uomo fuori dal comune. Schlemmer è il responsabile del reparto di Medicina palliativa all’ospedale Fatebenefratelli di Monaco di Baviera.

Secondo lui, non la malattia, ma l’uomo deve stare al centro dell’attenzione del medico. E non solo la morfina, ma l’incontro, per esempio, con un figlio che non si vede da anni, può diminuire l’intensità del dolore. Per lui il medico non è un eroe solitario, ma uno che lavora con un team.
Schlemmer è un medico che sa che l’uomo è corpo ed anima e che bisogna aver il coraggio di affrontare questi pazienti che stanno morendo, perché sono uomini con un’anima immortale e che spesso danno molto di più di ciò che ricevono.





















Il Meeting offre anche la possibilità di incontrare persone impegnate in iniziative realmente impressionanti, come Stephan Scholz, da qualche tempo guida di “Support International”, socio fondatore di Fondazione Avsi. La sua filosofia d’aiuto, dall’Uganda all’Iraq, fino a regioni meno ricche della Germania stessa, non consiste primariamente nell’aspetto economico o di controllo del flusso del denaro (anche se la trasparenza è certamente importante), ma nella crescita di un’amicizia tra gli attori di una certa azione. Spesso si scopre che chi riceve rende più ricco chi dona, piuttosto che il contrario.

La domenica, l’ultimo dei tre giorni del Meeting renano, comincia con la Santa Messa, celebrata da monsignor Pezzi. La seconda domenica di Quaresima è dedicata alla festa della Trasfigurazione. Pezzi parla di «umile obbedienza» come l’unica via per giungere alla gloria di Dio, anticipata dalla trasfigurazione.

La mattina culturale comincia con una conferenza di Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle opere, che propone nel titolo una frase di Goethe (Faust): “Bin ich hier Mensch, darf ich’s hier sein? Moderne Arbeitswelt” (sono qui un uomo, mi è lecito esserlo? Il mondo moderno del lavoro). Il sistema moderno di lavoro, pur in tutta la sua complessità, pur con tutti i suoi cambiamenti, non è un sistema in cui si è realizzata la “abolition of the man” profetizzata da C.S. Lewis. È un sistema che permette che l’uomo sia una presenza buona. Come? Curando i “rapporti umani” nelle circostanze come sono. Solo in forza di questi rapporti è possibile resistere alle tendenze super individualizzanti, che ben conosciamo. Secondo Scholz, lo stesso fenomeno del nazionalismo non nasce primariamente da una scelta politica, ma dalla paura che gli individui provano nei confronti di un sistema che, per motivi economici, pretende che si faccia tanto in poco tempo, mentre, a chi non lavora, viene lasciato tantissimo tempo che non sa utilizzare. Questo provoca uno stato di angoscia che viene sublimato nella ricerca di un’identità forte (per esempio, il nazionalismo). 

Dopo la conferenza, in un angolo della casa diocesana che ha ospitato il Meeting, Scholz ha dedicato venti minuti ai giovani che erano con me invitandoli a studiare qualsiasi cosa li appassioni, tenendo presente che il loro futuro lavorativo non necessariamente avrà bisogno di quello che hanno studiato. Ma avendo studiato potranno dimostrare che sono capaci di imparare. 

L’ultima conferenza del Meeting prevedeva il dialogo tra tre rappresentanti delle “religioni del libro”, sul filo rosso della domanda: a quale uomo crede il tuo Dio? Sul palco il palestinese Mouhanad Khorchide, professore di pedagogia della religione islamica  all’università di Münster e il cattolico Thomas Söding, professore di Nuovo Testamento all’università di Bochum. Il rabbino Jehoshua Ahrens del Center for Jewish Christian Understanding and Cooperation non è potuto intervenire.

Appena si comincia ad ascoltare un teologo musulmano, ci si accorge immediatamente che tantissime idee comuni sull’islam non sono vere o non lo sono del tutto. Khorchide non manca di precisione teologica e incentra il suo discorso sulla “rivelazione”. Vi sono, però, due modi per comprenderla, un modello interpretativo monologico, il più esteso nel mondo musulmano, ed uno dialogico. 





















Nel primo Dio crede solo a se stesso e l’uomo è solo un oggetto della religione. La rivelazione è solamente istruzione per glorificare Dio e non rivelazione del suo amore. Quando si prega non lo si fa per se stessi, ma solo per Dio. La preghiera diventa così un atto formale per soddisfare Dio e non un atto di cui l’uomo ha bisogno. Il Corano è come monologo di Dio. 
 
Il secondo modello interpretativo è il modello dialogico (quello preferito da Khorchide) nel quale Dio si dona gratuitamente. La quinta sura parla di questo modo di vedere Dio, un Dio che crea uomini che ama e che lo amano. È insomma la sura dell’Incondizionato amore gratis di Dio. La sura 55 parla del Dio come misericordia. Misericordia ed amore implicano la libertà dell’uomo. Non vi è un amore per forza. Khorchide parla di un Dio che si identifica con le sue creature. Il testo è simile al giudizio universale riportato in Matteo 25: avevo sete e non mi avete dato da mangiare, etc. Nel modello dialogico Dio vuole un uomo libero di dirgli sì. La comunicazione di Dio all’uomo è un processo. Il contesto storico è importante sia per comprendere l’origine del Corano che per comprendere cosa esso ha da dire all’uomo di oggi. Anche la sura 93 parla di un Dio empatico, che ha emozioni per le sue creature. Le vuole libere, sebbene la libertà non sia quella di scegliere un prodotto invece che un altro, ma la libertà di formare il proprio destino. 
L'intervento del professor Söding del titolo: “Dio guarda agli uomini in Gesù Cristo e gli uomini guardano a Dio attraverso Cristo”, affermazione non condivisa dal teologo musulmano. L’islam è una religione dell’“ascolto” di Dio e non della “visione” di Cristo.

Come anche nel caso del Meeting di Rimini, anche questo di Colonia vive dell’impegno di molti volontari. Qui sono 80. Si sono pagati il viaggio e il vitto ed ora, seguendo la guida di Stephanie Spee, sono al servizio delle tante esigenze dei partecipanti: informazioni, guardaroba, libri.
Della mostra fotografica di Barbara Klemm, che ha documentato la storia tedesca e del mondo per il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung a partire dal 1959, una foto in particolare, scattata a New York nel 1997, ha attirato la mia attenzione. Due uomini, uno accanto all’altro, parlano in mezzo ai grattacieli, come a ricordarci che qualsivoglia tecnica non ci farà mai totalmente dimentichi dell’essere (Heidegger), solo se l’uomo, nel dialogo con l’altro uomo, avrà cura di se stesso.  

(ha collaborato Elisabetta Colò)