EncuentroMadrid. «Se non lo si vede, non si può credere»

Perché parlare di bellezza in un momento storico come oggi? Tre giorni di dibattiti e mostre a Madrid: seicento volontari e migliaia di visitatori. Dalla guerra in Siria all'educazione, l'arte, la tecnologia... Se la vita è incognita o mistero
Davide Tommaselli

Nel grande anfiteatro cala il silenzio. Da qualche minuto padre Mauro Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, ha iniziato a pronunciare in spagnolo l’intervento centrale dell’EncuentroMadrid 2017. E avanza con calmo incedere monastico. L’uditorio s’accorge che il titolo di questa settima edizione si svela, diventa più familiare: “Feriti dalla bellezza”.
La prima immagine che Lepori offre è tratta dal romanzo Silenzio, di Shūsaku Endo. La bellezza suprema è un volto che ama. Alla domanda su cosa sia la bellezza, fa eco il biblico: «E Dio vide che era cosa buona e bella». Fino all’uomo guardato dal Creatore come «la bellezza di ogni bellezza». E poi il mistero penoso del tradimento: «La realtà che prima era solo bella e buona, che prima ci faceva trattenere il fiato dallo stupore, come bambini, ora toglie il respiro, e agita il cuore... Ora la realtà fa paura, è nemica. Non è più mistero: è incognita. Perché se si ha paura della realtà di un Dio amico dell’uomo, si ha paura di tutto».



Ma è possibile recuperare lo stupore originario, che gode della bellezza? «Il metodo di Dio, anche dopo il peccato, è sempre la realtà, il dono della realtà, la realtà come avvenimento, la bellezza come realtà che sempre accade, che si presenta e ripresenta. Cerca e trova l’uomo ovunque si nasconda, ovunque il peccato e la paura possano rinchiuderlo». E al culmine del percorso è la Bellezza stessa a prendere la parola e a fissarci, come fissò Pietro: «Tu non vuoi riconoscermi, mi hai rinnegato, ma sono qui! Non sono altrove. E sono qui per te, guardo te, amo te, desidero te, la tua bellezza, la mia Bellezza riflessa in te. Questa bellezza che tu rifuggi, che tu disprezzi, io la sto creando ora».

Queste parole si sono rese carne nei volti, negli incontri e nelle storie che hanno riempito di vita la Casa de Campo di Madrid, dal 21 al 23 aprile. Tre giorni di dibattiti, mostre, concerti, più di seicento volontari, migliaia di visitatori, e tanti ospiti: padre Ibrahim Alsabagh di Aleppo e il sacerdote iracheno Behnam Benoka sono stati protagonisti dell’incontro: “Una bellezza che costruisce la storia. Cronache di guerra e speranza dalla Siria e dall’Iraq”. I direttori di tre centri educativi di Madrid, Clara Fontana, Ángel Serrano e Francisco Romo, si sono confrontati sulla sfida dell’educare; il poeta Davide Rondoni e la fotografa Lupe de la Vallina sull’esperienza artistica; mentre i manager Alberto Barrientos, Luis Villa e Carlos Kuchkovsky hanno dialogato di rivoluzione digitale: “Quando le domande superano le risposte”. Infine, le tre mostre: l’esperienza delle carceri Apac (protagoniste anche dell’incontro conclusivo di Encuentro); le storie dei martiri cristiani di oggi; e un’esposizione di venti artisti contemporanei.



Ma perché scegliere di parlare della bellezza in un momento storico così difficile come questo? La risposta, quella riscossa della bellezza che va «alla ricerca dello stupore dell’uomo caduto nella fossa oscura della paura», la vedi brillare sul volto sorridente di padre Ibrahim, parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi ad Aleppo, una delle città più devastate dalla guerra. Durante l’incontro, descrive la situazione tragica in cui versa la sua gente e poi afferma, con pacata sicurezza, che il suo popolo si sente «tranquillo nelle mani di un Padre che ci guarda con tenerezza». È vero, «la Chiesa è una pianta debole, che è stata devastata tantissime volte… Però nessuno è riuscito a strappare questa pianta. Per questo la storia rafforza la nostra fede, e troviamo consolazione nell’abbandono e nella contemplazione della bellezza di Gesù Cristo; una bellezza che vediamo nei volti di tutti quelli che soffrono».

Padre Ibrahim Alsabagh, da Aleppo

Padre Ibrahim racconta dello sconcerto iniziale della sua comunità quando lui ha iniziato a pregare «per i nostri fratelli dell’Isis». Adesso lo imitano. E racconta dello stupore di genitori e bambini quando ha trasformato il bossolo di un missile che aveva colpito la cupola della loro chiesa in un vaso di fiori, offerto sull’altare per ringraziare Dio di essere ancora vivi e chiedere la conversione dei persecutori.
«Dio, scacciando l’uomo dall’Eden, è uscito con lui, si è messo sulle sue tracce, per raggiungerlo con la sua compagnia, la sua amicizia, fino alla fine, all’estremo dell’abbandono, della morte, del sepolcro, degli inferi». Quello che Lepori contempla evoca storie e volti precisi per chi ha visitato la mostra “Dall’amore nessuno fugge. L’esperienza delle carceri Apac in Brasile”, già presente all’ultima edizione del Meeting di Rimini. In un sistema carcerario tra i più duri e fallimentari al mondo, spunta come un fiore inatteso l’esperienza delle Apac, carceri che non prevedono polizia penitenziaria né armi, gestite attraverso la responsabilizzazione dei detenuti insieme al personale amministrativo e ai volontari.

La mostra sulle carceri brasiliane Apac

Tutto è nato più di quaranta anni fa, dall’avvocato di San Paolo Mario Ottoboni e dalla sua intuizione: «Il detenuto è un grande mistero e, davanti a qualsiasi mistero, il nostro primo atteggiamento deve essere quello di inginocchiarci e di ammettere con umiltà che non sappiamo nulla e che abbiamo davanti a noi un nuovo mondo da scoprire». Parlano della verità di questo giudizio le grandi foto dei detenuti che affollano la mostra. I loro sguardi inchiodano anche lo spettatore più distratto: c’è un mistero che supera il male commesso.

Qualcuno potrebbe obiettare: nulla di più facile che fuggire da un posto così. Forse sì, eppure, rispetto alle carceri comuni, sono bassissime le percentuali di evasione e di recidiva. Valdeci Antonio Ferreira, attuale presidente esecutivo di Apac, spiega il perché nell’incontro conclusivo: «L’amore, soltanto l’amore, è capace di recuperare l’uomo». Ne ha fatto esperienza con grande meraviglia anche un altro ospite di Encuentro, Luiz Carlos Rezende e Santos, magistrato brasiliano. Rimase sconvolto quando i detenuti di un’Apac da lui condannati vollero salutarlo e abbracciarlo, uno ad uno. È il ringraziamento incontenibile di chi scopre un luogo in cui non si è definiti dal male commesso, per quanto grave e orrendo possa essere.

L'esposizione di 20 artisti contemporanei

Ancora padre Lepori: «La bellezza della compagnia ferisce perché non si può abbracciarla senza morire a se stessi. Non si abbraccia il Risorto, la nostra Vita, senza morire a noi stessi, a quel soggetto in noi che un giorno è fuggito per paura della compagnia di un Dio che amandoci ci chiede solo amore, che donando la vita per noi, chiede il dono della nostra». La mostra dal titolo “La bellezza del martirio”, realizzata da Aiuto alla Chiesa che soffre, ha portato fra noi le storie di alcuni fratelli cristiani che hanno testimoniato Cristo fino al martirio. L’esposizione ricrea gli scenari di alcuni degli attentati più terribili degli ultimi anni. Le storie sono tante e arrivano dalle parti più lontane del mondo. La bellezza ferisce chiunque, e quando meno uno se lo aspetta. Scorrono le immagini sconvolgenti dei 21 cristiani copti giustiziati, due anni fa, dai miliziani dell’Isis sulle rive del Mediterraneo, nella zona di Tripoli. Nel video che è stato diffuso si scorge, tra gli ostaggi, un uomo con la pelle più scura degli altri: il suo nome era Mathew Ayariga, originario del Ghana, né copto né cristiano; si trasferì in Libia per cercare lavoro e si trovò a convivere e lavorare con quel gruppo di cristiani. Quando i terroristi gli chiesero di rinnegare Gesù, inaspettatamente rispose: «Il loro Dio è il mio Dio». Lo uccisero insieme agli altri.



Il cuore della mostra è lo stesso dell’intervento di padre Lepori, ed è il cuore dell’esperienza cristiana: lo stupore sconcertante perché esiste una bellezza più forte della persecuzione, del crimine e del nostro male quotidiano. È la natura del cristianesimo: «Se non lo si vede, non si può credere». Fatti e parole viventi, direbbe Péguy. Come, oggi, a Madrid. Solo così la vita può cambiare. E da lì può cambiare la cultura, persino gli schemi del pensiero. Tutto. Per questo EncuentroMadrid è un tesoro. Un tesoro inestimabile, in quanto fatto pensato e vissuto.