L'incontro sul lavoro con Giorgio Vittadini.

Al lavoro per aiutarsi nel lavoro

Un dialogo serrato, tra domande e testimonianze, con Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione Sussidiarietà. Cronaca di un'assemblea a Milano, sabato 6 maggio, tra alcune realtà impegnate nel dare una mano a chi cerca un impiego
Maurizio Vitali

A Milano (e anche altrove) sono all’opera diverse realtà di aiuto per il lavoro. Per esempio AAA-Lavoro, Rete Manager, Cso (Consorzio Sviluppo Occupazione), ecc. Sono tutte nate da gruppi di amici, in gran parte partecipanti alla vita di Comunione e Liberazione, desiderosi di aiutarsi ad affrontare la realtà e i bisogni propri e dei propri compagni: neo-laureati alla ricerca del primo impiego, oppure persone con grande esperienza di lavoro, dirigenti e manager, sindacalisti.

Queste realtà hanno dato vita, sabato scorso, a un’assemblea in dialogo con Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, per mettere in comune le rispettive esperienze, chiarirne il metodo e mettere in cantiere sinergie e reti per rendere più efficace la propria opera.

Il lavoro è un’emergenza sempre più acuta. Per quelli che non lo trovano, quasi la metà dei giovani; per quelli che lo perdono, magari a cinquant’anni quando è difficilissimo rientrare; per quelli che lo devono cambiare. E poi, a ben vedere, per tutti: perché per tutti è necessario vivere il lavoro con un significato adeguato.

Evidente sin dai primi interventi che sarebbe sbagliato considerare queste iniziative come “uffici di collocamento”. Non hanno da distribuire impieghi bell’e pronti: impossibile per chiunque, e anche controproducente; offrono invece una compagnia, stabile, paziente e gratuita, e anche naturalmente competente, che aiuta la persona ad essere protagonista attiva del proprio rapporto con il mercato del lavoro. Per chi la compie è a tutti gli effetti una caritativa, ovvero un gesto di carità che educa chi lo fa, cui sempre don Giussani ha richiamato i ciellini; per chi ne beneficia, invece, è un’occasione straordinaria di crescita personale.



Luciana racconta che è stata tentata di piantare lì tutto, visto che la persona che accompagnava non si voleva coinvolgere in un percorso. Non ha però ceduto alla tentazione ed ha deciso di perseverare. Si è trovata ad aiutare un uomo di 63 anni, rassegnato al dormitorio pubblico e a giornate senza una ragione, consapevole solo di essere un disagiato mentale. «Impossibile che questo qui si muova», veniva da pensare. Succede, invece, che una proposta di lavoro gli arriva, e lui l’accetta gioiosamente: un’ora al giorno a distribuire giornali. «Questa amicizia risveglia anche me», nota Luciana.

Vittadini cava subito due insegnamenti. Uno: la caritativa implica costanza, a differenza di certo volontariato basato su una fiammata di altruismo. Guarda caso, il percorso al lavoro esige la stessa cosa: costanza. Le fiammate non sortiscono effetti positivi. Due: fare compagnia, accompagnare una persona, significa non supplire alla sua inerzia, ma suscitare il suo desiderio. In primo piano è il soggetto, e la sua posizione di fronte alla realtà.

Massimiliano racconta di una vedova imprenditrice fallita e perciò dileggiata dalla famiglia e di un giapponese abituato a sentirsi dire, dalle sue parti, che non vale nulla. La prima si è rimessa in moto decidendo di “abbassare le pretese”. Il secondo si è rimesso in moto sentendosi dire e ridire, da Massimiliano, che «No, tu vali; per me la tua persona ha un valore». Da qui occorre ripartire, tirar fuori il meglio. Sapendo che i ruoli sono in continua evoluzione e che non ci può mai essere uno step definitivo, fatto il quale tutta va da sé.

Riprende Alberto: quando pensiamo a una soluzione rigida, precostituita, «precludiamo lo spazio della persona, del suo libero e imprevedibile percorso. Se invece si allargano lo sguardo e la ragione, si ampliano le possibilità e anche gli strumenti e le reti». Un manager espulso dal lavoro a 56 anni, esperto in sicurezza informatica, aveva finito per rassegnarsi a fare il badante a sua suocera. Alberto e i suoi l’hanno incontrato e aiutato a capire il valore della sua esperienza, e a rimettersi in moto.

L’accento è di nuovo sul soggetto. Questione decisiva anche nel campo del lavoro. Vittadini non fa sconti a metodiche in voga e a esose agenzie che vanno per la maggiore, propugnando la formazione di una figura standardizzata, fissa, bloccata nelle competenze acquisite. Ricorda che qualità di altra natura, non standardizzabili, sono oggi decisive nel mondo del lavoro, come la capacità di apertura, l’amicalità, la responsabilità, la stabilità emotiva. Tutte qualità del soggetto.

Giorgio Vittadini, presidente Fondazione Sussidiarietà

Alfredo veniva dal sud, ha iniziato a lavorare da ragazzo e per studiare frequentava la serali. Ha fatto nella vita 15 lavori diversi. Fino a prendere in mano, come numero uno, il ramo italiano di una multinazionale di informatica portandola da 70 a 1.800 dipendenti, età media 28 anni. Con l’amico Antonio, fa compagnia a una signora ultrasessantenne invalida. «Noi non ti promettiamo un lavoro, ti offriamo un’amicizia». La signora ha trovato impiego all’ospedale di Monza, aiutata “solo” ad avere tutta la documentazione richiesta per l’assunzione degli invalidi.

Enzo ha incontrato un giovane mendicante di colore durante la Colletta alimentare del 2015. Il ragazzo aveva aiutato i volontari tutto il giorno. L’anno dopo si è ripresentato. «Non mendicava più, era in una comunità. Non faceva nulla, rischiava di perdere il permesso di soggiorno, ma era venuto con noi a fare un lavoro gratis». Assistente sociale, mediatore culturale e consimili addetti ai lavori l’hanno strapazzato di rimproveri trattandolo come una pezza da piedi. Enzo gli dice: «Uno può sempre ricominciare. Tu vai a scuola, noi ti troviamo un lavoro gratis». C’è stato.

Giovanni aiuta gli altri a trovare lavoro, da tempo. Aveva un impiego di alta responsabilità. Ora è rimasto lui stesso senza lavoro. È stato tentato di dare la colpa al mondo sbagliato e di cercare un lavoro, ma senza sporcare il curriculum. Piano piano ha cambiato posizione: si chiede dove eventualmente ha sbagliato, e tiene fermo che non deve rinunciare non all’alto profilo ma alla sua umanità. Così ha affrontato bene un colloquio per un lavoro meno prestigioso del precedente.

«Un lavoro che non è il mio lavoro». Mattia riporta questa considerazione di un giovane che un lavoro l’ha trovato, ma, appunto, «non è il suo». «Occorre invece comprendere che il lavoro è tuo anche se non è quello che sognavi», richiama Vittadini: «Altrimenti sarai sempre staccato dalla realtà, anche quando facessi il lavoro ideale».



Ci vorrebbe un libro per dare conto di tutta la ricchezza di interventi. Possiamo accennare solo a Giovanni di CdO Academy («aiutiamo i ragazzi a saper rischiare e non accontentarsi della prima cosa che trovano e a prendere il lavoro non come uno scotto necessario, ma come un’opportunità. Lo facciamo non come esperti che sciorinano prediche, ma compagni di strada che sfidano i ragazzi sul loro stesso terreno»); a Davide, di Bologna, che spiega come si impara a trattare la gente da persona “precisa e irripetibile”, a cogliere le indicazioni della realtà che abbiamo davanti, a sostenere la fatica della fedeltà. Stefania, di Milano, racconta di un ristoratore andato in crisi e che vedeva tutto nero, senza più l’energia di affrontare le cose. Pian piano, esaminando pazientemente con lei tutti i fattori in gioco, ha cominciato a vedere luci di opportunità e a trovare forza di iniziativa, fino a sostenere “splendidamente” il colloquio con dei possibili investitori. «Sembrava un’altra persona».

«Il problema del lavoro è il problema del soggetto», ribadisce Vittadini: «Una prospettiva fatta fuori dalle grandi agenzie capitalistiche, che pretendono di sostituire l’io con dei meccanismi. La cura del soggetto è possibile se non misuriamo il tempo che occorre e non ci leghiamo a indici aziendali di risultato».

Ora la domanda chiave è: come si genera un soggetto, cioè una persona che sta di fronte alla realtà e trova l’energia per affrontarla? «Si tratta di mettere in azione il punto infiammato, come lo chiama don Carrón, da cui scaturisce la voglia di imparare, di migliorare, di lavorare», dice Vittadini: «Equivale a dire: mettere in moto il senso religioso, per usare le parole di don Giussani. Occorre, per conseguenza, di essere anti-conformisti, non adeguarsi supinamente alle mode, non assimilare acriticamente la logiche e metodi del potere. Semmai sbugiardarli, mostrarne l’infecondità. L’errore più grave, in cui anche noi possiamo cadere, è il dualismo tra l’aspetto umanistico e quello tecnico, il piano soggettivo e quello della realtà, il valore della persona e i percorsi nelle situazioni concrete, la concezione religiosa dell’uomo e l’homo faber. Il per-Corso è quello tracciato da Giussani dal Senso religioso alla Chiesa (che educa l’uomo al senso religioso, cioè alla posizione più adeguata per affrontare i problemi).

Da una costruzione seria del soggetto possono anche sortire modalità nuove e nuove iniziative. Quella, per esempio, di mettersi in rete creando un punto di riferimento per tutti, realizzando anche un centro tagliato sulle esigenze degli studenti che escono dalle superiori. Sarà presso Portofranco, la realtà che a Milano aiuta gratuitamente i ragazzi nello studio. Impegnato nell’impresa una storica conoscenza della solidarietà nel mondo del lavoro, Ivan Guizzardi, operaio divenuto, ormai da anni, uno dei numeri due della Cisl nazionale, non a caso responsabile dei cosiddetti lavori atipici (cioè quelli che il sindacato non aveva mai saputo affrontare). Anche Ivan fa la caritativa. «Così, quando firmo contratti per milioni di lavoratori, ho davanti non schemi formali di protocollo, ma facce concrete di persone».