La copertina di "Dov'è Dio?", conversazione di Julian Carrón con Andrea Tornielli (Piemme)

La domanda che l'uomo non può evitare

«Che cosa allora può rendere l’uomo capace di riconoscere il Divino?». Oggi esce "Dov'è Dio?", il libro-intervista di Julián Carrón con Andrea Tornielli, vaticanista de "La Stampa". Ecco un brano

Quali sono le ragioni per le quali dovremmo credere all’esistenza di un Essere superiore che ci ha creati, ci ha voluti e che continua a volerci bene?

È una domanda impegnativa, che mi sembra in rapporto con quanto appena detto. Interrogarsi sull’esistenza di un Essere superiore appare a taluni come qualcosa di irrazionale o per addetti ai lavori, estraneo a chi ha interessi vitali e concreti, qualcosa, insomma, per coloro che non hanno altro da fare o al massimo per qualche filosofo che ancora si pone certi problemi. Ora, fino a quando viviamo nella superficialità, nella dimenticanza, nella banalità, possiamo – più o meno – tirare a campare evitando la questione. Ma quando la vita urge, quando è provocata da un fatto, da una situazione, da un’incompiutezza, da un fallimento, da un’irrequietezza che non sappiamo come “risolvere”, allora certe domande esplodono, bruciano: «Perché la sofferenza, il dolore, la morte?», «Che senso ha la vita?». Cominciano a riemergere quegli interrogativi che avevamo censurato, dai quali avevamo cercato di fuggire. Il problema religioso coincide precisamente con queste domande.

Quando capitano eventi come il crollo dell’albergo di Rigopiano o lo tsunami di qualche anno fa o lo schianto dell’aereo di Germanwings contro le Alpi, perfino i giornali non possono fare a meno di dare spazio a certe domande, proprio quelle che la cultura contemporanea cerca di mettere a tacere, quasi fosse una vergogna parlarne, come diceva Rilke: «E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace/ un’onta, forse». Compaiono così titoli come: «Soltanto il silenzio», «Di fronte al vuoto», «Perché siamo uomini?», «Cosa siamo?». Pensavamo di poter vivere senza porci certe domande, di poterle censurare, ma la realtà delle nostre esigenze costitutive erompe quando meno ce lo aspettiamo dal di dentro dell’esperienza. Ci ritroviamo, così, di nuovo alle prese con ciò che avevamo tentato di mettere da parte. La vita è questa provocazione continua: noi cerchiamo di “tamponare” in tutti i modi l’affiorare di certi interrogativi, ci sforziamo di distrarci, ma il reale continua a bussare alla nostra porta e ci costringe a farci i conti. A meno che non compia o subisca una riduzione sistematica di quello che gli capita, l’uomo non può evitare le domande sul senso del vivere e della realtà intorno a sé. Queste, non altre, sono le domande religiose.

Pensavamo di poter vivere senza porci certe domande, di poterle censurare, ma la realtà delle nostre esigenze costitutive erompe quando meno ce lo aspettiamo dal di dentro dell’esperienza

Non ha però risposto alla mia domanda...

Ci sto arrivando. Qual è il punto di partenza? È il reale, che bussa alla porta della nostra esperienza e fa emergere tutta la nostra esigenza di significato. Quando facevo il professore di religione, un ragazzo in fila al self service della scuola mi chiese: «Ma lei è sicuro di quello che ci dice su Dio?». Gli risposi: «Sì, perché, vedi, ciò che distingue la mia posizione è che io non parto da Dio, parto dalla realtà». È infatti la realtà, con la sua presenza, che ci pone la questione. Come? Per introdurre alla comprensione di quello che sto dicendo, ne Il senso religioso, uno dei suoi testi più noti, Giussani invita a immaginare questa situazione: se io nascessi ora, se aprissi dunque gli occhi per la prima volta, ma con la consapevolezza che ho in questo momento, alla mia età attuale, quale sarebbe la mia prima reazione di fronte al reale? Sarei dominato dallo stupore per la presenza delle cose, una presenza che non faccio io, che trovo, che mi si impone. Si potrebbe obiettare: questa è soltanto una immaginazione! Risponderei: no, è l’originale esperienza del nostro rapporto con la realtà, e sarebbe facile riconoscerlo se non fossimo normalmente preda dell’ovvietà. Un giovane, che era stato in coma per alcuni mesi, mi raccontava che al risveglio si era trovato a guardare tutta la realtà con uno stupore assoluto: essa non era più qualcosa di ovvio, ma un “dato”, la cui “presenza” lo rendeva grato e lo interrogava.

Spesso, a lezione all’Università Cattolica, nella stessa prospettiva, parlo della realtà come segno, e faccio un esempio: «Immaginate, arrivando a casa, di trovarvi di fronte a un bellissimo vaso di fiori nella vostra stanza. Quale sarebbe la vostra prima reazione?». «Lo stupore». E subito dopo? «Ma chi me li ha mandati?». «E perché siete sicuri che ci sia un chi?» domando. «Solo per la presenza dei fiori». È impossibile che la realtà non ci provochi. Certo, c’è sempre la possibilità di una risposta parziale o insoddisfacente. Immaginiamo, per restare all’esempio, che una ragazza, trovando i fiori in camera, vada dalla madre a chiederle: «Chi me li ha portati?». E la madre risponda: «Perché ti domandi chi te li ha portati? Sono lì perché sono lì». La ragazza non potrà essere soddisfatta da questa risposta. Magari qualcuno, al posto suo, potrebbe anche decidere di accontentarsi: «Sono lì perché sono lì; me li godo fino a quando marciscono, e poi è finita». Ma è chiaro che la risposta non corrisponde alla domanda suscitata dalla presenza del reale. La ragazza, assecondando la provocazione rappresentata dalla presenza dei fiori, insisterà alla ricerca di una risposta adeguata. Perché il meglio dei fiori non sono i fiori, dei quali potrebbe godere fino a quando marciscono; il meglio dei fiori è il rimando a chi glieli ha donati: le interessa scoprire chi le vuole così bene da averglieli mandati. Ora, ciò che accade con i fiori accade in misura evidentemente maggiore con la realtà tutta, con la vita di ciascuno.

«Immaginate, arrivando a casa, di trovarvi di fronte a un bellissimo vaso di fiori nella vostra stanza. Quale sarebbe la vostra prima reazione?». «Lo stupore». E subito dopo? «Ma chi me li ha mandati?». «E perché siete sicuri che ci sia un chi?» domando. «Solo per la presenza dei fiori». È impossibile che la realtà non ci provochi

Che cosa allora può rendere l’uomo capace di riconoscere un Essere superiore? La provocazione che il reale rappresenta per la sua ragione, per la sua libertà. Sia l’uomo comune sia lo scienziato, nella misura in cui si aprono a essa, non possono accontentarsi di spiegazioni parziali, che non soddisfano l’esigenza di totalità della ragione.



Giovedì 19 ottobre alle ore 21, a Milano, nell' Aula Magna dell'Università Cattolica del Sacro Cuore (Largo A. Gemelli, 1), la prima presentazione di Dov'è Dio? con Julián Carrón e Andrea Tornielli. Intervengono Adolfo Ceretti, giurista dell'Università Bicocca di Milano, e Mauro Magatti, sociologo della Cattolica. Modera l'incontro Elisabetta Soglio, responsabile di Buone Notizie – Corriere della Sera.