Una nuova paternità per sperare
Oggi a dominare la vita di tanti è la paura del futuro. Ma come fa il timore a trasformarsi in attesa? C'è qualcosa che sostiene la vita nel presente? La storia di Washington, pericoloso carcerato brasiliano, è un inizio di risposta (da "Aleteia.org")Diceva papa Francesco in un’omelia, la scorsa settimana: «È proprio la speranza quella che ci porta alla pienezza, la speranza di uscire da questo carcere, da questa limitazione, da questa schiavitù, da questa corruzione e arrivare alla gloria: un cammino di speranza. Dentro il seme di senape, di quel grano piccolino, c’è una forza che scatena una crescita inimmaginabile. Dentro di noi e nella creazione c’è una forza che scatena una possibilità di crescita inimmaginabile. La speranza è la virtù più umile, la serva, ma dove c’è speranza, c’è lo Spirito Santo che porta avanti il regno di Dio» (Omelia Santa Marta, 31 ottobre 2017).
Una possibilità di crescita inimmaginabile dentro una cosa piccolissima, come un seme. Noi siamo questi semi. È reale questa possibilità o è un sogno?
Anche Charles Péguy parlava di questa forza: «La Fede è una Sposa fedele. La Carità è una Madre. La Speranza è una bambina da nulla. (…) Eppure è questa bambina che traverserà i mondi. Questa bambina da nulla. Lei sola, portando le altre, che traverserà i mondi compiuti. (…) La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle grandi e non si nota neanche. (…) Persa nelle gonne delle sue sorelle. E crede volentieri che siano le due grandi che tirino la piccola per la mano. In mezzo. Tra loro due. Per farle fare quella strada accidentata della salvezza. Ciechi che sono che non vedono invece che è lei nel mezzo che si tira dietro le sue sorelle grandi» (Il portico del mistero della seconda virtù).
L’origine profonda della crisi che stiamo vivendo nel mondo di oggi è la mancanza di speranza, la paura del futuro.
L’uomo vive “in speranza”, proiettato sempre al futuro, vivendo il futuro nell’oggi. Si capisce questo pensando a quello che si sperimenta quando arriva il venerdì, oppure quando stanchi ci si ferma davanti alla tv, un po’ tristi, la domenica sera. Se vedremo la persona che amiamo tra un’ora o tra un giorno, già l’istante si fa ricco, pieno e vivace. Se tra un mese dovremo fare un esame medico importante, già oggi saremo preoccupati.
Nell’uomo il presente e il futuro si richiamano sempre a vicenda, perché l’uomo vive nell’oggi, ma è intrinsecamente teso al futuro, è proiettato al futuro, è attesa.
L’origine profonda della crisi che stiamo vivendo nel mondo di oggi è la mancanza di speranza, la paura del futuro.
Per questo ci vuole un “grande” presente perché il futuro sia una promessa. Perché la speranza, la piccola, tira il presente verso il futuro ma la forza di tirare le viene, come raffigura genialmente Péguy, dalla certezza della presenza delle due sorelle più grandi, una presenza certa che non ti lascerà mai e questo attualizza il futuro nel presente generando una pace, e una voglia di vivere.
Un uomo che vive con speranza lo si vede dalla faccia. Non è aspettare un futuro migliore, è avere già oggi qualcosa che ti muove, ti cambia, e ti apre una strada. E ti dà la voglia di camminare.
Senza speranza devo difendere uno spazio e vivo dominato dalla paura. Passo la vita a costruire i muri, e a farne la manutenzione, ma l’aria, tra le mura, diventa stantia. E devo aspettare che passi questo tempo triste, ma non c’è cosa più avvilente che aspettare il tempo che passa. Invece, nella speranza non si ha paura del tempo. Il futuro senza una certezza diventa un peso troppo grande da sopportare. Per questo vediamo tanta fatica di vivere.
Ma allora, che cosa è in grado di risvegliare questa speranza in me?
Alcune settimane fa, Julián Carrón, autore del libro La bellezza disarmata, diceva in un incontro fatto a San Paolo che «quanto più il deserto avanza, più sarà facile sfidare l’ambiente con una novità di vita, perché le cose più elementari del vivere, come guardare una persona negli occhi, fare un gesto gratuito, genereranno uno stupore assoluto. Perché? Perché queste cose, che sembrerebbero normali, cominciano a non essere piú normali. E faranno nascere la domanda: “Ma tu chi sei?”».
Più che l’atteggiamento del guerriero che si arma per difendere la sua terra, questo momento ci chiede di imparare ad essere padri, una nuova paternità da esercitare con chi incontriamo, capaci di guardare l’altro non come un nemico da combattere ma come un figlio, che ha solo bisogno di essere amato. Essere come dei padri che sono pieni dello struggimento per il fatto di non riuscire ancora a far percepire la bellezza di una cosa ai propri figli. I papà si arrabbiano, ma alla fine quello che fanno è rimanere lì, non mollare, magari tante volte in silenzio, aspettando e vivendo. Vivendo e volendo imparare a vivere quell’amore continuo, attendendo che prima o poi si apra una breccia e scatti una scintilla, e così veda crescere i propri figli.
Cosa ci interessa veramente? Che gli uomini cambino o che si affermi la “mia” verità?
Davanti al crollo di tante evidenze, la nostra azione deve guardare più in là. Certo, non indietreggiare davanti a ciò che dobbiamo e possiamo difendere. Ma la sfida è spostare l’orizzonte per cercare di identificarci con le persone che incontriamo, con la società che facilmente si perde e grida, senza dirlo. Cosa ci interessa veramente? Che gli uomini cambino o che si affermi la “mia” verità? L’amore alla verità non può essere dissociato dal desiderio del cambiamento dell’uomo.
Mi ha aiutato molto, nel capire questo nuovo modo di stare davanti al momento di crisi, l’esperienza delle Apac e di Valdeci Ferreira.
Volontario da oltre 30 anni, Valdeci ha ricevuto lo scorso 6 novembre il premio di Imprenditore sociale dell´anno, un premio molto prestigioso in Brasile. È il direttore della federazione che riunisce le Apac (Associazioni per la protezione e l’assistenza ai carcerati). Oggi in Brasile, le Apac sono una cinquantina. Per essere ammesso, il detenuto deve essere condannato in via definitiva, deve aver fatto un periodo di detenzione nel carcere tradizionale e la richiesta di entrare.
Un giorno ci ha raccontato la storia di Washington, un “recuperando”. «Era molto aggressivo, abbiamo avuto tante difficoltà con lui: non voleva fare nulla e contagiava il gruppo. Stavamo per trasferirlo, quando c’è stata una delle “Giornate di liberazione con Cristo”, uno dei dodici pilastri del nostro metodo. Washington era lì in prima fila, solo perché era costretto. Eravamo nell’auditorium del regime chiuso, in cui ci sono 8 portoni che si aprono e chiudono a concatenazione. Quando ho chiesto: «Perché non scappate?”, lui è saltato su: “Perché i portoni sono chiusi”. Allora ho dato l’ordine di aprirli. Uno a uno. “Perché ora non vai?”. “E chi mi garantisce che fuori non ci sia qualcuno a prendermi?”. “Non ci credi? Esci e porta dentro un segno che sei stato fuori”. Lui si è alzato, ed è uscito. Silenzio assoluto. Sono stati i cinque minuti più lunghi della mia vita. Washington è rientrato, con in mano un ramo. Gli ho chiesto: “Perché sei tornato? Hai tanti anni di condanna...”, ma lui ha iniziato a piangere: “Nessuno si era mai fidato di me”». E Valdeci concludeva: «L’amore può recuperare tutti. A partire dal nome e da un incontro».
«Nessuno si era mai fidato di me». Ecco, ci vuole l´incontro con uno sguardo umano, di un padre
«Nessuno si era mai fidato di me». Ecco, ci vuole l´incontro con uno sguardo umano, di un padre, per arrivare a scoprire che «dentro di noi e nella creazione c’è una forza che scatena una possibilità di crescita inimmaginabile» (papa Francesco).
Quello che il Papa sta mostrando al mondo, cioè che l´esperienza di vivere con speranza è possibile e che il presente vale la pena di essere vissuto e che si può percorrere un cammino umano pieno di positività, si vede in esempi come quello di Washington e delle Apac, nello sguardo stesso del Papa. Storie di uomini che generalmente non fanno notizia: per questo dobbiamo stare attenti, cercare e - se possibile - seguire queste persone che sono come stelle, cioè segni di una nuova paternità che il mondo, anche senza saperlo, aspetta. Stelle che illuminano la notte scura che impaurisce, ma che all´improvviso s’incammina verso la luce, per la presenza di qualcosa di reale che appare e che non è un sogno.