Pilar Rahola

Pilar Rahola. Ragione e fede

«Naufragio dei valori e conflitti che insanguinano l’umanità: l’esistenza dei credenti è un’urgenza sociale». Su Tracce di marzo il contributo, uscito su La Vanguardia, della giornalista che a maggio ha presentato La bellezza disarmata
Pilar Rahola

Riuniti sotto l’insegna della YPO (Young President’s Organization), che raccoglie migliaia di amministratori delegati di tutto il mondo, nello scenario del Real Club de Tennis di Barcellona, in pochi cerchiamo l’impossibile. Sul tappeto, le religioni, Dio, lo scontro tra fede e ragione... e alternandosi al microfono, felicemente moderati da Helena Garcia Melero, un gruppo variopinto che va da rappresentanti del cristianesimo (Roser Farrús), dell’islam (Zouhair el Hairan), del buddismo (Thubten Wangchen) e dell’ebraismo (Marcel Odina), fino a due agnostiche-atee “provvisorie”, secondo l’espressione della sociologa Maite Soto-Sanfiel, che accanto a me completa il panel degli oratori. A partire da qui, una conversazione che si è sviluppata liberamente e sempre nel rispetto reciproco.

Dio e la convenienza, o, come ha domandato uno del pubblico, perché le religioni? La cosa certa è che è strano rispondere dal punto di vista di non credente che, inevitabilmente, mi definisce. E aggiungo l’avverbio, perché riconosco che sarebbe più comodo evitarlo, convinta come sono che la fede in Dio lenisce le paure. Ma siccome il fatto della fede non nasce da un’ispirazione divina, ma dalla volontà dell’uomo, per ora sono fuori gioco. Malgrado ciò, in questo mondo così sconcertato, nel permanente naufragio dei valori e con conflitti gravi che insanguinano l’umanità, l’esistenza dei credenti mi sembra sia una necessità etica, di fatto, un’urgenza sociale. Ovviamente, quando parlo di credenti mi riferisco a persone che hanno compiuto un profondo percorso interiore, hanno raggiunto una trascendenza spirituale, e da tutto questo ricavano una maggiore umanità. Persone che hanno inteso la fede come un arricchimento personale e un’apertura al prossimo. Altro sarebbero i fanatici che usano Dio per il male, persone in cui la trascendenza finisce dove comincia l’intolleranza. Ma al di là di queste ideologie totalitarie o delle strumentalizzazioni politiche delle religioni, il fatto religioso in sé è un veicolo di valori morali che ci urgono, particolarmente, in quest’epoca convulsa.

«La fede, intesa come una forza interiore che anima l’essere umano a vivere con maggiore profondità la sua esistenza, è l’altro pezzo che ci mancava, il complemento della ragione»

È certo che, come cittadini occidentali, tendiamo a nutrirci dell’Illuminismo e del razionalismo, e con questa prospettiva cerchiamo di comprendere il mondo. Ma adesso che ormai sappiamo che l’Illuminismo ha fallito nel suo tentativo di fare della ragione la spiegazione di tutto, forse dovremmo lasciare uno spazio alla luce che la fede reca a molte persone. Non è qualcosa di banale, né semplice, né superficiale, e non possiamo permetterci il lusso di non tenerne conto. La fede, intesa come una forza interiore che anima l’essere umano a vivere con maggiore profondità la sua esistenza, è l’altro pezzo che ci mancava, il complemento della ragione, e non la sua antitesi. Questo è l’errore storico di un Illuminismo arrogante, che ha creduto che la ragione fosse superiore alla fede. E se le due fossero allo stesso livello e avessero solo bisogno di integrarsi? La risposta a questa domanda cambia totalmente la prospettiva.

(per gentile concessione de La Vanguardia)