Gli Esercizi degli adulti di CL (Foto di Pino Franchino)

Esercizi degli adulti. Il mandorlo e il vulcano

Erano ottomila a Rimini, dal 4 al 6 maggio, per gli Esercizi spirituali guidati da don Eugenio Nembrini. Ciascuno con dentro «un pezzo del cuore di Dio, che si manifesta in noi come nostalgia di Lui»
Paola Ronconi

Sono caduti benissimo 25 aprile e 1 maggio, quest’anno. Un italiano su tre sulle strade, per il ponte. Una ventina di milioni, 33% al mare, 32% al “turismo verde”, 20% nelle citta d’arte. E noi ottomila, cosa ci ha spinto a partire per Rimini, questo primo weekend di maggio, per gli ennesimi (o i primi) Esercizi spirituali degli adulti di CL?

Don Eugenio Nembrini non lascia dubbi: «L’uomo ha dentro questa caratteristica: si muove. Parte sempre! Ma si muove per qualcosa, per dei particolari, che sia il tifo calcistico, la montagna. Ma noi tutti siamo qui per una nostalgia: la nostalgia di Dio».



Alle spalle del palco della fiera, la stessa immagine della settimana prima, quando erano in 21mila della Fraternità di CL: Il ramo di mandorlo in fiore di Vincent Van Gogh. E la stessa frase, quella del profeta Isaia: «Ecco, faccio una cosa nuova: non ve ne accorgete?».

Ognuno di noi è qui per sé, ma tutti ci siamo portati dentro, fino a Rimini, qualcun altro: un amico malato che sta per incontrare il suo Signore, un parente che sembra non avere una strada nella vita, un’amica che sta iniziando a rifarsi una vita. E poi i nostri figli, che il mondo tenta in ogni modo di distrarre con miliardi di pixel, per i quali desideriamo solo la felicità…

«Questa sera, in modo misterioso stiamo portando il peso del cuore del mondo», dice Nembrini. E tutti capiamo che sì, la partita si gioca a questo livello. Ma perché abbiamo nostalgia di Dio?



«Gesù, nell’Ultima cena, ha preso il pane, il suo corpo, e l’ha spezzato. Ma questo gesto l’ha fatto Dio all’inizio del mondo: ha preso il suo cuore, l’ha spezzettato e l’ha messo dentro a quell’uomo che stava creando. Pensate che roba! Ognuno di noi porta dentro di sé, non perché lo sente, non perché ci crede o gli pare, un pezzo del cuore di Dio», l’impronta di Dio in noi «che si manifesta come nostalgia, perché quel cuore è fatto per incontrare la sua origine».

Si fa sentire, ogni tanto, come un nodo che prende alla gola, come un velo di tristezza che scende e non sai perché, come un pianto disperato per un dramma, o una preghiera che magari si fa bestemmia…

Quante volte sembra lì lì per scoppiare, e poi l’allarme rientra. È come «un vulcano che si risveglia», canta dal palco la solista: «Stai fermo, stai rinchiuso lì dove ti ho messo, è per il tuo bene, se no ti brucerai» (Be still my heart, Jacqui Treco).



Sì, meglio che il vulcano stia tranquillo, meglio raffreddarlo. E quante cose ci sono nel mondo per farlo. Oggi come duemila anni fa: Zaccheo aveva provato a farlo tacere con i soldi; la Samaritana con i suoi cinque mariti; Nicodemo, con la sapienza e legge. E la Maddalena? Quanto lo aveva imbrogliato quel cuore, e quanto era piegata sotto il giudizio della gente. «E Gesù cosa fa?», chiede don Eugenio: «Le dice: “Nessuno ti ha condannato. Neanche io ti condanno”. Non le fa la predica, ma la guarda, la prende per mano e la tira su. Se questi quattro avessero visto il quadro di Van Gogh avrebbero detto: “Sono io! Sono io quel ramo che sta rifiorendo, quel ramo secco buono da bruciare". Tutto rinasce perché tutta l’opera di Dio nella storia è che la Sua presenza mi sia familiare». Che Gesù Cristo diventi familiare alla mia vita.

I maxi schermi cambiano immagine. Parte un video. Si vede la terra rossa d’Africa, si sentono canti e appaiono delle donne con una maglietta gialla. Sono le “donne di Rose”. Malate di Aids, negli slum di Kampala, in Uganda. «Regalavo loro le medicine», racconta Rose Busingye, infermiera: «Ma a loro non importava più niente. Le buttavano o le rivendevano». Poi a una di loro Rose dice che la sua vita ha valore agli occhi di Dio. Lei è il tesoro di Dio. «Tu sei prezioso ai miei occhi», dice Isaia. La realtà intera è stata fatta da Dio apposta per te. Le donne di Rose cantano e ballano. La loro situazione non è cambiata, ma «Io, che ti ho creato, ti ho voluta, ti ho amata, sono lì con te». «Tutto l’universo è stato fatto per te, perché tu vali agli occhi di Dio», disse don Giussani a Rose, durante uno dei loro primi incontri. Solo Dio, solo Cristo può far rifiorire quel ramo secco e come dice lei: «“Chi” sono nasce da “di chi” sono».



«Arrivi tu, la mente torna… Mi parli tu, il mondo è acceso, quello che era mio, tu l’hai già preso non ci son più per me esitazioni, ti chiedo solo se mi perdoni», cantava Mina. La stessa canzone riempie il salone oggi. È proprio come essere innamorati. E non si vorrebbe mai andare via da chi ci ha amato così. Don Eugenio legge delle lettere. Quella del carcerato che non vuole uscire di prigione perché lì «ho visto quegli occhi». O della donna siciliana, il cui padre è stato ucciso dalla mafia, e il cui figlio si è suicidato, e lei non riusciva più a tornare nella sua terra. «Magari ci vogliono 30 anni per guardare in faccia una ferita», commenta Nembrini: «Ma si può arrivare a dire: “Ora non ho più paura. E parto”. Tutta la storia di Dio con noi è perché venga fuori un “io” così».

Certo, «come un vulcano che si risvegli, il colpo è inevitabile», e un minuto dopo arriva la tentazione della fuga, del dubbio: ma mi vuoi proprio bene così? Sei sicuro? Ma sai chi sono e cosa ho fatto? Mille obiezioni, mille riduzioni, un passo avanti e due indietro, come i bambini quando devono fare un passo di crescita.

Bisogna avere pazienza, non avere paura. Ci vuole un lavoro, dopo che finalmente hai ceduto e hai deciso di capire «perché il vulcano brucia». Devi andare dal fisioterapista dopo aver tolto il gesso, spiega Nembrini, e quando raddrizzi il braccio è un dolore della miseria: «In fondo, il riconoscerLo è semplice; è l’aderirvi, il cederGli, il darGli credito che frena».



«Come un vulcano che si risveglia siamo scoperchiati e cominciamo a mostrare che non si può tornare indietro, cuore mio. Un desiderio d'amore che non sarà mai detto, un amore che può riempire un oceano». Non si torna indietro, non si fugge dall’amore. Ma, avvisa Nembrini, «occorre che l’Avvenimento di quell’amore sia contemporaneo, qui, ora. Nessun’altra cosa al mondo è in grado di vincere obiezioni e riduzioni che possono diventare il nostro macigno: accuseremo la vita di non aver realizzato ciò che il cuore gridava». Serve una presenza, una compagnia. In una parola, una “casa”, «perché tutto sia portato, sostenuto, accresciuto. E vinca di nuovo quello sguardo, lo sguardo di Dio su di me».

Alle domande dell'assemblea di domenica mattina risponde, insieme a don Eugenio, anche Davide Prosperi. «Cosa garantisce che l'educazione non cada nell'emozione del momento?». «Un adulto che non riconosce il bisogno di essere continuamente educato è già morto», dice Prosperi: «Ciò che costruisce di più la nostra personalità non è innanzitutto ciò che diciamo, ma è l'immedesimazione con le ragioni di qualcuno che sta già vivendo. Senza un padre non si può vivere. E i nostri figli ci educano in questo, perché ci chiedono una tensione continua verso il bene. Non è un problema etico, ma è una tensione perché sappiamo che la coerenza non è nelle nostre forze».

Cercate ogni giorno il volto dei Santi: questo ci permetterà non di non sbagliare, ma di ripartire sempre. È la sfida che ci aspetta ora. La possibilità di essere quel ramo di mandorlo. In una casa. Di cui avere le chiavi e dove mettersi in ciabatte. Ma soprattutto dove c’è sempre uno che è già lì. E ti aspetta.
È il momento di partire. I panini ci attendono. La Rimini-Milano non è mai stata così bella.