L'area dedicata agli Exoplanets

Meeting 2018. L'occhio di vetro e la felicità

Anche ieri una giornata piena di incontri e personaggi. Dalla libertà di Jean Valjean a quella della scrittrice sedicenne Veronica Cantero Burroni e di Paola Cigarini. E poi, un viaggio tra le stelle. Fino ai banchi di scuola...
Paolo Perego

È l’ultima parola del titolo del Meeting. Ma pare che ieri sia stata lei a farla da padrona: la felicità. Il Meeting è in cammino, il percorso di Giobbe, il desiderio di “vita e di giorni felici” citato dal Papa nel suo messaggio. Affascinante. Molto. «Io però non mi sento felice. Forse la felicità è solo una tregua all’infelicità. Un uomo può essere fortunato, ma non felice». Parole che risuonano nell’Auditorium al primo grande incontro del mattino. La voce è quella di Franco Branciaroli, in un video che introduce un dialogo tra Davide Prosperi e Luca Doninelli su I Miserabili di Victor Hugo: «In fondo a Jean Valjean, per l’uomo che era, bastava poco perché si attenuasse la sua tensione. Come una bella giornata, magari». Non sottoscrive Doninelli, scrittore e autore di una riduzione teatrale del classico francese, e parte da lontano, da cosa sia una grande opera, «non un affresco ma un nesso con le stelle, l’espandersi di ciò che accade in un istante, il rapporto con l’universo qui e ora». Hugo lo costruisce con un eroe che non parla, non trionfa, digressioni sconvenienti… «Se ci sono cose da non fare per uno scrittore lui le fa tutte». A Hugo interessa solo il suo cammino di spoliazione, il suo cammino umano. «È un romanzo sacro, scritto da un uomo anticlericale». «Tocca il cuore di chi lo accosta», fa eco Prosperi, biochimico, ma appassionato del romanzo e già alunno di un Doninelli allora professore di filosofia alle superiori: «È una grande opera perché descrive l’uomo nel suo livello più essenziale: il desiderio di bene, di essere amato». Nei Miserabili c’è tutta la rivalsa di una generazione vittima dell’ingiustizia. Ma per Valjean c’è un fatto, all’inizio del romanzo: il gesto del vescovo Myriel, che non solo scagiona dall’accusa di avergli rubato l’argenteria, ma gli dà di più di quanto ha rubato: «È liberato dalla colpa, ma riceve la scoperta di una libertà più grande». Non se ne staccherà più, fino alla fine, «in un percorso di autocoscienza che si costituisce per incontri, lungo tutta la sua vita».

Davide Prosperi e Luca Doninelli

Una libertà diversa da quella di chi andava a morire nei moti del 1832 del romanzo di Hugo. Diversa anche da quella di tanti di cui in questi giorni si sente parlare, poco dopo, nell’Area dedicata alla Storia. E non sarà un caso che, dopo l’incontro con l’ex Br Bonisoli ieri, oggi si guardava al Sessantotto “dall’Est Europa”, in un incontro curato dalla Fondazione Russia Cristiana con monsignor Francesco Braschi, Adriano dell’Asta e la ricercatrice Annalia Gugliemi. Oppure quella religiosa, di cui si parla nell’incontro-processo simulato con Sabino Cassese, Joseph Weiler e la giurista Francesca Martines, in Sala Tiglio.

Francesca Martines, Sabino Cassese e Andrea Simoncini

Ritorna tra le mani il testo di Francesco, e quelle due parole del messaggio rivolto al Meeting: «Venite e vedrete». Eccoli “venire”, centinaia di volti in coda per entrare nel grande salone a incontrare due “Testimoni di felicità”. Veronica Cantero Burroni, sedicenne disabile argentina, scrittrice da quando aveva sette anni e già vincitrice del premio Elsa Morante 2016 con il suo Il ladro di ombre. E con lei, sul palco, Paola Cigarini, originaria di Maranello – «e quindi una Ferrari», dice Giorgio Vittadini che modera l’incontro –, ma in Brasile, a Salvador de Bahia, a dirigere un centro educativo nel cuore di una favela. È un’ora senza respiro. «Se uno rimane seduto e non tenta di alzarsi non può vedere le cose già lì, sul tavolo, davanti a lui», dice Veronica dalla sua sedia a rotelle nel video che la presenta. Ma poi attacca a parlare dal vivo, dal palco di Rimini: «Si può essere felici. E non è una domanda». È sentirsi abbracciati. Come quando, racconta, è andata dal Papa in udienza: «Aspettavo. Sapevo che c’era la possibilità di vederlo. E avevo con me il libro». Cosa scrivere sulla copia da donare a Francesco? «“Grazie”, ho pensato. Ma grazie per cosa? Mi è venuto in mente il suo discorso ai giovani cubani, quando ha parlato di vedere la vita in un altro modo, con un occhio di carne e uno di vetro. Col primo vediamo ciò che guardiamo, con l’altro quello che sogniamo, che desideriamo. Chi non sogna è chiuso in se stesso. La capacità di desiderare è la cosa più preziosa». Così Veronica scrive anche questo: «Grazie, perché mi hai insegnato a guardare con l’occhio di vetro e con l’occhio di carne». Ovvero, un modo diverso di amare la realtà. E ancora: «Come può vivere qualcuno che non si aspetta mai miracoli?». Non magie o cose paranormali, ma qualcosa che accade «e ti fa apprezzare ogni dettaglio di questo mondo». Come il regalo di Gesù, davanti alla sofferenza dell’ennesimo intervento chirurgico alla colonna vertebrale: «L’“amico bisturi”, lo chiamo. Chiedevo che finisse il calvario. Ma Lui ha aspettato fino all’ultimo per farmi capire che era per me, il giorno prima. Ho sofferto, ma il regalo è stato capire che era immedesimarsi con Lui, con la sua croce. Un miracolo. La felicità non è un cielo senza tempesta».

Veronica Cantero Burroni e Giorgio Vittadini

A ruota, Paola Cigarini, con la storia del suo Centro Educativo Giovanni Paolo II in una città che per il 60% è favela. «Nel nostro quartiere abbiamo 2 omicidi al giorno di ragazzi tra i 14 e i 28 anni, in una metropoli che ne conta 30mila all’anno». È qui che dal 2000, «dalla gratuità di uno che si è commosso e ha dato credito alla possibilità di qualcosa di diverso, lontano dal calcolo, vengono accolti 500 ragazzini del quartiere tra doposcuola e sport». Non c’è nulla di scontato nella realtà: «Un letto, dormire nelle lenzuola, una mamma che ti accudisce, mangiare… Da noi molti bambini non hanno nulla della nostra quotidianità apparentemente banale», racconta ancora. E la violenza è un fenomeno in crescita: «Qui tutti hanno qualcuno in famiglia morto ammazzato». Ma il centro non lo tocca nessuno, e neppure ci sono dei vigilantes: «Tutti lo riconoscono come un bene, anche “quelli” di cui la gente ha paura». I genitori vedono i bambini felici, che crescono, imparano. Li vedono stare bene, e finalmente educati a una prospettiva positiva per la vita. Educati a sognare, appunto. «Un miracolo», riprende Vittadini: «La forza che l’uomo da solo non ha. La realtà è il miracolo. Non c’è Dio da sovrapporre: è già lì».



Occhi di vetro e il desiderio. Anche per il gruppetto di ragazzini che visita l’area scientifica dedicata agli Exoplanets, i pianeti extrasolari, quelli che gli scienziati, da qualche anno guardano come possibili “spazi di vita” nell’universo. Avranno sedici anni, e guardano ammirati il modellino di telescopio che verrà montato su un satellite in una prossima missione spaziale dell’Agenzia Europea. Un occhio di vetro, appunto. Per vedere quel cielo che, da quando esiste, l’uomo osserva. Intorno a loro decine di persone, bambini, ragazzi adulti, tra plastici e pezzi di meteoriti. In un altro spazio dell’Area, un affollato incontro dedicato a qualcuna delle più recenti scoperte in materia.

Enrico Flamini, Marco Bersanelli e Alessandro Morbidelli

Ci saranno stati tutti, questi occhi di carne e di vetro, all’incontro del pomeriggio con gli scienziati Enrico Flamini, Alessandro Morbidelli e Roberto Battiston, confermato presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana in collegamento dalla Guyana francese, impegnato nel lancio di un’ennesima missione. A tema, la vita extraterrestre e il lavoro dei tre, partendo proprio dai pianeti extrasolari.



«Fino a vent’anni fa era impensabile che esistessero. Anzi, pensavamo tutti che fosse impossibile. Oggi siamo convinti che sia anomalo che una stella non ne abbia. E nell’ universo ci sono centinaia di miliardi di stelle…». Una scoperta dietro l’altra, con osservazioni sperimentali. «Fatta di intuizioni, tentativi, errori e successi», dicono tutti e tre a modo loro. Come quella del lago d’acqua sotterraneo su Marte, notizia dei primi d’agosto. «Una scoperta italiana, frutto di un progetto partito a metà anni Novanta, Marsis», dice lo scienziato. Con una strumentazione che non si poteva provare sulla Terra se non con simulazioni al computer. «Un successo». E poi Morbidelli, che si commuove quasi, «come sempre», nel rivedere una sequenza di fotografie che mostra quattro esopianeti girare intorno alla loro stella. O Battiston, alla domanda sulla possibilità di vita extraterrestre: «La risposta sta in ciascuno di noi. In tutti quanti non può che risuonare questa domanda che ci mette in contatto con l’immensità. Fa parte della nostra natura». Il bisogno dell’altro fa parte dell’uomo, come hanno detto anche i suoi colleghi: impossibile non porsela e non lavorare per rispondere, perché l’uomo non può immaginarsi solo.

Il ministro Marco Bussetti

Dalle stelle alla scuola, anche il neoministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, è passato al Meeting. Una visita istituzionale, ma anche frutto di un’amicizia con Portofranco, realtà che ha conosciuto da provveditore a Milano. E per la quale non ha esitato a tessere elogi: «Un posto dove ho visto persone competenti che dedicano tempo, con passione, amore e dedizione, a ragazzi che chiedono aiuto e che poi raggiungono risultati. E che tornano per restituire ciò che hanno ricevuto». Niente comizi: Bussetti risponde a domande di studenti, professori e genitori. Sulla valutazione dei docenti: «Devono essere chiari gli indicatori sulla base dei quali una persona viene valutata. E certo tra questi andrebbero inseriti aspetti che un docente dovrebbe avere innati», risponde allo studente Marco che gli racconta del suo rapporto con un prof che lo ha rilanciato nello studio e non solo. Sulla formazione professionale: è nata negli anni Cinquanta, ma può essere una grande opportunità oggi, rafforzando il legame con le imprese. Ancora, autonomia e parità: entrambe imprescindibili nel sistema scolastico italiano, da rivedere nei loro aspetti problematici. «L’istruzione può rendere felici?», si domanda Alberto Bonfanti, insegnante e moderatore dell’incontro: «Sì, se è educazione. Ovvero se è introduzione alla realtà, come insegnava don Giussani». Torna ancora il binomio: realtà-felicità… «È questa educazione che fa scoprire a ciascun io questa identità. Cioè, ciò che muove il cuore».