Banco Farmaceutico. Una Raccolta per chi non si conosce

Mezzo milione di poveri aiutati solo in Italia, per permettere a chi non può di curarsi. Sabato 9 febbraio c'è la Giornata di raccolta del farmaco. Ecco cosa c'è dietro a questo gesto di carità "internazionale" (da Tracce di febbraio)
Paola Ronconi

È un’idea moderna, un esempio di sussidiarietà dal basso. La società che si organizza per rispondere a un’esigenza ormai evidente e che negli ultimi anni sta assumendo proporzioni critiche. Parliamo del Banco Farmaceutico, che da 19 anni raccoglie e recupera farmaci da distribuire a strutture caritative che assistono i poveri. Tanti: almeno 535mila solo in Italia, aiutati attraverso quasi 2mila enti. Numeri più piccoli del più “navigato” e famoso Banco Alimentare, certo. Ma la differenza viene anche dal fatto che il Banco Farmaceutico mostra una povertà che solo in un secondo momento salta agli occhi: quella sanitaria.

Quest’anno è stato lo storico dell’arte Philippe Daverio, finissimo ed elegante divulgatore del gusto del bello, a ricordarci che il 9 febbraio c’è la Giornata di raccolta del farmaco, durante la quale, in 4.500 farmacie della Penisola, si può compiere un gesto di carità comprando un farmaco da lasciare ai volontari del Banco o dando del tempo ed essere volontari noi stessi per un giorno. In un breve video, Daverio dice anche che in realtà noi uomini del XXI secolo non abbiamo inventato niente: gli affreschi all’interno della Biblioteca Ambrosiana raccontano che nella Milano di Ludovico il Moro (siamo a cavallo tra Quattro e Cinquecento) nasce la Confraternita della Santa Corona, «al contempo laica e religiosa, che raccoglieva medicine per gli indigenti, in una sorta di Banco Farmaceutico ante litteram; e che si dava a quella pratica che oggi sembra così nuova e così moderna. E così esterna all’Italia: quella del fundraising e della partecipazione. Una pratica che corrisponde ad una radicale percezione della partecipazione alla società, che ha il suo momento di nascita con la genesi della Festa del Perdono e dell’Ospedale Maggiore e si sviluppa, attraverso il Cinquecento, con un’attenzione particolare a chi ha bisogno. A loro, a quelli della Confraternita, si deve una delle prime testimonianze che sostituisce alla flagellazione il dolore delle spine: il dolore delle malattie che colpisce tutta l’umanità».

Il 9 febbraio, in 4.500 farmacie italiane è possibile donare un farmaco

Oggi non si chiamano più confraternite, ma, grazie al Banco, alla Giornata di raccolta e a tutti gli altri servizi di recupero farmaci, parliamo di Caritas, Società di San Vincenzo de’ Paoli, Opera San Francesco… Insomma, quella galassia di enti (siamo sui 1.760) che aiutano nella povertà sanitaria. E che vale la pena di conoscere più da vicino, per capire cosa spinge ad aiutare gli altri.

Una volta si chiamavano “dame”, oggi sono “consorelle”; ma la finezza dei modi, pari solo alla fermezza nel fare, della signora Piera Garella richiama ancora quella figura che nell’Ottocento ha dato vita alla Società di San Vincenzo de’ Paoli, associazione cattolica di laici. In un quartiere periferico di Torino, presso la parrocchia di Nostra Signora del Santissimo Sacramento, tutti i lunedì alle 15 si apre il centro di ascolto grazie a tre confratelli e a molti volontari. Lì trovano orecchie pazienti le storie di stranieri e di italiani, spesso drammatiche. La signora Piera è la responsabile dell’armadio farmaceutico, che si riempie grazie al Banco e si svuota per aiutare un’ottantina di famiglie e più di un centinaio di persone. «Solo medicinali da banco. Se poi qualcuno ha ricette col ticket e non ha soldi, lo accompagniamo in farmacia e paghiamo noi».

Durante la Giornata di raccolta del farmaco sono loro, le consorelle vincenziane, che gestiscono e procurano i volontari. «Quest’anno verranno anche gli studenti di Medicina», dice. È da sessant’anni che la signora Piera dona il tempo in questo modo, «è insito nella mia fede. L’ho imparato prima da mio padre, a 16 anni, quando mi portava nelle soffitte del centro di Torino dai bisognosi. Poi da mio marito, vincenziano e diacono. Amare i fratelli è il top della vita, anche se hai davanti persone sgradevoli. Gesù è arrivato a morire, io spero almeno di avere sempre misericordia».

«Non basta dare una medicina: se li guardi negli occhi, se li ascolti, capisci che hanno bisogno di affetto, di essere accompagnati, di non essere lasciati soli»

Dal 2001, ad Andria, c’è la Casa di accoglienza Santa Maria Goretti, gestita dall’ufficio Migrantes della Diocesi, per rispondere all’arrivo in massa di migranti: «Ora il numero degli stranieri si è ridotto, dal momento che ci sono questi porti chiusi…», ci dice suor Susanna Colucci, coordinatrice dell’ambulatorio medico: «Ma questo non ci vieta di essere disponibili per coloro che sono rimasti in Italia, clandestini e non. E poi ci sono gli italiani, che arrivano a rinunciare a curarsi». Il centro ha a disposizione farmaci da banco, farmaci di fascia C che sono più costosi e soprattutto integratori.

Sono molti i medici e gli infermieri che regalano il tempo qui. «Perché io lo faccio? Sono una religiosa, una Figlia della Carità di San Vincenzo. Il nome dice tutto: condivisione, amorevolezza, compagnia. Per me, incontrare chi ha bisogno coincide con l’incontrare Dio. Il carisma di san Vincenzo de’ Paoli lo sento incarnato nella mia pelle. I bisogni di questa gente, le loro lacrime, ci fanno convertire ogni giorno. Per questo non basta dare una medicina: se li guardi negli occhi, se li ascolti, capisci che hanno bisogno di affetto, di essere accompagnati, di non essere lasciati soli». Come è successo a Jakariia, 20 anni. Partito dal Sudafrica, ha attraversato il deserto della Libia dove è stato frustato con oggetti arroventati. Una volta arrivato a Bari, da suor Susanna, aveva già l’osteomielite, una grave infezione dovuta all’esposizione delle ossa ad agenti esterni e alla scarsa igiene. «Ora sta facendo interventi su interventi. Noi lo accompagniamo e lo medichiamo. È musulmano, e ringrazia Dio di aver trovato questa casa. La nostra opera? Aiutiamo l’uomo per Dio, diciamo Dio attraverso l’uomo».



Nadia Superina è la responsabile dell’opera della Comunità di Sant’Egidio a Genova. Dal 2002 hanno un centro dove forniscono vestiario e viveri del Banco Alimentare. Ma aumentando i bisogni sanitari, è stato aperto un ambulatorio. Più di 800 visite all’anno, una volta a settimana. «Vediamo persone che non hanno l’assistenza sanitaria, stranieri o senza dimora, oppure persone che pur avendo il medico hanno grosse difficoltà per farmaci e visite specialistiche», racconta Nadia. Grazie al Banco Farmaceutico, in molti casi riescono a venire incontro a queste esigenze. La più grande povertà, però, è la solitudine: «Se una persona nel suo bisogno si trova anche da sola, non ce la può fare. Noi siamo cattolici e credenti, le beatitudini ci dicono cosa fare. Si tiene sempre una porta aperta». Ma ancora di più: «È un affetto che si condivide. Chi aiuta e chi è aiutato si confonde, a Sant’Egidio: io da sola non potrei ascoltare le difficoltà della mia vita. Tutti hanno bisogno di un altro accanto. Solo dopo hai bisogno anche della medicina».

E c’è anche chi vuole ridare ciò che ha ricevuto: «Fatima, marocchina, oggi ha 17 anni. Alcuni anni fa veniva con la mamma, per le medicine. Ora non va più a scuola, viene una volta a settimana per aiutarci con i vestiti. Per il pranzo di Natale con i nostri assistiti lei, musulmana, vestita da Babbo Natale, portava i regali. “Chiamami ancora perché con voi sono contenta”, mi ha detto».

Il Banco Farmaceutico a Palermo ha creato una rete tra gli enti che distribuiscono i farmaci sia per la Giornata di raccolta, sia per le esigenze di chi chiede aiuto. Cioè: «Se mi serve un farmaco per un mio assistito e non ce l’ho, lo comunico, la rete si attiva e arriva qualcuno che ha la disponibilità del farmaco. L’aiuto reciproco tra le realtà migliora il servizio». Amalia Sanfilippo è medico volontario presso il Centro Astalli, realtà caritatevole dei Gesuiti, una delle 25 opere sociali di Palermo, tra cui Caritas, Santa Chiara dei salesiani, le suore della Nave o l’associazione Biagio Conte.
«Il nostro è un centro di accoglienza diurno per gli emigrati, con una scuola di italiano, docce, lavanderia, vestiti, ambulatorio medico, avvocato, sportello lavoro. Un migliaio di accessi al mese». L’ambulatorio medico riesce a garantire 10-12 visite al giorno con distribuzione di farmaci.

«Antinfluenzali, antidolorifici, gastroprotettori. Le esigenze della popolazione emigrata sono le stesse degli italiani, ma l'accesso ai servizi sanitari è molto più complesso»

Un quartiere, quello dove sono loro, non lontano dal mercato di Ballarò, con tanti immigrati e molta povertà. I medicinali che vanno di più? «Antinfluenzali, antidolorifici, gastroprotettori. Bisogni di base, perché la popolazione emigrata è sana e le esigenze sono le stesse degli italiani, con la differenza che l’accesso ai servizi sanitari è molto più complesso». In molti casi anche l’euro e mezzo che richiede la Regione Sicilia per il ticket di farmaci come i salvavita diventa un problema, se lo stipendio è di 200 euro mensili.

Come il caso di Arati, ragazza del Bangladesh. «Aveva una forma di epilessia, la famiglia non riusciva ad avere l’esenzione del ticket. I 30 euro mensili per le cure erano troppi. Da una parte abbiamo iniziato le pratiche per l’esenzione, dall’altra abbiamo cercato i medicinali e il Banco Farmaceutico ci ha aiutato a trovarne una quantità sufficiente per un lungo periodo».

C’è anche chi si affeziona, come Ahmed, arrivato col barcone a Lampedusa dal Gambia, 10 anni fa, a 19 anni. Al centro di accoglienza dell’isola avevano organizzato una partita di calcio. Improvvisamente si è sentito male. Subito al Pronto soccorso di Palermo. Malformazione cardiaca. «Ci hanno chiamato perché, dimesso dall’ospedale, non sapevano dove mandarlo. È stato da noi per due anni e mezzo. Ha studiato e ora si è laureato, lavora e viene ad aiutarci gratuitamente».
La raccolta di farmaci della Giornata, qui, copre il bisogno di un mese, forse due: «Ma è importante perché sensibilizza la gente verso l’altro. Quella scatoletta acquistata è un dono per uno che non si conosce».

Un ospedale di Caracas

Tutte queste storie ci raccomandano di non dare per scontato anche un gesto banale come l’entrare in farmacia e, per pochi euro, portarsi a casa una confezione di paracetamolo.
L’aiuto del Banco finisce anche oltre i confini. In un Paese come il Venezuela, che dal 2013 sta attraversando una crisi pesantissima e che mentre scriviamo rischia il collasso di una guerra civile, la povertà sanitaria non è solo di pochi, ma della quasi totalità degli abitanti. L’inflazione è al 10 milioni per cento. Lo stipendio minimo è recentemente “aumentato” a 2 dollari, tanto quanto il costo di una confezione di ibuprofene, se riesci a trovarla… I farmaci arrivano (se arrivano) dall’estero e hanno prezzi esteri. C’è chi si è visto morire il marito di infarto perché da tempo non poteva prendere l’anti-ipertensivo. Ma c’è anche chi, dopo aver scoperto di avere un tumore, capisce di aver ricevuto da Dio una seconda vita per essere riuscito a ottenere tutte le medicine necessarie per essere ancora vivo. E decide di restituirla, la vita, occupandosi di un progetto in collaborazione col Banco Farmaceutico per reperire medicinali. Per familiari, amici, vicini di casa. Chi ha più bisogno. Alla fine la gente capisce che è solo per una gratuità che ti arriva quella pillola indispensabile per affrontare la giornata, e che prima di giungere a te ha mosso molte persone, perché non può essere semplicemente spedita.

Il bisogno è così grande che a volte sorprende anche i farmacisti, gli altri protagonisti della raccolta. Pur stando dietro il bancone di una farmacia della periferia di Bologna da tanti anni, Chiara non aveva mai pensato che si potesse rinunciare a curare il mal di gola per mancanza di soldi. Finché sua mamma, da dietro quel banco, non ha aderito alla Giornata di raccolta. Ma «sentivo il bisogno di fare il Banco tutto l’anno, non per un giorno». Chiara ha iniziato a stare con le persone che fanno funzionare tutta la baracca degli aiuti, al di là della raccolta di febbraio. E insieme a questi, che considera ormai amici, ha scoperto un mondo fatto di opere di carità. Come l’Arca, dove Roberta ha deciso di dare anima e corpo dopo aver lasciato un lavoro sicuro. «Lei accoglie tutti, e chiama tutti per nome. Ho pensato che anch’io volevo imparare a trattare gli altri come lei». Ha conosciuto anche le Piccole sorelle dei poveri, religiose che vivono di provvidenza. «E io che devo sempre pianificare tutto e mi arrovello ogni giorno sulle cose da fare… Come mi piacerebbe vivere così…». Che cosa ha imparato? A guardare le persone, «chi entra nella mia farmacia come chi incrocio per strada, provando a capire cosa c’è dietro il loro volto, che fatiche nascondono, che drammi a volte vivono. I miei clienti ormai lo sanno: il secondo sabato di febbraio c’è la raccolta. Si va tutti in farmacia».

Alla fine del video di Daverio, il dipinto di Bernardino Luini per la confraternita della Santa Croce ci ricorda in latino che «il capo del re della gloria è incoronato di spine», mentre Daverio invita tutti: «Siate fieri delle vostre origini e continuate una pratica che ha determinato fino in fondo la qualità della nostra civiltà».