Gli Esercizi degli adulti di CL a Rimini dal 26 al 28 aprile (Foto di Roberto Masi)

Esercizi degli adulti. Una tenerezza che non ha fretta

«Che cosa regge l'urto del tempo?». È tornata protagonista a Rimini questa domanda, davanti a 8mila persone arrivate da tutta Italia per la tre giorni guidata da don Eugenio Nembrini. Ecco il racconto di quello che è successo
Angelo Picariello

«L’unica cosa che dura per sempre è Gesù, perciò mi metto davanti alla tua porta e non ti mollo più», scandisce don Eugenio Nembrini. Agli Esercizi degli adulti di Comunione e Liberazione alla Fiera di Rimini si era in 8mila, giovani e meno giovani, «tanti qui per la prima volta», come recita alla fine il telegramma inviato al Santo Padre. «Che cosa regge l’urto del tempo?», il tema di questi tre giorni riguarda davvero tutti, chi è qui da una vita e chi per un attimo è stato toccato dal presentimento di una cosa buona per la sua vita.

Come noi tre, del nostro equipaggio, venuti da Roma, che a un certo punto abbiamo capito che ci eravamo persi, nel vedere il monumento alla Cavallina storna, a San Mauro Pascoli. Eppure l’evidenza era lì, vicina, a indicare la strada con un misterioso arcobaleno comparso d’improvviso a squarciare le nubi. In tanti, persino uno «non troppo bucolico», come si definisce don Eugenio, abbiamo scoperto poi esser stati colpiti da quell’immagine.



Un arcobaleno spuntato come un «imprevisto, che è la sola speranza», come il cardinale Borromeo per l’Innominato, perché forse solo chi ha visto e vissuto sulla sua pelle che cos’è l'inferno riesce a percepire fino in fondo quella promessa di bene quando si presenta all'improvviso, inaspettata eppure tanto desiderata. Al punto da non volersene più staccare. Il tema della durata fa i conti con la parola «fedeltà» e con la delusione continua della propria infedeltà. Ma non sono i progetti, le regole, l’impegno, la soluzione. «A quante cose ci attacchiamo per poi ritrovarci depressi e delusi? Il rischio è andar dietro a una nostra idea di cambiamento. La fedeltà non è un dovere, una capacità, che nel tempo non reggono. Ma una Presenza che man mano riconosci come vincitrice della storia», dice don Eugenio.

Caspita, qui si parla proprio di noi, abbiamo pensato. In realtà già all’atto di mostrare il codice a barre all’ingresso in Fiera, nello scoprire il tema degli Esercizi ci siamo dati di gomito con Lillo e Alessandro. «Che sono questi discorsi che stavate facendo fra voi durante il cammino?»: come ai discepoli di Emmaus anche a noi è parso di intravedere – all’improvviso – una Presenza che sapeva già di che cosa avevamo parlato lungo il viaggio, da Roma. Lillo, prossimo ai 50 anni in questa storia, e Alessandro che ci torna invece 45 anni dopo, 45 anni da quel lontano ricordo, mai cancellato, della caritativa con i baraccati del Casilino e del "raggio” di Centocelle. Per Lillo l’imprevisto fu una bocciatura in prima superiore che lo indusse a scegliere la compagnia degli amici della chiesa di via Merulana che cantavano Povera voce, e a lasciare la squadra di pallamano, in cui sei componenti poi entrarono nella lotta armata, come sarebbe toccato anche a lui, ne è sicuro. Alessandro invece seguì l’altra strada, una delle tante che «promettono l’impossibile» (come dice don Eugenio), mentre Lillo impara presto dai canti di Claudio Chieffo che con le sue mani non potrà mai fare giustizia. Ed eccoci qui.



L’ipotesi di partenza (come pure la conclusione, lo vedremo) c’entra con il calcio. Scopriamo che siamo qui per verificare se è vera questa promessa che «paga più dell’Atalanta che vince la Coppa Italia, data a 61», esclama don Eugenio. Mentre l’Avvenimento in questione promette il centuplo, «e non richiede nemmeno che tu anticipi i soldi della scommessa». Promette anche più di Belen, questo Avvenimento, se anche il suo ultimo fidanzato, «io non ricordo il nome, ma voi lo conoscete, lo so», va su Twitter e scrive: «Speriamo che stavolta duri un poco di più… Forse per sempre». Perché proprio le cose più belle sono quelle che provocano la più grande amarezza per quel loro non essere per sempre.

Perché tutto sembra voler negare quella Presenza, «tutto intorno a noi si ribella e grida: “Non è così!”». Si cade così nella «trascuratezza dell’io» non solo per colpa di chi ci dà contro, ma anche per la compagnia degli amici, a volte, gli «amici-cortisone», quelli che scegliamo per dimenticare, «per non sentire il dolore», mentre non è di persone con le stesse inclinazioni – per consolarsi – che abbiamo bisogno, perché il presentimento del vero duri. Ma di qualcuno che ti dica «sei fatto bene», che ti riveli «la grande promessa che Dio fa alla tua vita, come quell’arcobaleno che ha squarciato le nuvole».



Una «tenerezza» di Dio che si manifesta proprio attraverso il fattore tempo. Perché «in questo mondo che va di frettissima, l’unico che non va di fretta è proprio Dio. Per noi il tempo è una trappola, per Lui è una risorsa». Come con il figlio prodigo, il padre non solo permette che vada a donne, ma finanzia pure tale scelleratezza. «Il tempo è Dio che si fa mendicante del mio amore. L’attesa può durare anche 20, 30, 40 anni».

Una storia che è fatta per un “per sempre”, ma non accade mai una volta per sempre. La vicenda di Adamo ed Eva dimostra come basti poco perché si insinui il maligno, «e succede il patatrac, la pretesa, l’insoddisfazione, le accuse “è colpa tua”, “è colpa tua”». Ma come ci vuol poco a staccarsi dal paradiso, così un imprevisto, allo stesso modo di un arcobaleno, può riproporre l’iniziativa di Dio, che si manifesta attraverso le figure riconoscibilissime dei santi, dall’altro l’iniziativa dell’uomo e – di mezzo – passa la sua libertà.



La libertà, ossia la nostra vita. Per dirla con don Eugenio, il «pacco dei problemi» che è il contenuto nelle domande – inviate sabato sera per l’assemblea finale di domenica. Davide Prosperi, vicepresidente della Fraternità, ci mette il cuore, la sua vita, nel rispondere. Ci mette la sua amicizia con don Eugenio. Se l’«amicizia-cortisone» mette insieme le persone attaccate fin troppo come a crearsi una corazza contro il dolore che la vita contiene, può capitare invece di vivere lontani («io a Milano, lui a Roma») e di condividere una grande unità. «La differenza non la fa un moralistico “bisogna”, “devi”», sottolinea don Eugenio. Ma non basta un fioretto della Quaresima. Tutto serve, ma non basta. Perché nessuna regola, nessuna istruzione per l’uso risolve una volta per tutte il tema di partenza, della durata della fedeltà. Ma ancora una volta è l’imprevisto a ridare una possibilità, una nuova promessa di fedeltà.

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«Noi abbiamo un’idea moralistica di cambiamento», dice anche Davide. «Il nostro desiderio non può consistere nella voglia di cambiare, ma nella voglia di rimanere attaccati. Non è uno sforzo etico, ma il ricongiungimento del nostro cuore con Chi lo ha creato. E non esiste una fedeltà che non passi per un sacrificio». Si commuove, quando ricorda il dramma vissuto a scuola, del suo compagno che a 17 scoprì di avere un male che lo avrebbe consumato presto. Ma lui spiazzò tutti: «Io adesso sono a completa disposizione. Chiedo al Signore solo di aiutarmi a sopportare la fatica. Ma a questo punto tutto è nelle sue mani», disse. Il male nella sua forma più estrema e apparentemente più ingiusta può diventare l’imprevisto che rimanda a quel “per sempre” che stavamo cercando.



Si chiude con don Eugenio in versione mister Gasperini, con i colori dell’Atalanta e fischietto, che mette in campo, con uno schema marcatamente offensivo proiettato sullo schermo, tutte le miserie nelle diverse categorie, dai ladri in porta, corrotti e adultere sulla linea di centrocampo, ai fannulloni schierati di punta. La scenetta finale, prima di ripartire, serve per ricordare a tutti che l’imprevisto non taglia fuori nessuno dei poveracci che siamo, se solo al fischio dell’allenatore uno accetta di stare in campo.

Al ritorno, cuffia in testa, Alessandro (alla guida) e Lillo li sento ancora parlare, davanti, della loro vita, di «che fine ha fatto quello» e «che fine ha fatto quell’altro», quasi tutti finiti nei guai andando dietro alle «promesse impossibili» che si riprendono indietro anche la puntata della scommessa. Ma anche per Lillo non è stato facile, lui – ormai nonno, dopo mezzo secolo – potrebbe essere come il fratello maggiore del figlio prodigo, che «rivendica, arrabbiato, con il padre, “ho fatto sempre quello che mi hai chiesto”», ha ricordato don Eugenio. Ma lui, Lillo, la sua vita la racconta così: «Cosa potrei dire di me, dopo tanto tempo? Che mi è accaduto un fatto. Che ho incontrato uno sguardo che ha rivelato e rivela me a me stesso!». Alessandro lo ascolta in silenzio, e come il fidanzato di Belen ora spera che stavolta possa durare per sempre.