Bergamo. Una via Gleno ogni giorno
Un pomeriggio con gli anziani, una cena con la famiglia marocchina da cui si porta il "pacco" di alimenti e gli incontri con i carcerati. A BergamoIncontra, le testimonianze di chi fa caritativa. E scopre che si può nascere di nuovo. Anche da vecchiCasa di riposo di via Gleno, Bergamo. Un gruppo di ragazzi delle scuole superiori, insieme ad amici adulti, una volta al mese trascorre del tempo con gli anziani: due chiacchiere, la merenda, i canti insieme. Ogni volta che escono da lì, con qualsiasi stato d’animo siano entrati, i ragazzi si scoprono diversi, contenti, sebbene feriti dalla sofferenza degli ospiti della casa e spesso impotenti anche solo ad alleviarla. Domenica 30 giugno, nell’ambito della manifestazione BergamoIncontra che aveva come titolo “Può un uomo nascere di nuovo quando è vecchio?”, si è svolto l’incontro “Carità: un guadagno per se stessi e per il mondo”. Per comunicare proprio questa ed altre esperienze. «Cosa succede in caritativa? Perché noi, che spesso ci sentiamo già vecchi e annoiati, qui rinasciamo?». A María Mercedes, insegnante, non sono sfuggite queste reazioni: «L’esperienza di rinascita che tutte le volte vedo sul volto di quei ragazzi è una documentazione del fatto che davvero un uomo può rinascere quando è vecchio, come può esserlo anche un giovane appesantito dalla noia». Ma come accade ciò? Qualche fatto.
Nonno Angelo ama cantare, è carico di entusiasmo, ma non tiene il tempo ed è stonato. Lorenzo, che accompagna i canti con la chitarra, non sa come arginarlo ed è sul punto di perdere la pazienza. Invece fa in modo di piegare le corde della sua chitarra all'esuberanza dell’anziano: ed ecco che le variazioni diventano improvvisazioni persino simpatiche. Vuoi vedere che anche l’errore e la diversità possono costruire? È più importante la perfezione dell’esecuzione o vedere che attraverso il canto, a tutte le età, rimane vivo il desiderio di bellezza, di partecipazione, di unità?
Ma altre domande si affacciano nel cuore attento.
Prima della cantata finale ogni ragazzo dialoga con un ospite della casa di riposo. Sempre lo stesso, in modo che i rapporti si stringano e non rimangano generici. Ma con la “sua” nonnina, Lorenzo deve ricominciare tutte le volte da capo: i dialoghi sono sempre uguali, lei si dimentica tutto e ogni volta non lo riconosce. Eppure Lorenzo non esce mai da quella stanza come ne è entrato: «Quello che do io e quello che mi danno loro non spiega ciò che vivo: allora cosa ci rende più contenti, noi e loro?».
Francesco un pomeriggio è un po’ stanco e annoiato. Di solito è lui che chiede ad Anita, non vedente, sulla sedia a rotelle: «Come sta? Come è andata la settimana?». Invece quel sabato Anita sente che qualcosa non va in Francesco ed è proprio lei che, prima che il ragazzo apra bocca, gli accarezza il braccio, sorride e gli chiede: «Cosa c’è? Sei stanco?». È così che Francesco si accorge di quanto sia bello e desiderabile voler bene. «Se sono così contento quando mi dono agli altri, non può essere questo un modo di vivere sempre? Ma cosa significa voler bene? Come si fa? Qual è il modo più vero?».
Caterina, un’intensa carriera di avvocato alle spalle, da qualche anno fa caritativa in carcere. Tra i suoi incontri, quello con un recidivo che dopo anni di occasioni positive, nuovamente dietro le sbarre, le dice in lacrime: «L’ho fatto ancora. Ma io una vita bella, umana, con voi l’ho vista. Non mi lasciate». «Era così vero che, pur affranto da tutto il suo male, continuava a desiderare una bellezza che sapeva di non meritarsi. Qualche giorno dopo ho saputo che aveva chiesto di leggere il Vangelo per capire perché, nonostante tutto, avesse ancora voglia di vivere. L’incontro con lui ogni volta mi ricorda che con Gesù anche il nostro male diventa occasione per capire quant’è grande il bisogno della sua presenza».
Così la sofferenza, da condanna, diventa sfida che pone nella vita - come dice Tommaso Minola che modera l’incontro - un valore aggiunto. Toglie una falsa tranquillità e fa nascere quel grido che esprime il bisogno di un amore: «Non mi lasciate».
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Questo è il vero bisogno di tutti, come racconta Simone, volontario del Banco Alimentare. Da cinque anni, insieme alla moglie, porta il “pacco” di alimenti a una famiglia marocchina, con cui è nato un rapporto molto bello, tanto che per il loro matrimonio non è mancato il regalo: una coperta per “scaldarsi assieme”. Un gesto semplice che ha fatto sorgere tante domande in Simone: «Perché lo hanno fatto? Che valore danno al nostro gesto? Non ero io quello “bravo”? Spesso ci invitano a cenare con loro, persino durante il Ramadan. Che assurdità: noi andiamo per portare da mangiare, e loro cucinano per noi…». «Anche se la religione è differente - ha detto Leila - il cuore è lo stesso e preghiamo lo stesso Dio. Quindi mangiamo assieme durante il Ramadan e festeggiamo la Pasqua, e chi non lo capisce non è religioso». Questo a pochi giorni dai tragici fatti in Sri Lanka. «Ogni tanto io penso che potrebbe bastare portare il pacco e andare via», dice Simone: «Invece questo a loro non basta e non è in primis quello che cercano. Ma neanche noi».
Un’esperienza così riesce a portare imprevedibilmente qualcosa di nuovo anche nel luogo di lavoro. È sempre Simone a raccontare: «Qualche tempo fa una collega continuava a lamentarsi: troppo lavoro, stress, non ci si ferma mai… All’ennesima lamentela le racconto della “mia” famiglia, che non può permettersi la spesa. Qualche istante di silenzio e mi dice: “Ho dei vestiti che non uso; posso darteli per loro”. Mi ha impressionato il cambio di sguardo in un secondo».
Il contributo della caritativa al mondo e a ciascuno di noi coincide con questo sguardo che si rinnova. «C’è una “via Gleno” per noi tutti i giorni», conclude Tommaso; bisogni non da eliminare, ma occasioni di domanda e stupore.