Spagna. Abbiamo bisogno di persone libere

Il 10 novembre il Paese torna di nuovo alle urne per le elezioni generali. È il quarto voto in quattro anni. Ecco il volantino proposto dalla comunità di Comunione e Liberazione

Siamo convocati di nuovo alle urne. Quarte elezioni generali in quattro anni e ripetute una seconda volta per mancanza di accordo sulla formazione del governo. Esattamente la stessa cosa è successa tre anni fa e, all’epoca, i risultati non hanno cambiato troppo la composizione delle Camere. Che cosa dobbiamo imparare?
Da diversi anni ormai, noi spagnoli abbiamo optato per un Parlamento senza maggioranze chiare, e ciò non è altro che un riflesso della società attuale e un frutto della nostra storia recente. Questa nuova configurazione accentua la responsabilità dei nostri rappresentanti di arrivare ad accordi per formare un governo. Il nuovo appello alle elezioni è l’espressione di una certa difficoltà quando si tratta di andare oltre la propria ideologia e sedersi a parlare con persone che la pensano diversamente.
Un’immagine può essere usata per descrivere la nostra situazione: diversi giocatori intorno a un tavolo. Si distribuiscono le carte, e dopo pochi minuti, guardandole e guardandosi in faccia tra loro, decidono di interrompere la partita: vogliono nuove carte. Ma può fare questo un genitore che ha un figlio malato? Può chiederne uno nuovo? E quando vivi in una situazione tesa sul lavoro, puoi chiedere che ti cambino il capo? E una madre che viene esasperata da un figlio adolescente, può chiedere di saltare quella fase?
Questa incapacità di affrontare la realtà, di guardare in faccia il prossimo e di affrontare l’avventura di entrare nel mistero dell’altro non è solo dei politici, riguarda tutti noi. La tensione che abbiamo vissuto in Catalogna per le reazioni alla sentenza della Corte Suprema ha nuovamente posto sul tavolo una divisione radicale della società per motivi ideologici. Una divisione all’interno della società catalana, che coinvolge anche il resto della popolazione spagnola.
Partiamo dalla nostra esperienza. Le immagini degli scontri tra manifestanti e polizia hanno causato tristezza in molti, da una parte e dall’altra. Il disagio di queste settimane dice, in modo positivo, dell’esistenza in tutti noi di un desiderio di unità, di fraternità, di giustizia, di verità e di pace che non possiamo realizzare con le nostre mani. Ecco un punto che ci unisce tutti. Qualcosa che abbiamo in comune.
Quando riduciamo la nostra identità alle nostre idee politiche è difficile sfuggire allo scontro, all’emarginazione dell’altro e all’odio, in misura minore o maggiore, quasi come se appartenessimo a specie diverse. Ma l’altro è solo quello che pensa? Forse non soffre e sopporta, non si rallegra e non si stupisce come noi? I nostri desideri e le nostre esigenze più elementari (il desiderio di essere amati, di essere felici, il bisogno di significato, di verità, di bene) sono ciò che delinea il nostro volto umano e costituisce la base di una possibile convivenza: sono la nostra prima risorsa politica!
Sia l’impossibilità di raggiungere accordi di governo, sia la divisione in Catalogna sono un richiamo: dobbiamo costruire su una base ancora più solida della legge. Anche la norma fondamentale, la nostra Costituzione, è stata il prodotto di un grande accordo di convivenza e dipende da esso. Così accade in una famiglia, che si dà norme per favorire la vita comune, ma senza l’accordo di base, fatto di legami di storia, di ragione e di affetti, queste norme diventano asfissianti e le relazioni decadono.
Dopo anni di esperienza democratica, vedendo come la nostra convivenza si è usurata, abbiamo urgente bisogno di puntare su un’educazione che metta al centro ciò che ci unisce e caratterizza la nostra umanità: le nostre esigenze, la nostra ricerca di significato. Il vuoto esistenziale dei giovani che oggi hanno incendiato le strade di Barcellona, come quello di tanti altri, in altri luoghi, che sono terreno fertile per il fascino della violenza o di altre forme di autodistruzione, è un segnale di allarme.
Ma c’è qualcosa o qualcuno che sia all’altezza della nostra umanità inquieta? Abbiamo bisogno di persone libere in cui possiamo vedere realizzati i nostri desideri, persone che vivono una vita piena, attraente, affascinante. Persone libere che non temono l’incontro con il diverso, al contrario, si lanciano nell’avventura di scoprire qualcosa di nuovo che li arricchisce. Persone che non si scandalizzano per la nostra umanità ferita, ma che la guardano con simpatia, la accolgono!
Come quell’uomo, duemila anni fa, che si accostò al pozzo di Sicar per chiedere dell’acqua a una donna: «“Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani» (Gv 4,9). Di fronte, la diversità (niente di nuovo sotto il sole!). Ma Gesù non si ferma alla superficie e va al fondo della sete di quella donna: aveva avuto cinque mariti e ora stava col sesto. Ciò che tutti guardavano con scandalo o prevenzione, Gesù lo guardava con tenerezza: era venuto a placare quella sete.
In questi giorni uno studente universitario catalano, di fronte alle immagini di violenza di Barcellona, si chiedeva: «Cosa cercano questi ragazzi? Cosa li spinge a incendiare i cassonetti? Cercano il protagonismo, qualcosa per cui alzarsi ogni mattina. Come me…». E si sorprendeva per il cambiamento nel suo sguardo: solo un anno fa avrebbe reagito insultandoli pieno di rabbia. Che cosa è successo per rendere possibile il cambiamento? L’incontro con persone che hanno guardato con tenerezza alla sua umanità inquieta. Dobbiamo capire “cosa succede a ciascuno di noi” per ristabilire la nostra convivenza.
È così che si pongono le basi per arrivare ad accordi, anche in politica. Per superare le barriere che ci separano non bastano i generici appelli al dialogo, che finora sono rimasti sterili. «…il modo migliore per dialogare – dice papa Francesco – non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme (…) senza paura di compiere l’esodo necessario a ogni autentico dialogo.» (Discorso ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, 10 novembre 2015). Recentemente un insegnante ha parlato delle differenze ideologiche radicali che esistevano tra i colleghi della sua scuola e le prevenzioni e i rancori che ne derivavano. La necessità di occuparsi di un alunno problematico ha portato due insegnanti a lavorare insieme, collaborando man mano fino a sorprendersi grati per la presenza dell’altro.
Nel nostro Paese dobbiamo “fare insieme” a tutti i livelli della società, uscire dalle nostre “zone di sicurezza” e intraprendere quell’esodo che il Papa ci suggerisce per affrontare questioni che abbiamo rimandato per decenni, proprio perché richiedevano grandi accordi che andavano molto oltre le semplici maggioranze. Tutto ciò sarà possibile se mettiamo al centro della nostra convivenza l’umanità che ci unisce e non le idee che ci separano. Siamo chiamati a essere protagonisti di questo momento storico.

Comunione e Liberazione Spagna
ottobre-novembre 2019