Don Luigi Giussani con l'allora cardinale Montini

Madrid. Don Giussani e l'annuncio cristiano oggi

Nel fine settimana, nella capitale spagnola si è tenuto un convegno sulla figura del Fondatore del movimento che ha coinvolto intellettuali, religiosi e persone che lo hanno conosciuto. Qui, il saluto di Ignacio Carbajosa, responsabile di CL nel Paese
Ignacio Carbajosa

Tre giorni di incontri e dialoghi, dal 30 gennaio al 1 febbraio, sui "protagonisti della Chiesa contemporanea" dedicati alla figura di don Luigi Giussani a quindici anni dalla scomparsa, organizzati dall'editrice Encuentro, dall'Asociación Católica de Propagandistas e dalla Asociación para la Investigación y la Docencia “Universitas”. Tra gli intervenuti, i cardinali Scola, in video, e Rouco Varela, monsignor Argüello, segretario dei vescovi spagnoli, Javier Prades, Giancarlo Cesana... Qui, il saluto, all'avvio della manifestazione, del responsabile di Comunione e Liberazione nella penisola iberica, Ignacio Carbajosa.


Con questo saluto vorrei soprattutto plaudire all’iniziativa di Ediciones Encuentro, dell’Asociación Católica de Propagandistas e dell’Asociación para la Investigación y la Docencia “Universitas”, che hanno voluto dedicare queste giornate a una riflessione sulla figura e sul pensiero di don Luigi Giussani e, soprattutto, ad approfondire nel presente la sua proposta educativa per un mondo travagliato come il nostro.

Don Giussani è certamente un teologo, un grande pensatore. Ma soprattutto è un grande educatore, che ha generato un popolo numeroso che in tanti luoghi del mondo ha fatto fiorire il vecchio tronco della Chiesa. Il mio breve saluto vuole essere una testimonianza di come la sua concezione della fede e della ragione, all’interno della sua proposta educativa, abbia fatto emergere dal nulla questo tipico rappresentante del mondo postcristiano, che vi parla ora.

All’età di sedici-diciotto anni ero condannato, come tutta la generazione nata negli anni Sessanta in Spagna, all’agnosticismo. La fede dei miei genitori non era un fattore reale nella vita della mia famiglia, mentre i fattori attivi, quelli di un’educazione scolastica liberale e quelli della strada, mi avevano inoculato (devo dire in modo molto efficace) i dogmi fondamentali del pensiero illuminista: il positivismo (la realtà non rimanda a nulla, per cui la religiosità naturale è castrata) e la negazione kantiana che un fatto particolare della storia possa avere un valore universale per la ragione (per cui il cristianesimo non può andare oltre la mera spiritualità e l’etica: non parla dell’entrata di Dio nel mondo che oggi interpella la mia libertà).

La naturale inquietudine religiosa dei miei sedici anni si tingeva, quindi, di dramma. A complemento dei dogmi sopra citati, Feuerbach si premurava di ricordarmi che la religione non era altro che la proiezione dei miei desideri. L’incontro fortuito con don Giussani, nell’ambito dell’esperienza di Comunione e Liberazione, ha sollevato la pietra del sepolcro in cui mi trovavo, una pietra che consideravo più pesante di quella dell’altro sepolcro celebrato la mattina di Pasqua.

Quando ho incontrato il popolo che Giussani aveva generato, ho potuto fare la stessa esperienza dei discepoli di Gesù: come per loro, Dio è entrato nella mia vita «come uomo, secondo una forma umana, così che il pensiero, l’immaginatività e l’affettività dell’uomo sono stati come “bloccati”, calamitati da lui» (L. Giussani, S. Alberto, J. Prades, Generare tracce nella storia del mondo, BUR, Rizzoli, Milano 2019, p. 36). Ragione e affettività attratti. Non mi era mai accaduto niente di simile. Cos’è questo fatto? Chi è costui? Il dogma kantiano cominciava a incrinarsi a partire dalla stessa esperienza, che dilatava la mia ragione.

Ma c’era ancora il dogma del positivismo, per il quale la realtà per me non era altro che una scenografia che faceva da sfondo all’attività del pensiero. Seguendo quell’esperienza che mi aveva conquistato, mi ci sono voluti però altri dieci anni per liberarmi da quella tara nel mio rapporto con la realtà. Sarò sempre grato a Julián Carrón, attuale presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, per come ha guardato, quale figlio spirituale di don Giussani, tutte le mie difficoltà, dovute alla tara di cui parlavo prima.

In effetti, la «chiave di volta del nostro modo di pensare», dice don Giussani, è il capitolo X del suo libro, Il senso religioso,in cui ci insegna a lasciarci sorprendere dal semplice fatto dell’esistenza delle cose, fino a raggiungere l’apice di una ragione lucida che è il rendersi conto che io non mi do la vita in questo istante, che io sono “Tu che mi fai” .

Questo sguardo nuovo sulle cose mi è arrivato attraverso Julián Carrón e ha sollevato il velo che mi separava dalla realtà. L’ultimo dogma era caduto. La realtà si rivelava come il primo luogo della religiosità, il primo luogo del dialogo religioso. La mia storia travagliata, che avevo considerato una maledizione, diventava un cammino paradigmatico per il mondo postcristiano. E io sono diventato un educatore.

Un’ultima osservazione. Potremmo dire correttamente che don Giussani appartiene già alla autentica tradizione cristiana. Dunque, o la grazia storica che la persona e l’opera di don Giussani ha significato per la Chiesa e per il mondo è ancora viva nell’attuale esperienza di Comunione e Liberazione, oppure saremo condannati a ripetere la mia storia: io ero condannato all’agnosticismo, come tutta la mia generazione… Nonostante la ricca tradizione cristiana alle mie spalle, che oggi includerebbe le parole di don Giussani. In realtà, quelle parole non sarebbero in grado di affrontare le nuove sfide del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, senza degli occhi e delle mani che le facciano nuove.

È quanto ci ha ricordato papa Francesco nell’udienza che ha concesso al Movimento nel 2015: «Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato Don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi (...). Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi! Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”».