Meeting. Dove può nascere un popolo
A Roma, la presentazione del libro di Salvatore Abbruzzese dedicato all'evento di Rimini. A dialogare con lui, Guzman Carriquiry, Rocco Buttiglione e Fausto Bertinotti. Un regalo inaspettato per il quarantesimo anniversario della kermesseÈ stato un regalo di quarantesimo compleanno imprevisto il volume Il Meeting di Rimini. Dalle inquietudini alle certezze, edito da Morcelliana, 512 pagine frutto di una ricerca di anni e dell’analisi di centinaia di documenti e testimonianze. Grazie al Centro culturale di Roma e all’Associazione Italiana Centri culturali, venerdì 14 febbraio, nella Pontificia Università Antonianum, a presentare il libro di Salvatore Abbruzzese, sociologo dell’Università di Trento, c’erano Guzman Carriquiry, vicepresidente emerito della Commissione Pontificia per l’America Latina, il filosofo Rocco Buttiglione e il presidente della Fondazione “Cercare Ancora” Fausto Bertinotti. In veste di chairman, fra Luca Bianchi, preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità dell’Università che fa capo ai Frati Minori Francescani, presente anche il rettore Augustín Hernández Vidales.
«Il sottotitolo “dalle inquietudini alle certezze” non individua un prima e un dopo», esordisce la Presidente della Fondazione Meeting, Emilia Guarnieri nel suo saluto: «Ogni momento di questi quarant’anni ha vibrato insieme di inquietudine e certezza. È l’inquietudine che non ci ha mai abbandonato nel cercare con sincerità e semplicità ogni frammento di umanità, ogni esperienza, ogni tentativo con il quale entrare in dialogo e costruire insieme». E quanto alla certezza che sostiene il Meeting, «è la fiducia nella realtà, la stima in ciò che accade. All’origine, come sottolinea Abbruzzese, c’è la certezza che il vero esiste, certezza che l’esperienza cristiana ha reso evidente e ragionevole e che la storia del Meeting ci ha fatto sperimentare».
«Il Meeting meritava questa ricerca», aggiunge Carriquiry: «È la prima ad inquadrare questo straordinario evento nel contesto del movimento di CL, della Chiesa, del nostro Paese e delle grandi trasformazioni culturali del nostro tempo». Carriquiry parla per lunga esperienza: lui, al Meeting, c’è dal 1981 e ora vi partecipa con tutta la sua famiglia, figlie e nipoti. Eppure, rimane sempre lo stupore per un evento che «attira tante persone anche al di fuori del movimento, non punta all’ostentazione identitaria e non è banalmente una cassa di risonanza di CL, ma ha la sua radice nel modo di porsi del carisma davanti alla realtà, una capacità di “setacciare” ciò che si incontra per valorizzare ogni minimo aspetto positivo». Un dna che si vede, ad esempio, nei volontari della manifestazione: «Fin dagli anni Ottanta, mi era chiaro che qui c’era qualcosa di diverso dal militantismo che avevo conosciuto nei miei anni giovanili. L’ho capito meglio quando ho letto le parole di don Giussani sull’uso del tempo libero come occasione di crescita per la propria umanità». Quanto al «dialogo a tutto campo», che contraddistingue dall’origine la kermesse riminese, «ha anticipato l’approccio di papa Francesco: non idee gridate, ma ascolto diligente e intelligente».
Nella sua testimonianza, come lui stesso l’ha definita, Bertinotti ha individuato due connotati fondamentali del Meeting: essere «un popolo in costruzione» e la «lunga durata». «Di popolo sentiamo particolarmente la necessità in un momento di desertificazione dell’umano», ha detto l’ex Presidente della Camera, mentre il durare nel tempo del Meeting è un antidoto «alla dimenticanza del passato e dello sfaldarsi del futuro di cui soffre il nostro tempo». Solo ciò che dura può, come diceva Camus, «resistere all’aria del tempo», soprattutto quando quest’aria si fa difficile da respirare. Ma come si fa a rimettersi in cammino di fronte a un tempo che perde ogni evidenza? Bertinotti cita Giussani, Pasolini, ma soprattutto Gramsci quando ricorda che «il momento in cui tutto sembra perduto, quello è il momento in cui bisogna ricominciare» e, prosegue, il Meeting è proprio questa capacità di ricominciare da capo, di costruire la casa comune, una casa che è fatta di materiali d’uso, di sapienza dei costruttori, ma in primo luogo della gente che ci abita. È ciò che l’ha impressionato nel suo incontro con il Meeting: «La conoscenza fisica del suo popolo, quella capacità di affratellamento per cui neppure io mi sono sentito straniero». Nel suo densissimo intervento Bertinotti ha poi collocato il Meeting al culmine della crisi del Novecento, secolo affascinante e terribile, sogno impossibile trasformatosi in incubo reale, per giungere nell’epoca del nuovo disordine mondiale, in cui la politica è stata risucchiata dall’economia, la guerra mondiale è proseguita a pezzi, l’individualismo ha trionfato… Eppure anche «in questo mondo senza salvezza voi sapete estrarre elementi che generano la speranza».
Per Buttiglione il volume di Abbruzzese è anzitutto «un capolavoro di metodo, nella sua capacità di partecipare pienamente all’evento-Meeting, ma anche di saperlo guardare dall’esterno per coglierne gli elementi oggettivi». Occorre tornare a don Giussani dei primi tempi di Gioventù Studentesca per capire il metodo di Rimini, soprattutto al “raggio”, l’incontro in cui si partiva dall’esperienza concreta delle persone e all’esperienza sempre si veniva ricondotti: «I contributi di ciascuno erano percepiti come complementari, non alternativi, e la ricchezza che ne emergeva era vista come il frutto di Colui che ci viene incontro, Gesù Cristo». In questo modo, la verità non viene percepita come idea o teoria esatta ma, citando Claudio Chieffo, «nel volto che tu hai», cioè nei volti di un popolo, in persone che entrano nella nostra vita sottraendoci dall’alienazione. Questo approccio suggerisce un metodo potentissimo, che non si concentra sull’errore altrui, ma sulla valorizzazione della sua esperienza: «Valorizzando l’esperienza anche l’errore viene bruciato. Partendo dall’esperienza la novità emerge sempre e gli errori si correggono, questa è la grandezza della straordinaria vicenda del Meeting».
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Parola, infine, all’autore, per il quale aver dedicato mezzo migliaio di pagine al Meeting è appena «aver dato un segnale, consapevoli che siamo di fronte a qualcosa di ben più grande. Dobbiamo cercare ancora». Abbruzzese riporta tutto all’antropologia, alla domanda sul senso della vita, punto di partenza per affrontare la realtà senza censure, «non limitandoci a coltivare il nostro piccolo microcosmo». Di qui la capacità di generare una vita, di qui la durata nel tempo: «Come ha fatto il Meeting a reggere dopo i primi anni spumeggianti? Perché non è crollato dieci, dodici anni dopo la sua nascita, come la Dc o Solidarnosc? La risposta sta nella persona, sta nel fatto che se la domanda sulla nostra esistenza è seria, tutto ciò che si vive è importante. E questo crea quello che io nel volume chiamo “un ambiente morale”». Un clima, insomma, che spiega, ad esempio, come tremila persone «scelgano da quarant’anni di dedicare una settimana del proprio tempo per vigilare i cancelli, lavare i piatti o fare gli autisti per i relatori, pagandosi pure vitto e alloggio… È un’antropologia non teorizzata ma in atto, che contagia tutti, anche quelli che al Meeting vengono come ospiti». Perché, per tornare a Bertinotti, «qui al Meeting c’è la costituente di un popolo, qui c’è una meta e quindi c’è anche un cammino».
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