Bernhard Scholz

Bernhard Scholz. La scommessa del Meeting 2020

Si apre la kermesse riminese. Il nuovo presidente spiega le ragioni di un'edizione tutta diversa. Pensata per condividere gli interrogativi di questo momento. E conoscere che cosa può «sostenere nella ricostruzione». L'intervista da Tracce
Luca Fiore

Il Meeting di Rimini riparte. E lo fa per aiutare la ripartenza di tutti. L’annuncio che la quarantunesima edizione ci sarebbe stata è arrivato, in pieno lockdown, tra lo scetticismo e la perplessità di molti. Oggi, che i momenti più difficili della pandemia sono alle spalle, appare chiaro quanto la kermesse sia più necessaria che mai. Certo, sarà una Special edition, quasi esclusivamente online, con un programma di conferenze, mostre e spettacoli più compatto, trasmesso dal Palacongressi di Rimini anziché dalla Fiera. Il titolo è quello annunciato: “Privi di meraviglia, restiamo sordi al sublime”, le date pure: dal 18 al 23 agosto.
E sarà anche la prima edizione del nuovo presidente della Fondazione Meeting di Rimini, Bernhard Scholz, che, di certo, non si immaginava un inizio di mandato così impegnativo. Ma è proprio lui a descrivere, in questa intervista, quanto l’esperienza di organizzare il Meeting 2020 sia stata emblematica del momento che tutti stiamo vivendo: quando tutto sembra dire che è meglio lasciar perdere, si trovano le ragioni e le energie per ricominciare. Magari non come sempre si sarebbe fatto, ma secondo quanto la realtà suggerisce.

Che cosa vi ha fatto decidere di confermare l’edizione 2020 mentre tanti eventi stavano annunciando il forfait?
Quando metà della popolazione mondiale era chiusa in casa, ci siamo accorti che il dolore e la sofferenza stavano aprendo tante domande: sul senso della vita, sul futuro, sul lavoro, sull’educazione dei figli. Le domande esistenziali di sempre, ma che emergevano in modo nuovo. Tante cose che davamo per scontate non lo erano più. E proprio in questo momento siamo diventati consapevoli che il Meeting, che per sua natura è un luogo di dialogo, poteva, anzi doveva offrire l’occasione per condividere questi interrogativi e mostrare esperienze in grado di far riscoprire ciò che realmente ci può sostenere nella ricostruzione.

Sono domande che riguardano la vita personale e quella sociale.
Sì, a un certo punto si è incominciato a ripetere lo slogan “andrà tutto bene”, per cercare di dare un respiro di speranza. Ma che cos’è la speranza? È semplice ottimismo? O è qualcosa che può dare consistenza alla vita anche nelle situazioni più difficili? Questo vale per l’esistenza di ciascuno, ma anche per la scuola, per l’economia. Vogliamo riportare tutto a come era prima o andare in una direzione nuova? È possibile impostare la vita scolastica in modo diverso? È possibile creare un’economia ecologicamente e socialmente più sostenibile? Che cambiamenti sono chiesti ai sistemi sanitari? E ancora: l’Europa? Che cosa vogliamo realizzare quando parliamo di solidarietà tra Paesi? Questa situazione ha fatto emergere interrogativi anche sul destino della democrazia. Che cosa significa oggi la partecipazione di un popolo, responsabile e libero, alla costruzione del destino di un Paese?

Ma ci sarà stato un momento in cui avete dovuto buttare il cuore oltre l’ostacolo…
Eravamo nella seconda metà di marzo, nel mezzo del lockdown. Ci siamo detti: il Meeting lo faremo, anche nei limiti più restrittivi. La posta in gioco era troppo grande. Più emergevano i problemi, più ci sembrava chiaro che il patrimonio culturale del Meeting, una storia lunga quarant’anni, era una risorsa fondamentale. A costo di cambiare tutto. E infatti abbiamo cambiato quasi tutto. Ma il cuore del Meeting resta lo stesso.

Emmanuele Forlani, direttore del Meeting

Con un’edizione quasi esclusivamente online, che ne sarà del Meeting come incontro tra persone?
Ci sono limiti oggettivi che non possiamo eliminare. Ma non verrà meno la nostra natura. Tanti, che non sono mai potuti venire per motivi logistici, si potranno collegare. E sono sicuro che quest’anno vedremo una partecipazione più consapevole, più radicata nelle domande che muovono ciascuno.

In che senso?
Ognuno, da casa o dalle vacanze, dovrà decidere se collegarsi o meno. Sarà meno scontata la partecipazione. Questa modalità, paradossalmente, potrà renderci più vicini. Sarà forse più facile riscoprirsi appartenenti a una compagnia di uomini appassionati alla propria vita, al proprio lavoro e al destino dell’Italia e del mondo.

Come diceva, avete dovuto «cambiare quasi tutto». Da dove vi viene l’energia per rimettervi in gioco così?
Abbiamo sentito dentro di noi rinascere la passione originaria che ha dato vita al Meeting. Quella passione nello scoprire il significato di ciò che sta accadendo nel dialogo con l’altro, che è una fondamentale forma di arricchimento reciproco. Di fronte alla drammaticità della situazione, riconoscevamo il valore che il Meeting è stato in questi anni.

Qual è questo valore?
La vocazione a sostenere l’umano di fronte alle sfide della vita e della storia. A sostenere le sue domande, a tenere alto lo sguardo. All’inizio degli anni Ottanta, ad esempio, è stato l’incontro con i tentativi di libertà che venivano dall’Europa oltre la Cortina di ferro. Gli esempi sono tantissimi. Oggi è più evidente che il dramma è dentro casa nostra.

Ma da dove viene questa passione?
Da un’attrattiva per una bellezza e compiutezza umana che si esprime anche dentro le contraddizioni. Lo vediamo dalle tante testimonianze che abbiamo ascoltato in questi anni e in modo commovente anche in questi mesi. Sono vicende personali, ma che investono la società, la politica e l’economia.

Dunque non si riparte da una forza di volontà.
Esatto. E questo non vale solo per la nostra manifestazione. La sola volontà di ricominciare non basta. Lascia il tempo che trova. Lo si è già visto, del resto, anche dopo l’iniziale sentimento di solidarietà nelle settimane del lockdown.

A che cosa si riferisce?
Penso alle divisioni che subito sono emerse rispetto a tanti temi della vita sociale ed economica. È chiaro che il dialogo è una sfida, non è una strada facile. Ma è l’unica via, se lo scopo non è l’affermazione di sé ma il bene di tutti.

Il titolo di questa edizione, deciso prima che scoppiasse la pandemia, non rischia di essere anacronistico?
Il dubbio è venuto. Ma è stato subito vinto dal paradosso che questo titolo mette in luce. Anche in un momento così buio, abbiamo visto che lo stupore davanti alla realtà, anche nelle circostanze più difficili, genera un’intraprendenza quasi indomabile. Stupirsi anche “solo” della propria esistenza e di quella dell’altro ci fa attingere a fonti di umanità che, in tempi normali, non sapremmo neanche di avere. Senza questa meraviglia non è possibile la ripresa, perché senza di essa ripartire diventa solo un calcolo: riportare in vita ciò che abbiamo sempre fatto, cercando di salvare i nostri interessi. A patto, però, di non appiattire la meraviglia riducendola a un fenomeno sentimentale.

Qual è il rischio?
La meraviglia è la consapevolezza che quello che hai davanti agli occhi ti è dato gratuitamente. È per te. In questo riconoscimento, sentimento e ragione confluiscono; ed è in tale mossa che ci apriamo alle domande più importanti della vita ed entriamo nel dialogo con tutto e con tutti.

E il sublime?
Anche quello si tende a pensarlo spesso come qualcosa di effimero, invece è il significato nel quale tutto trova consistenza. Perché, ad esempio, durante la quarantena tante persone hanno riscoperto il valore dell’arte e della letteratura? Perché si sono rimesse alla ricerca del significato del vivere, del morire in solitudine, dell’assenza di certezze, seguendo intuitivamente l’attrattiva della bellezza. È una frase, quella del filosofo ebreo Abraham Heschel, che potrebbe sembrare adatta a tempi migliori. Invece no: è un titolo quasi profetico, perché ci permette di affrontare i problemi dal punto di vista giusto.

Perché è il punto di vista giusto?
Per affrontare le domande di sempre che sono riemerse e i nuovi interrogativi, occorre mettere al centro la persona. La domanda che nasce dalla realtà ci apre al sublime e quindi alla ricerca del bene, del bello, del vero che, dentro lo stupore, appaiono come una promessa. È la dinamica che definisce la natura dell’uomo. Perché il problema è il soggetto. Possiamo avere tanti bei progetti, ma chi è il soggetto che li può realizzare? Chi è il soggetto di una educazione più generativa? Chi è il soggetto di una società più giusta o di un’economia più sostenibile? Chi è il soggetto di un sistema sanitario migliore? Chi è la persona che dà vita a una democrazia più sostanziale? Occorre che ciascuno riscopra la propria vocazione umana: vocazione a essere, a creare, a impegnarsi, a trovare in questo la maturazione e il compimento di sé.

Questo come si traduce nel programma che avete pensato?
L’incontro sul titolo vedrà protagonista Joseph Weiler, costituzionalista americano che ha già arricchito diverse edizioni del Meeting con le riflessioni su giustizia e libertà e con le sue letture affascinanti della Bibbia. Il tema della speranza è affidato a don Julián Carrón, che in questi mesi ha aiutato tante persone a vivere questo momento drammatico come possibilità di un “risveglio dell’umano”. Sarà importante la presentazione del libro L’abbraccio, dell’antropologo spagnolo Mikel Azurmendi, perché mostra che un cambiamento incisivo e duraturo non parte da una progettualità astratta, ma da un soggetto nuovo generato nel presente. Sarà nostro ospite anche il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus, che ci aiuterà a capire quanto i cambiamenti che ci aspettano riguardano la sostanza della vita sociale ed economica. Porteremo poi le testimonianze di persone da varie parti del mondo che hanno saputo affrontare, in ambiti diversi, circostanze difficili in modo creativo e coinvolgente. Ma penso che tutti i relatori ci faranno intravedere come vivono questo «cambiamento d’epoca», per usare l’espressione di papa Francesco. E diversi incontri avranno come riferimento l’Enciclica Laudato si’, di cui ricorrono i cinque anni dalla pubblicazione.

Parliamo delle mostre e degli spettacoli. Ci saranno?
Saranno in forma digitale, visibili sul nostro sito. Due mostre saranno anche visitabili fisicamente al Palacongressi: “Vivere il reale”, che si riferisce al decimo capitolo de Il senso religioso di don Giussani, e “Bethlehem Reborn”, che ripercorre la storia della Basilica della Natività. Ci sarà poi una mostra sulla conquista del K2, simbolo del fascino che esercita su di noi la bellezza della natura. Un altro tema trattato, che in parte sarà documentato in forma di mostra virtuale, sarà “Essere viventi”, che si pone la domanda sulle caratteristiche della vita in quanto vita. Poi ci saranno anche gli spettacoli, che ricorderanno Beethoven, Dostoevskij e Fellini. E offriremo un concerto con giovani musicisti di tutta Europa.

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E i tremila volontari delle scorse edizioni?
Alcuni saranno a Rimini, circa 150 residenti in zona o con competenze tecniche, di cui abbiamo bisogno in modo particolare quest’anno. Altri lavoreranno con noi da remoto. Tutti quelli che non potranno venire a Rimini avranno comunque la possibilità di partecipare in modalità diverse e di contribuire come “ambasciatori” alla diffusione del Meeting, sia in Italia sia all’estero: condividendo i contenuti in rete e, dove e come si potrà, organizzando punti fisici in cui – in condizioni di sicurezza – ci si potrà ritrovare a piccoli gruppi sia per promuovere che per seguire insieme gli incontri trasmessi da Rimini.

È la sua prima edizione da presidente. Un inizio così in salita non se lo aspettava. Che cosa desidera, oggi, per sé e per il Meeting?
Desidero che questo Meeting sia un momento di riscoperta di ciò che veramente conta nella vita e che questa riscoperta apra a un impegno libero, appassionato e intelligente per trasformare questo momento storico in un’occasione di cambiamento e maturazione dell’umano. A partire dalla propria esistenza personale fino alla vita pubblica. Perché il cuore del Meeting, in fondo, è il desiderio dell’uomo di una vita piena. Per tutti.