La Camera dei Deputati

Referendum. La democrazia alla prova tra sì e no

Nel prossimo weekend l'Italia al voto per confermare o meno la legge che taglierebbe il numero dei parlamentari. Cosa c'è davvero in gioco? Via dalla propaganda, in un incontro bipartisan alcuni politici hanno esposto le loro ragioni
Maurizio Vitali

Il vostro dire sia “sì sì”, “no no”, dice il Vangelo; e del resto il referendum costituzionale non consente una terza via: l’astensione non conta nulla perché l’esito è valido a prescindere dal quorum dei votanti. Parliamo del referendum sul taglio del numero dei parlamentari indetto per domenica e lunedì prossimi. Ma come orientarsi nella scelta considerando le ragioni e non le propagande in campo?

Non poco utile è stato il confronto a quattro voci di onorevoli trasmesso ieri sera in diretta streaming da ilsussidiario.net, due per il “sì” (Davide Crippa, M5S, ed Emanuele Fiano, Pd); due per il “no” (Maurizio Lupi, Noi per l’Italia, e Antonio Palmieri, Forza Italia). Enrico Castelli, già vice-direttore TGRai, ha condotto la serata, intitolata appunto “Il vostro dire sia sì, no”.

Di che si tratta l’ha spiegato Castelli in apertura. Il 20 e il 21 settembre si vota per confermare o meno la legge di riforma costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, precisamente da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. I numeri attuali risalgono al 1963. La riduzione prevista è di circa il 35%. Le leggi di modifica della Costituzione sono approvate in doppia lettura (vuol dire due volte alla Camera e due volte al Senato). Il referendum, che si chiama confermativo, è previsto dalla nostra Costituzione quando la legge è stata approvata con una maggioranza inferiore ai due terzi. Nel nostro caso, questa circostanza si è presentata nella seconda lettura al Senato.

L'incontro

Sì deciso, e senza se e ma, è la posizione del pentastellato Crippa. I parlamentari vanno ridotti perché, primo, sono troppi rispetto agli standard europei; secondo, molte delle loro antiche competenze sono state trasferite ad alti organi dello Stato, nei quali pure si realizza la rappresentanza dei cittadini, in particolare le Regioni, sia al momento della nascita (1970) sia con la più recente riforma del titolo V (2001); terzo, è cambiato il modo di fare politica, «dal one to one al digitale e ai social, che consentono nuovi tipi di condivisione».

No di Maurizio Lupi. Il quale ricorda di aver votato a favore di progetti organici di riforme costituzionali che prevedevano anche la riduzione del numero dei parlamentari, ma non solo quello, progetti del centrodestra (Berlusconi, 2006) e del centrosinistra (Renzi, 2016). Quella cui ci troviamo di fronte adesso è per Lupi una «riforma fatta male» e produttrice di distorsioni gravi. Primo, non corregge il bicameralismo perfetto, vero problema del sistema italiano, per cui due rami del Parlamento hanno le stesse identiche competenze e funzioni. Secondo, il taglio, soprattutto dei senatori, senza contestuale modifica dei Collegi, produrrà vuoti di rappresentanza per interi territori. Terzo, se nelle Commissioni quattro senatori basteranno per decidere, potrebbe aumentare la forza di influenza delle lobby. Quarto, il taglio in sé non assicura affatto maggior efficienza ma può provocare disfunzioni gravi e paralizzanti.

Il sì di Fiano è arrivato dopo aver votato contro per tre volte, ed è un sì condizionato. È andata così: sono stati i grillini a voler inserire il taglio dei parlamentari nel patto di governo con il Pd. Però è un «sì se...». Vale a dire: va bene il taglio dei parlamentari, ma facciamo anche la revisione del sistema elettivo del Senato basato su Collegi regionali, facciamo una legge elettorale, equipariamo l’elettorato attivo di Camera e Senato (cioè il voto ai diciottenni anche per eleggere i senatori), facciamo la modifica della platea elettiva del Presidente della Repubblica. È una posizione che, da sponde opposte sul voto referendario, incrocia e considera le osservazioni di Lupi. Fiano respinge poi l’argomentazione del risparmio economico: «Non sono d’accordo, sono proposizioni demagogiche».

Il no di Palmieri corrisponde alla posizione di una parte di Forza Italia (Bernini, per esempio), mentre un’altra parte è per il sì (Gelmini): il partito ha lasciato libertà di voto. Da ricordare che Lega e Fratelli d’Italia sono per il sì. Da Palmieri il motivo del no è presto detto: «Non si costruisce una casa partendo dal tetto», perché viene giù e schiaccia chi sta sotto. O, con una similitudine alternativa a questa, «chi fa una torta partendo dalla ciliegina non è un pasticcere ma un pasticcione». Cioè: una riforma costituzionale o è organica o è sbagliata. Palmieri inoltre avverte: il verbo riformare, in politica, non si coniuga al futuro. Tradotto, le riforme di cui parla Fiano sono promesse.

Per ragionare correttamente sui numeri, Castelli mostra qualche grafico. Uno sul risparmio prevedibile: 60 milioni all’anno, secondo i calcoli di Cottarelli, il famoso “caffè all’anno” per italiano. Quanto al rapporto numero di deputati per abitanti, nei Paesi europei paragonabili i dati ufficiali elaborati dall’Ufficio Studi del Senato dicono che l’Italia ne ha uno ogni 96mila abitanti, il Regno Unito ogni 101mila, la Francia 116mila, la Spagna 133mila (questi calcoli non considerano le seconde Camere, troppo diverse da Paese a Paese). Con la proposta di taglio l’Italia passerebbe largamente in testa alla fila, con un deputato ogni 151mila abitanti. Rende forse anche meglio l’idea considerare quanti deputati ogni 100mila abitanti: Spagna 0,8, Germania e Francia 0,9, Regno Unito 1, Italia 1 attualmente, contro lo 0,7 in caso di riforma.

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Si entra, poi, in maggiori dettagli sulle varie posizioni politiche, che qui non ci è possibile rendicontare. Ma accenniamo a un fattore di fondo emerso, tirato in ballo soprattutto da Lupi come contesto e cultura che ispira le scelte: la democrazia rappresentativa serve ancora e va tutelata con attenzione o andiamo alla cosiddetta democrazia diretta, quella in cui, come propose Grillo, i deputati si possono pure estrarre a sorte? Palmieri aveva appena messo l’accento piuttosto sui criteri di selezione e la qualità dei candidati. Fiano condivide le preoccupazioni di Lupi, ma «il no al referendum non è la risposta». Palmieri non ha dubbi che «la democrazia diretta è sempre diretta da qualcuno». Di rischi per la democrazia rappresentativa hanno recentemente scritto, è stato ricordato, Luciano Violante e Giovanni Maria Flick. Il dibattito è aperto, lunedì il verdetto.