Ignacio Carbajosa

Spagna. Imparare dalla crisi per scoprire cosa ci unisce

Il 4 maggio la Regione di Madrid è chiamata alle urne. Eppure, questa volta, polarizzazioni e violenza dialettica non sono l'ultima parola. Occorre solo «riconoscere quel "ciò che ci accomuna" che ci ha sorpreso nella pandemia» (da PáginasDigital.es)
Ignacio Carbajosa

Guardo con preoccupazione la campagna elettorale per le elezioni regionali del 4 maggio a Madrid. Il processo di crescente polarizzazione e l’esagerata violenza dialettica, per quanto prevedibili, non possono essere visti come qualcosa di inevitabile, il frutto di un confronto “naturale” di idee disparate. Questo significherebbe ammettere che non c’è un terreno comune tra noi o, in altre parole, significherebbe negare che ciò che ci accomuna e ci fa stare nella stessa barca è, di gran lunga, più grande delle legittime discrepanze legate ai modelli di gestione della cosa pubblica.

A volte è necessario un esercizio della ragione, legato alla memoria, per sorprendere in azione “ciò che ci accomuna”, e per renderci conto che è molto più reale, concreto e degno di attenzione delle invettive che ci scagliamo gratuitamente l’un l’altro. Basterebbe pensare agli ultimi tredici mesi in cui tutti abbiamo dovuto affrontare lo stesso fatto ineluttabile: la pandemia.



Questo tempo di crisi sanitaria ha portato alla luce una “umanità” che appartiene a tutti, un modo di reagire al dolore, alla morte, alla solitudine o all’angoscia che non fa distinzioni. Mi ha colpito leggere su giornali di orientamento molto diverso articoli che ci descrivono tutti: la paura del contagio, lo schiaffo in faccia di una realtà (il virus) che non si può evitare, la tentazione di rifugiarsi dietro schermi e mondi immaginari, la percezione di una vulnerabilità radicale che ci spaventa, la nostalgia dell’abbraccio dei nostri cari, la domanda sul significato della morte che vediamo da vicino, la dinamica dell’attesa che sembra non finire mai davanti a un continuo posticiparsi del ritorno alla normalità, l’angoscia esistenziale legata alla solitudine, e potremmo continuare all’infinito.

Ma in questi mesi abbiamo anche potuto sorprenderci insieme, nella stessa barca, ad affrontare questioni che riguardano la nostra convivenza: la salute, l’educazione, i servizi sociali o la gestione delle risorse. L’applauso alle otto di sera è stata l’espressione più chiara del fatto che nella crisi sanitaria eravamo una cosa sola con quelli in prima linea. Dubito molto che le appartenenze politiche abbiano interferito in alcun modo per chi lavora in un’unità di terapia intensiva o nella gestione delle emergenze. Allo stesso modo, la modalità mista di insegnamento, in presenza e a distanza, ha posto un problema comune ai nostri insegnanti. Ed è chiaro che la necessità di continuare a educare e le problematiche che ciò solleva per gli insegnanti sono un problema comune che trascende le ideologie.

La chiusura di tante attività a causa del Covid ha comportato difficoltà economiche e persino la fame per molte persone. C’era poca ideologia quando si è trattato di soddisfare queste esigenze di base. Abbiamo visto come la società civile (Caritas, associazioni, ONG) e i servizi sociali dei comuni hanno affrontato una crisi che poteva essere molto grave, remando nella stessa direzione.

L’altra crisi che hanno vissuto i madrileni, quella della tempesta di neve Filomena, ci ha fatto scoprire, forse per la prima volta, quanto siano reali i problemi della mia strada o del mio quartiere, che non fanno distinzione tra ideologie: quanti chili di neve abbiamo spalato dai nostri marciapiedi, fianco a fianco con il vicino del quinto piano, con il quale discuto di politica! Se non ci allontaniamo dai bisogni concreti, sarà più facile che la gestione delle risorse a livello locale o regionale, al di là della pluralità delle strategie, ci trovi uniti.

Papa Francesco ci ha ricordato che «peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla» (Omelia di Pentecoste, 31 maggio 2020). Un primo modo di sfruttarla è rendersi conto che la crisi ci ha mostrato che ciò che ci unisce è essenziale e ciò che ci separa è piuttosto accessorio. I vescovi della provincia ecclesiastica di Madrid, da parte loro, preoccupati per «tante forme meschine e immediatiste di politica», ci hanno invitato a “mettere in pratica la migliore politica: quella che, senza essere soggetta a interessi materiali, coltiva l’amicizia sociale e cerca effettivamente il bene di tutte le persone, specialmente le più vulnerabili”.

La vera esperienza porta alla luce chi siamo, come persone e come società. Lo abbiamo visto con la crisi. Allora perché questo ritorno alla dialettica violenta, chiaramente separata dalla realtà? Lungi dallo scandalizzarci per una condizione umana che è la nostra (basta vedere come ci muoviamo in casa nostra o in famiglia), ci sorprendiamo a riconoscere che l’esperienza cristiana ci ha permesso di abbracciare anche chi è diverso da noi, ma è capace di generare opere per il bene comune.

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Credo sinceramente che sia giunto il momento che i cristiani mettano a disposizione di tutti questa capacità di abbraccio e comprensione nella vita pubblica, a tutti i livelli, compresa la politica di partito. In questo modo risponderemo all’appello di Francesco: «Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico» (Papa Francesco, Firenze, 2015). Ci interessa questo impegno perché sarà una forma concreta di verifica della nostra fede: Cristo è entrato nella storia ed è stato riconosciuto per la sua eccezionale umanità, la stessa umanità che sorprendiamo tra noi. Ovviamente, sarà la realtà stessa a giudicare se questa capacità di abbracciare l’altro è reale.